Effettua la tua ricerca
More results...
Quando il premier uscente della Groenlandia Múte Bourup Egede ha convocato, 5 settimane fa, le elezioni anticipate per l’undici marzo, giorno del suo trentottesimo compleanno, probabilmente non immaginava il regalo amaro che gli avrebbero consegnato le urne. La sua formazione, Inuit Ataqatigiit (comunità del popolo Inuit, di sinistra ecologista) ha avuto quattro seggi in meno e ben 14 punti di differenza rispetto alle elezioni del 2021 dove sfiorò il 38% e, soprattutto, Egede ha la certezza che non sarà più il presidente dell’isola.
I vincitori totalmente inaspettati di queste elezioni sono infatti i Demokraatit, formazione liberale di centro destra che ha triplicato i voti e che, con il 30% e 10 deputati (su 31), vedrà il proprio leader Jens-Frederik Nielsen ricevere l’incarico per formare il nuovo governo. I democratici groenlandesi sono gemellati con l’Alleanza liberale danese, un partito di centro destra, componente del Ppe e attualmente all’opposizione del governo di Copenaghen guidato dalla socialdemocratica Mette Frederiksen. Nonostante nell’ultimo periodo, dopo le continue sparate di Donald Trump per annettere la Groenlandia agli Usa, i Demokraatit abbiano accentuato il loro profilo indipendentista, storicamente sono sempre stati considerati un partito “unionista” rispetto al Regno di Danimarca.
La loro campagna, però, è stata molto più incentrata sui temi dell’economia: dal taglio delle tasse alla riduzione della burocrazia fino alla proposta di portare la settimana lavorativa a 32 ore sul “modello islandese”.
Il loro leader Nielsen ha 33 anni, è laureato in scienze sociali e ha un passato da agente immobiliare fino a quando, nel 2020, diventò per un solo anno ministro dell’industria nel governo cosiddetto dell’“aurora boreale” insieme a quasi tutti i partiti dell’isola. Proviene da una famiglia di origine danese ovvero fa parte di quel 15% di cittadini groenlandesi non di origine inuit, eppure è stato il politico più votato ricevendo 4.850 preferenze, decuplicando i voti rispetto al 2021.
Le sue prime dichiarazioni, oltre a un’apertura a tutti i partiti per trovare un’intesa di governo, è stata la rivendicazione dell’opposizione alla legge sulla pesca che il governo di sinistra fece approvare lo scorso anno che, tra le altre cose, impone le 3,5 miglia marine di distanza dalla costa. Il settore ittico è la fonte primaria dell’economia di esportazione dell’isola e occupa (in tutta la filiera) circa il 40% della sua forza lavoro.
Problemi locali ed economia reale, necessità di cambiamento dopo anni di dominio delle sinistre e una promessa che i democratici hanno ripetuto per tutta la campagna elettorale «non si può parlare di indipendenza dalla corona danese se non siamo indipendenti dalle loro finanze». Sono probabilmente questi i fattori che hanno determinato l’incredibile risultato di martedì notte.
Che il vento stesse cambiando lo si era già percepito dalle prime ore della mattina quando, nel centro elettorale allestito nella capitale Nuuk, si erano formate lunghe code per il voto che hanno costretto i presidenti di seggio ad allungare di un’ora oltre le 20 il processo democratico. Mentre fuori dal centro i partiti continuavano la loro campagna, proprio al gazebo dove era presente Nielsen i dolci e le bevande calde andavano a ruba, segno di una nuova preferenza dell’elettorato. Il 66% di affluenza, nonostante la neve e il freddo che attanaglia ancora l’isola, sono stati il fattore decisivo che ha spostato gli equilibri anche a favore degli altri vincitori di queste elezioni: i populisti indipendentisti di Narelaq che dal 13 sono passati al 24,5% raddoppiando i seggi.
Il loro risultato era quello più temuto, sia per la candidatura di due ex esponenti di spicco dei socialdemocratici di Siumut tra le loro fila (tra i quali il contestatissimo trumpiano Kuno Fencher) sia per essere stato l’unico partito a non condannare le mire annessionistiche del presidente statunitense. Nonostante Narelaq sia diventato il secondo partito non è detto farà parte del nuovo governo soprattutto se porrà come tema dirimente il referendum per l’indipendenza dalla Danimarca che, ad oggi, è rimasto l’unico a chiedere «entro l’anno».
Dipenderà molto anche da come incasseranno la sconfitta i socialdemocratici che sono stati più che dimezzati nelle urne (da 10 a 4 eletti). Il loro leader e attuale ministro delle finanze, Erik Jensen, ha infatti dichiarato «non ho paura ad assumermi le mie responsabilità ma ho contribuito a creare risultati storici come la legge sulla pesca che aspettavamo da 20 anni». Forse più che Trump a decidere il nuovo governo della Groenlandia saranno i pesci.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link