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Come si fa a rimanere nel regime forfettario quando si è giunti al limite dei ricavi consentiti? È la domanda che si fanno molte Partite Iva verso la fine dell’anno. La risposta più semplice e immediata è rimandare gli incassi. Un comportamento lecito e contemplato dalla normativa che ha introdotto il regime agevolato per gli operatori di ridotte dimensioni. Ma insieme a questa pianificazione, ci sono diversi aspetti sui quali porre la giusta attenzione e che non vanno mai dimenticati.
Il regime forfettario e la questione del limite ricavi
Innanzitutto occorre sempre tenere a mente che per continuare ad applicare il regime forfettario devono permanere i tre requisiti fondamentali:
- essere una persona fisica che esercita attività di impresa, arte o professione in forma individuale;
- conseguire ricavi o compensi annuali che non superano la soglia totale di 85.000 euro, anche con diversi codici Ateco e di conseguenza con attività differenti;
- sostenere spese per personale dipendente o per lavoro accessorio non superiori a 20.000 euro lordi.
Queste caratteristiche si verificano sia al momento dell’ingresso che in corso di regime. Il requisito cardinale per la maggior parte delle Partite Iva che aderiscono al forfettario è la soglia degli 85.000 euro (innalzata dai precedenti 65.000 euro dalla Legge di Bilancio 2023) e il limite ulteriore di 100.000 euro di ricavi o compensi percepiti. Per chi oltrepassa gli 85.000 euro ma non scavalca i 100.000 euro, il regime forfettario finisce di applicarsi a partire dall’anno successivo. Se viene sforato il tetto dei 100.000 euro, l’uscita dal forfettario scatta immediatamente e non a partire dall’anno successivo, per effetto della cosiddetta tagliola anti-evasione.
Rimandare gli incassi è la soluzione migliore
Nel forfettario vale il principio di cassa e non il principio di competenza: si considerano esclusivamente i ricavi o i compensi incassati durante l’anno, indipendentemente da quando siano stati maturati. Ai professionisti e alle professioniste che si avvicinano alla soglia degli 85.000 euro e vogliono restare nel forfettario per goderne le agevolazioni, in particolare le numerose semplificazioni sull’Iva, conviene perciò rimandare alcuni incassi all’anno successivo.
Questa mossa vale soprattutto per i contribuenti che sono ancora nei primi cinque anni di nuova attività e godono dell’aliquota unica al 5%, che poi passerà al 15%. Quindi chi si approssima “pericolosamente” al confine degli 85.000 euro, deve gestire con estrema attenzione i flussi di cassa. Applicando il principio di cassa e facendolo con prudenza e oculatezza, determinano il limite unicamente i ricavi o i compensi incassati nell’anno: per fare un esempio al 2024, quelli posticipati al 2025 non andranno a influenzare il calcolo per l’anno in corso.
Naturalmente bisogna sempre rispettare gli obblighi di fatturazione elettronica, indipendentemente dal monte ricavi/compensi, e le tempistiche per l’emissione delle fatture: il giorno stesso dell’effettuazione dell’operazione o entro 12 giorni per la fattura immediata; entro il giorno 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione per la fattura differita; entro i 12 giorni successivi dalla data indicata nella fattura per quella anticipata.
Il comportamento principale da tenere per restare nel regime forfettario quando si sta per raggiungere il limite degli 85.000 euro, è distribuire i ricavi in maniera più conveniente tra gli anni fiscali. Sono due le modalità fondamentali da osservare per rimandare gli incassi:
- evitare gli incassi anticipati e gli acconti, rinviando l’accettazione di bonifici o altri pagamenti fino al nuovo anno;
- accordarsi per dilazioni di pagamento, permettendo di effettuare il bonifico in un momento successivo rispetto alla vendita di un bene o all’erogazione di un servizio.
Un esempio pratico di questo secondo caso è emettere una fattura a dicembre 2024 inserendo la scadenza di pagamento a gennaio 2025: una mossa strategica e legittima perché prevista dalla normativa vigente.
Verificare la provenienza dei maggiori incassi
C’è un’altra circostanza che va tenuta in assoluta considerazione per rimanere nel regime forfettario: una delle sei cause di esclusione stabilite dalla legge. Sono esclusi a prescindere dal forfettario i soggetti che esercitano l’attività prevalentemente con datori di lavoro (o soggetti a loro direttamente o indirettamente riconducibili) con i quali sono in corso o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta. L’unica eccezione a questa condizione è per chi inizia una nuova attività dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni.
Dunque se una Partita Iva in forfettario ha incassato ricavi superiori al 50% dal datore di lavoro (o dall’ex datore di lavoro dei due anni precedenti), viene tagliato fuori dal regime nell’anno successivo. La verifica della prevalenza degli incassi si effettua al termine del periodo d’imposta. È chiamato a controllare la prevalenza chi si è dimesso dal lavoro o è stato licenziato e chi ha aperto la Partita Iva fatturando all’ex datore di lavoro. Viceversa, chi ha chiuso il rapporto di lavoro prima dei due periodi d’imposta precedenti a quello d’applicazione del forfettario e chi è andato in pensione obbligatoria, non è tenuto a effettuare la verifica.
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