Perché escludere i titoli di Stato dal calcolo dell’ISEE è problematico

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Martedì la presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni ha firmato un decreto (DPCM) che conferma per il 2025 l’esclusione dal calcolo dell’ISEE dei titoli di Stato, cioè gli strumenti finanziari con cui gli investitori prestano soldi allo Stato italiano, fino a un massimo di 50mila euro. L’ISEE è l’indicatore che certifica la condizione economica di una famiglia: è necessario per avere accesso a molti servizi pubblici, dagli asili nido ai sussidi. In sostanza chi è in possesso di prodotti finanziari garantiti dallo Stato, come appunto i titoli di Stato, ma anche i buoni fruttiferi postali e i libretti di risparmio postale, sarà avvantaggiato rispetto a chi non li ha.

Era una novità introdotta dalla legge di bilancio approvata nel 2023, ma che dopo diverse lungaggini è diventata operativa solo ora. Ha l’obiettivo deliberato di incentivare l’investimento dei risparmi delle famiglie nei titoli di Stato, una scelta politica che il governo di Meloni aveva più volte annunciato. Per com’è stata pensata la misura genererà però iniquità e distorsioni nel sistema di erogazione dei servizi pubblici, in cui si ritroveranno avvantaggiate le famiglie con investimenti in titoli di Stato, che in buona parte dei casi non fanno certamente parte delle fasce più povere della popolazione.

In concreto escludere dal calcolo dell’ISEE per il 2025 gli investimenti in titoli di Stato fino a 50mila euro significa far ottenere un reddito ISEE più basso alle famiglie che ne hanno, con la conseguenza che queste avranno maggiori probabilità di rientrare nei diversi piani di sussidi e servizi pubblici. Secondo alcune simulazioni pubblicate mercoledì sul giornale cartaceo del Sole 24 Ore l’ISEE può arrivare a ridursi anche del 18 per cento, se si hanno 50mila euro di patrimonio investiti in titoli di Stato, cioè l’investimento massimo con cui si ottiene l’agevolazione.

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Un’analisi di lavoce.info dice che la misura vìola il cosiddetto principio di “equità orizzontale”, cioè l’uguaglianza di trattamento che il sistema fiscale e dei servizi pubblici dovrebbe garantire tra famiglie con lo stesso livello di reddito: «Due famiglie con uguale reddito e patrimonio sono trattate diversamente dal sistema di tax-benefit a seconda della quantità di titoli pubblici posseduta. Non ha senso che una famiglia riceva un assegno inferiore per i figli se ha investito di più in obbligazioni private invece che pubbliche», si legge nell’analisi.

Non garantire l’equità orizzontale di una misura fiscale o di welfare è una scelta politica legittima, anche se per molti ingiusta in linea di principio, e non è la prima volta che succede: un esempio recente è quello della flat tax, cioè il regime fiscale agevolato introdotto nel 2019 con cui i lavoratori autonomi fino a 85mila euro di reddito pagano al massimo il 15 per cento di imposte, mentre i lavoratori dipendenti con lo stesso livello di reddito sono sottoposti ad aliquote dal 23 al 43 per cento.

Se però i vantaggi sulla tassazione hanno conseguenze quasi solo personali, inserire un’agevolazione di questo genere sull’ISEE significa creare uno squilibrio nelle politiche familiari e nel modo in cui sono concepite: per esempio, una famiglia con lo stesso ISEE di partenza di un’altra potrebbe trovarsi a passarle avanti nella graduatoria di un asilo nido solo per i suoi investimenti in titoli di Stato.

Allo stesso modo l’esclusione dei titoli di Stato dal calcolo dell’ISEE vìola il principio cosiddetto di “equità verticale”, cioè quello per cui il sistema di sussidi e servizi dovrebbe essere più generoso verso le famiglie più povere: ottenendo un ISEE più basso, una famiglia che ha investito in titoli di Stato potrebbe avere diritto a più benefici di una più povera. La misura è dunque regressiva, cioè avvantaggia le famiglie più ricche che possono permettersi di risparmiare e investire, mentre svantaggia quelle più povere, che tipicamente non riescono a farlo.

Una sede INPS di Milano (LaPresse – Claudio Furlan)

È un provvedimento che può sembrare marginale, ma che potenzialmente riguarda moltissime persone: l’ISEE è compilato infatti ogni anno da più di dieci milioni di nuclei familiari (che possono essere composti anche da una persona sola). Nella sostanza è un valore in euro, che si usa per capire se si ha o meno diritto a sussidi e servizi pubblici erogati proprio in base alla condizione economica: tra questi ci sono l’accesso all’asilo nido, il pagamento dell’assegno unico per i figli o anche dei sussidi che hanno sostituito il reddito di cittadinanza. Un altro esempio recente: il bonus da mille euro per i figli nati nel 2025, introdotto dalla legge di bilancio appena approvata, è riservato a chi ha un ISEE familiare entro i 40mila euro.

Semplificando molto, il livello dell’ISEE è dato dalla somma dei redditi dei membri della famiglia e del 20 per cento del valore del loro patrimonio, diviso in base ai componenti della famiglia attraverso una scala di equivalenza: le famiglie più numerose hanno quindi un ISEE più basso a pari reddito. Il patrimonio comprende gli immobili di proprietà al valore catastale e le attività finanziarie, come i risparmi sul conto corrente e gli investimenti in titoli: tra questi possono esserci per esempio i titoli di Stato.

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I titoli di Stato sono lo strumento attraverso cui lo Stato si fa prestare soldi dagli investitori, promettendo indietro il pagamento di un tasso di interesse. Dunque alimentano e sostengono il debito pubblico. Hanno vari nomi a seconda delle scadenze e delle modalità di pagamento degli interessi: ci sono i Buoni Ordinari del Tesoro, i BOT, i Buoni del Tesoro Poliennali, i BTP, i quali a loro volta hanno assunto diverse forme, come nel caso dei BTP Futura, dei BPT Valore, e così via.

Sono dunque una forma di investimento che il governo ha particolare interesse a incentivare: i guadagni che se ne ricavano infatti sono già sottoposti a una tassazione inferiore rispetto ai normali investimenti, 12,5 per cento contro il 26. C’è quindi una naturale “concorrenza sleale” tra gli investimenti in titoli di Stato e in quelli in normali strumenti finanziari delle aziende private: è però un privilegio che moltissimi stati, non solo quello italiano, garantiscono al proprio debito, proprio perché questo serve a finanziare progetti di interesse pubblico, dunque in linea di principio da agevolare.

L’agevolazione sull’ISEE accordata dal governo potenzia questo privilegio per il 2025, il che potrebbe creare anche qualche distorsione sui mercati finanziari, spiazzando la domanda di investimento dei piccoli risparmiatori verso i titoli del settore privato.

Del resto, da quando si è insediato, diversi membri del governo di Giorgia Meloni – da Meloni stessa fino al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – hanno ripetutamente auspicato che le famiglie investano di più nei titoli di Stato, seguendo una retorica per cui il debito italiano dovrebbe tornare nei “portafogli delle famiglie italiane”. Nazionalismi a parte, l’idea ha anche un certo fondamento economico: generalmente si ritiene che ci siano più garanzie di stabilità del debito pubblico e che risulti meno esposto alla speculazione se questo è detenuto da risparmiatori privati (di qualsiasi nazionalità, non per forza italiani), a scapito di grosse banche o fondi d’investimento.

Da sinistra: il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il presidente dell’Associazione Bancaria Italiana Antonio Patuelli, e il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, a luglio del 2024 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Oltre ai problemi sostanziali di cui si è parlato finora, la misura è stata soggetta anche a una certa disorganizzazione del governo per la sua messa a punto sul piano procedurale. Il provvedimento era stato approvato con la legge di bilancio per il 2024, cioè a dicembre del 2023, e il DPCM che serviva a renderlo operativo è arrivato con più di un anno di ritardo, creando molta incertezza per tutte le famiglie che avevano investito in titoli di Stato contando di non compromettere troppo la propria situazione ai fini ISEE nel 2025.

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L’ISEE si può presentare in qualsiasi momento dell’anno, ma solitamente lo si fa proprio all’inizio perché scade il 31 dicembre di ogni anno: essendo necessario a molte prestazioni dello Stato, in queste prime due settimane del 2025 molti si sono trovati costretti a presentarlo comunque per garantirsi la continuità dei servizi, senza l’agevolazione sui titoli di Stato magari avendone diritto, o decidendo di venderli, in una condizione attuale di mercato in cui il loro valore è sceso rispetto ai mesi scorsi. Il DPCM ha comunque precisato che le famiglie potranno chiedere una nuova certificazione ISEE che tenga conto delle nuove regole.

– Leggi anche: BOT, BTP, BTP Valore: breve guida ai titoli di Stato



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