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«La geografia? Una scienza in via d’estinzione. Prendiamo l’aereo per andare in vacanza, ci geolocalizziamo, navighiamo sui social, ci orientiamo con lo smartphone e acquistiamo prodotti di ogni parte della terra: ignoranza geografica crescente e indifferenza al dove ci riducono però a non conoscere il luogo in cui viviamo e in quale mondo ci muoviamo, a non poter avere relazioni informate con l’esterno». Mauro Varotto, docente di geografia all’università di Padova, lancia l’allarme: «La geografia — dice — è scomparsa dalla scuola italiana. Interessi politici ed economici preferiscono allevare cittadini-consumatori inconsapevoli e dunque più manovrabili. La nostra casa così si chiude e diventa ogni giorno più stretta: percepiamo il migrante come un pericolo, piuttosto che come un’opportunità, pagando un alto prezzo all’equivoco della lontananza». Sul dramma collettivo del “mappamondo ridotto a soprammobile d’antiquariato”, Varotto ha appena pubblicato Il primo libro di geografia, saggio provocatorio che è già un caso. La tesi è che «mai come nell’era della globalizzazione abbiamo scelto di cancellare la globalità: rinunciando ad una terra per abitanti felici».
Ma siamo davvero la prima umanità a-geografica?
«L’Italia, Usa a parte, è un caso unico. La geografia a scuola non è più una materia, con un proprio insegnante e un voto. L’attuale governo vuole inoltre circoscrivere le scarne nozioni alla dimensione locale, massimo nazionale. Capire la nostra forma di appartenenza al mondo, la complessità delle relazioni tra i luoghi, sarà impossibile».
Perché questa rinuncia?
«La geografia, storicamente, è servita per fare la guerra. Gli istituti cartografici hanno supportato i militari per esigenze di potere. Con la pace europea, ora interrotta, e la globalizzazione economica, pure a rischio causa dazi, è mancata una contemporanea agenzia mondiale con la missione di adeguare la conoscenza geografica alle nuove sfide. A forza di semplificare, l’apriscatole rompiscatole è scomparso dalla nostra cassetta degli attrezzi».
Conseguenze?
«Non sappiamo più cosa è vicino e cosa lontano. Pensiamo che il dove sia un punto, non un fascio di traiettorie nello spazio. Privati di relazioni consapevoli, non possiamo essere felici».
Perché limitare nozioni geografiche elementari al territorio di nascita, ci rende manovrabili?
«Ciò che è più vicino non è detto sia più importante, chi è stabile non è detto sia più rassicurante di chi è mobile. La vecchia topografia locale non è stata sostituita dalla nuova topologia relazionale: la sorgente dei sovranismi è l’ignoranza del fuori e dell’estraneo. L’inconsapevolezza geografica collettiva comporta le conseguenze politiche ed economiche che oggi subiamo».
La tecnologia ci permette comunque di orientarci: serve ancora sapere dove si trova un luogo?
«Non importa più saper indicare lo spazio di un luogo, ma capire come e perché un luogo è fatto in un certo modo. Il telefonino mi indica le coordinate di New York, ma non mi aiuta a capire la città e il suo rapporto con il resto del mondo. Il dove, senza il come e il perché, è fuorviante».
È così grave non conoscere posizione e nomi di nazioni, capitali, regioni, monti e fiumi?
«Il punto oggi non è la dimensione del bagaglio delle ex nozioni scolastiche, ma recuperare la natura relazionale del nostro rapporto con lo spazio e con tutto ciò che lo circonda. Rinunciare al dove impone però anche disagi per così dire pratici».
Quali?
«Incalcolabili e quotidiani. Un paio di esempi: il Sud della terra in estate è freddo e a Nord c’è il sole, in Asia d’estate l’ombrello non basta a ripararci dalla pioggia, la peruviana Cusco è alla quota della vetta della Marmolada, ma la temperatura media è di 14 gradi. Non posso sapere perché i limoni di Sorrento sono buoni, se non so dove sono i monti Lattari con la loro acqua pura: così magari non li acquisto».
Perché la scomparsa della geografia è anche tra la cause della distruzione della natura?
«Se non conosci il profilo del contenitore della vita, collocandolo nello spazio universale, non puoi avere la consapevolezza che la vita è parte e dipende da quella sfera, che solo in equilibrio permette ad ogni organismo di vivere».
L’addio alla geografia spiana la strada pure alle dittature?
«Se salta la relazione tra spazio e tempo anche la democrazia smarrisce luogo e ragione della propria applicazione. Il potere si scopre libero da condizionamenti. In Europa oggi è l’interesse politico ad alimentare il razzismo: una conoscenza geografica completa avrebbe l’effetto di un antidoto».
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