Ci sono voluti tre chilometri di tessuti per gli abiti del “Gattopardo”

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Dal 5 marzo è disponibile su Netflix la serie tv Il Gattopardo, un adattamento in sei puntate dell’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958 e trasformato in un film dal regista Luchino Visconti nel 1963. La storia racconta il Risorgimento italiano attraverso le vicende di una nobile famiglia siciliana e dell’uomo che la guida, il principe Fabrizio Salina, “il gattopardo”.

Nel film l’accuratezza storica e l’opulenza dei costumi erano fondamentali anche per il noto perfezionismo di Visconti; lo sono anche nella serie che, sviluppandosi in molte più ore e avendo più scene, ha richiesto un grande sforzo nell’ideazione, nella progettazione e nella ricerca di abiti e accessori, come ha raccontato al Post il costumista Carlo Poggioli, uno dei più noti in Italia: «non c’è un solo ballo ma tre, non c’è una colazione ma dieci; significa che ci vogliono molti vestiti in più». Negli anni Novanta Poggioli fu assistente di Piero Tosi, il costumista del Gattopardo di Visconti, e quindi conosceva bene il suo lavoro e le difficoltà che aveva incontrato.

Per fare un film in costume si noleggiano dalle sartorie i cosiddetti abiti di repertorio, cioè vestiti già preparati per altri film che vengono riadattati in base alle esigenze, mentre i vestiti e gli accessori nuovi sono una minoranza. In questo caso però era molto difficile trovarli, non solo perché ne servivano tanti (ci sono circa 5.000 comparse), ma perché non esiste un grosso repertorio di costumi ambientati attorno al 1860, gli anni della serie: «se fai il 1830 e il 1880 ce ne sono tanti ma del 1860 è stato fatto pochissimo», spiega Poggioli. In più i costumi realizzati per il film di Visconti si erano rovinati, erano stati persi o erano troppo piccoli per essere indossati dagli attori di oggi.

Molti abiti e accessori dovevano essere pensati e realizzati da zero nei tempi previsti, meno di un anno. Era una difficoltà che preoccupava molto Poggioli perché le aziende in grado di fornire i tessuti necessari ormai sono poche: la metà delle seterie di Como, la zona dov’erano concentrate, ha chiuso e non ci sono più neanche le industrie che producono il taffettà, i rasi, i tessuti e i nastri adatti.

Alla fine Poggioli ha trovato un’azienda francese, Guegain, che è riuscita a realizzare le stoffe e i ricami di cui aveva bisogno, e si è affidato a molti laboratori italiani, a partire dalla sartoria Tirelli-Trappetti e dalla sartoria Costumi d’Arte, che hanno realizzato gli abiti per il cast e fornito parte di quelli da repertorio.

La produzione è stata enorme: «abbiamo fatto realizzare 3.500 metri di tessuti per i costumi nuovi delle donne», dice Poggioli, per una superficie pari a due campi da tennis. A questo si aggiungono 150 parure di gioielli, 2.000 paia di scarpe, 80 abiti da giorno e 30 da sera per il cast femminile, 65 da giorno nuovi e 30 da sera per il cast maschile, 120 crinoline (cioè le sottogonne), 500 paia di guanti, 60 cappelli, 100 parrucche di capelli naturali. In tutto sono stati usati 6.000 tra costumi e accessori, nuovi e di repertorio, e la preparazione degli attori principali ha richiesto ogni giorno tra le due e le tre ore.

Deva Cassel vestita da Angelica sul set (Netflix / Lucia Iuorio)

Sono numeri impressionanti che danno l’idea della centralità dei costumi, disegnati con grande accuratezza storica da Poggioli e da Edoardo Russo, suo co-designer per gli ultimi tre episodi. Per prendere ispirazione, Poggioli è partito dalle poche fotografie dell’epoca, dai tanti ritratti e dagli abiti rimasti, soprattutto i circa 5mila abiti e accessori d’epoca conservati nella casa museo di Raffaello Piraino, a Palermo: «ho studiato le scollature, i dettagli, i nastri, e da qui ho capito che strada prendere, anche perché il costume siciliano è diverso rispetto al resto d’Italia perché fa caldo».

L’archivio conserva anche un un abito indossato da Concetta, la figlia di Giulio Fabrizio Tomasi, il bisnonno dello scrittore che ha ispirato la figura del gattopardo: «era stato ritrovato in un baule, era fatto di garza leggerissima e aveva un costume cremisi da cui ho preso ispirazione», dice.

Un altro aiuto è arrivato dalla sartoria Tirelli-Trappetti, che conserva 15mila abiti dal Settecento in poi e più di 300mila costumi. Nel 2001 Tirelli-Trappetti aveva realizzato una copia del celebre vestito indossato nella scena del ballo da Claudia Cardinale nel ruolo di Angelica. La versione originale era stata esposta così tante volte che si era distrutta, così Tosi volle ricostruirla e Poggioli, allora suo assistente, l’aiutò: «diventammo matti a trovare le stoffe perché le aziende che le facevano avevano chiuso», ricorda.

Anche se non avete visto il film di Visconti è probabile che quella scena la conosciate perché è una delle più famose del cinema italiano. Al ballo la famiglia Salina presenta in società Angelica, la promessa sposa di Tancredi, il nipote preferito del gattopardo. Angelica è figlia di un cafone arricchito che vuole usare la sua bellezza e il denaro che può darle in dote per farsi strada nell’alta società: il suo personaggio impersona l’ascesa della nuova borghesia che vuole soppiantare l’antica nobiltà, rappresentata dalla famiglia Salina.

Nel libro, il vestito di Angelica è rosa – «il nero del frac di lui, il roseo della veste di lei», si legge – ma nel film diventò bianco. Visconti voleva restare fedele al libro ma Tosi, racconta Poggioli, gli preparò due versioni: una rosa come richiesto e una bianca perché secondo lui «con il vestito rosa Angelica diventava troppo una bambolona». Alla fine Poggioli la spuntò e venne scelto il vestito bianco, «più virginale e adatto all’ingresso in società della ragazza»; aveva comunque una base di chiarissima seta verde, che «vibrava il bianco dandogli un po’ di colore», dice Poggioli. La scelta, secondo Adriano Sofri, potrebbe essere stata influenzata anche da un racconto dello scrittore russo Lev Tolstoj, Dopo il ballo, che racconta una scena molto simile a cui probabilmente Tomasi di Lampedusa si ispirò: quella di una ragazza, con un vestito bianco, che balla con il vecchio padre tra l’ammirazione degli astanti.

Nella serie l’abito cambia di nuovo colore perché il ballo tra Angelica, interpretata da Deva Cassel, e il gattopardo, interpretato da Kim Rossi Stuart, viene spostato temporalmente e si svolge dopo il matrimonio: la passione è venuta meno, ci sono stati i primi tradimenti e dell’unione resta solo l’interesse di lui per i soldi, di lei per il nome. Angelica non indossa un abito candido ma fucsia: «mettersi quell’abito è una sfida a una società che stava tramontando: il ballo è il trapasso dalla vecchia aristocrazia alla nuova borghesia, incarnata da Angelica», spiega Poggioli.

Una foto di Kim Rossi Stuart nel ruolo del principe di Salina e Deva Cassel in quello di Angelica nella scena del ballo.

Kim Rossi Stuart nel ruolo del principe di Salina e Deva Cassel in quello di Angelica nella scena del ballo. (Lucia Iuorio/Netflix © 2024)

È molto simile invece l’abito indossato da Cassel e Cardinale nella scena del nascondino: in entrambi i casi di un color cremisi che Poggioli ha voluto come omaggio a Tosi.

Una foto di Deva Cassel sul set con Tom Shankland, il regista degli episodi 1,2,3,6; indossa l'abito cremisi ispirato a quello di Claudia Cardinale

Deva Cassel sul set con Tom Shankland, il regista degli episodi 1, 2, 3 e 6; indossa l’abito cremisi ispirato a quello di Claudia Cardinale nel film (Netflix / Lucia Iuorio)

Mentre Angelica rappresenta anche con gli abiti – scollati, alla moda e dai toni accesi – il mondo dei parvenu, Concetta, la figlia del gattopardo innamorata di Tancredi e interpretata da Benedetta Porcaroli, indossa vestiti chiari e dai toni freddi come il verde, il malva, il lilla, e con una foggia un po’ all’antica, a indicare la dignità e l’eleganza aristocratica.

Una foto di Benedetta Porcaroli nel ruolo di Concetta(Netflix / Lucia Iuorio)

Benedetta Porcaroli nel ruolo di Concetta (Netflix / Lucia Iuorio)

Ora che le riprese sono finite i costumi per il cast verranno conservati dalle sartorie che li hanno realizzati, mentre quelli di repertorio potranno essere affittati dai costumisti di altri film: «a volte ti fa un po’ rabbia – scherza Poggioli – hai fatto una creatura che potrà essere presa da chiunque e finire chissà dove».



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