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Gli investimenti del Pnrr sono fermi a 62,5 miliardi, servirebbe una spesa di 7 miliardi al mese. Urso: “Piano auto Ue troppo timido e in ritardo”. Ripa di Meana (GSE): “Separare prezzi rinnovabili e gas”. La rassegna Energia
Il piano europeo sull’automotive è ancora una risposta “troppo timida e fuori tempo massimo rispetto alle sfide epocali2 dell’industria. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, boccia così la strategia della Commissione europea sull’industria dell’auto, illustrata dal commissario Tzitzikostas, sottolineando che “è proprio l’incertezza è ciò che emerge dal documento della Commissione europea sull’auto”. La separazione dei prezzi di rinnovabili e del gas è una delle due soluzioni strutturali possibili per abbassare il costo dell’energia. La seconda è “sostituire il grosso degli impianti a gas con piccoli impianti nucleari”, scrive Andrea Ripa di Meana, amministratore unico del Gse, su Il Sole 24 Ore. “Purtroppo, per arrivarci serviranno un paio di decenni”, sottolinea Ripa di Meana. 62,2 miliardi di euro. è la cifra esatta degli investimenti del Pnrr messi in campo fino ad oggi. Un ritmo troppo lento, secondo l’analisi de Il Foglio sui dati del Governo, che richiederebbe un’importante accelerazione per non sprecare le risorse rimanenti: dagli attuali cinque miliardi in 3-4 mesi a 7-8 miliardi al mese. Domani si terrà il cda che deciderà il futuro di Autostrade per l’Italia (Aspi). Uno dei nodi principali riguarderà la distribuzione del dividendo. Le entrate del 2024 ammonterebbero a quasi 1 miliardo di euro. Quindi, secondo il sistema utilizzato l’anno passato, gli azionisti dovrebbero spartirsi circa 800 milioni di euro. La rassegna Energia.
AUTO, URSO (MIMIT): “PIANO UE RISPOSTA INCERTA”
“Il piano europeo sull’automotive, illustrato dal commissario Tzitzikostas in un intervento su questo quotidiano, appare come una risposta ancora troppo timida e fuori tempo massimo rispetto alle sfide epocali che l’industria si trova ad affrontare. Siamo ad un punto di svolta decisivo per la sopravvivenza del settore. L’automotive europea, stretta tra obiettivi climatici che minano la competitività del comparto e una concorrenza globale sempre più aggressiva, ha bisogno di interventi rapidi ed efficaci, senza infingimenti. In questo contesto, l’Europa non può permettersi incertezze né ambiguità. (…) Purtroppo, proprio l’incertezza è ciò che emerge dal documento della Commissione europea sull’auto. In questi ultimi giorni abbiamo troppo spesso assistito, da Bruxelles, a dichiarazioni divergenti sulla strategia sul comparto, che poi non hanno trovato concreta rispondenza nelle proposte dei documenti strategici. Mentre nelle conferenze stampa si parla di “piena neutralità tecnologica”, il testo ufficiale resta ancora ambiguo su questo principio fondamentale. Analogamente, sebbene nelle affermazioni pubbliche si insista sull’importanza di valutare carburanti alternativi come il biofuel, una battaglia che portiamo avanti con decisione da tempo, nel piano strategico europeo la questione è quasi assente. (…) L’Italia si è mossa per prima, guida il fronte delle riforme. Con il non-paper promosso assieme alla Repubblica Ceca e sostenuto da altri tredici Paesi dell’Ue e dalle principali associazioni industriali europee, è riuscita a far inserire nel documento della Commissione due pre condizioni fondamentali, assolutamente necessarie ma non sufficienti: il rinvio delle multe previste per il 2025, che avrebbero condotto all’immediato collasso dell’industria automobilistica, e l’anticipo della revisione del regolamento sui veicoli commerciali leggeri, inizialmente previsto per la fine del 2026, già nella seconda metà di quest’anno”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“A fronte di dichiarazioni in favore del principio della neutralità tecnologica, le decisioni che vengono assunte vanno nella direzione opposta, ponendo standard che, nei fatti, si traducono in scelte definitive in favore del solo elettrico. Vanno contemperate le varie esigenze: quella ambientale, quella delle imprese, quella dei consumatori. Le scelte devono essere pragmatiche, non ideologiche e, possibilmente, non autolesionistiche, come avvenuto sinora. Delocalizzare l’inquinamento non è una soluzione sostenibile nel lungo periodo: il calcolo delle emissioni deve tenere conto dell’intero ciclo di vita del mezzo, sin dalla sua produzione. (…) Serve inoltre uno sforzo finanziario ben più robusto e concreto di quello delineato finora dalla Commissione. L’Europa deve mettere in campo risorse sufficienti per sostenere concretamente il settore automobilistico e stimolare una domanda interna stabile, per colmare rapidamente il divario con Usa e Cina. Questo sforzo dovrà necessariamente passare anche da una strategia efficace per la produzione di batterie elettriche in Europa, senza le quali l’autonomia strategica del continente rimarrebbe una promessa vuota, con il rischio di ulteriori gravi dipendenze da altri attori mondiali. (…) L’industria europea dell’automotive ha bisogno di una scossa di fiducia per evitare la spirale di deindustrializzazione. È necessario un cambiamento radicale. Se non saremo all’altezza delle aspettative dell’industria, aggraveremo soltanto il problema, dimostrando l’incapacità dell’Ue di affrontare questa crisi epocale. La Commissione deve fare di più, e più rapidamente: il futuro del settore merita risposte chiare, coerenti e coraggiose”, continua il giornale.
RIPA DI MEANA (GSE): “SEPARARE PREZZI RINNOVABILI E GAS”
“Dopo vent’anni di incentivi alle rinnovabili, che generano quasi metà dell’elettricità consumata e hanno costi di installazione molto calati, siamo alle solite: prezzi elettrici alle stelle abbattono la competitività dell’industria italiana e costringono il governo a varare onerose misure di sostegno a carico dei contribuenti. Il colpevole è noto: il prezzo del gas. Nel mercato elettrico attuale, in cui confluiscono in “pooling” sia la generazione rinnovabile che quella termoelettrica, gli impianti a gas più costosi determinano il “prezzo marginale” che equilibra domanda e offerta quasi nel 100% delle ore annue. (…) Appena i prezzi del gas sono alti e variabili, lo diventano anche i prezzi elettrici spot. Quindi, niente trasferimento ai consumatori della enorme riduzione dei costi di installazione delle rinnovabili, ma inclusione in bolletta del costo degli incentivi. Le soluzioni strutturali possibili sono solo di due tipi. La prima è tecnologica: sostituire il grosso degli impianti a gas con piccoli impianti nucleari. Purtroppo, per arrivarci serviranno un paio di decenni. La seconda è il “decoupling”, la separazione dei prezzi delle rinnovabili dal prezzo del gas. In teoria, si potrebbe modificare la struttura del mercato elettrico definita a inizio secolo, adattandola al mutato panorama delle tecnologie di generazione. In pratica, questa ipotesi è espressamente preclusa dalle Autorità di regolazione e dalla Commissione europea uscente, che fanno quadrato a difesa della struttura attuale, ritenuta “efficiente”. (…) L’incentivo a lungo termine alle rinnovabili del “contratto a due vie”, unico ammissibile nella Ue, è offerto a latere e in aggiunta al mercato elettrico fisico. È uno swap, in cui l’elettricità rinnovabile prodotta è valorizzata non al prezzo spot, ma a un prezzo fisso, che incorpora anche una componente di incentivo. Il generatore, che non è obbligato ad accettare lo swap e rimane libero di tenere per sé gli alti prezzi spot del mercato fisico, pone l’incentivatore statale di fronte ad una scelta diabolica: se il prezzo fisso offerto è troppo inferiore al prezzo spot, si abbassa la percentuale dei generatori che accettano il “contratto a due vie”; se è di poco inferiore allo spot, si abbassa il trasferimento ai consumatori dei vantaggi costo delle rinnovabili. I “contratti a due vie”, restando correlati ai prezzi elettrici spot e quindi del gas, sono utili per incentivare le rinnovabili, ma poco adatti a trasferirne i cali di costo ai consumatori, su cui anzi addossano il rischio di prezzo di lungo termine”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“Restano i Ppa, contratti a lungo termine tra privati, sinora poco diffusi. Il Gse come garante di un contratto Ppa rimuoverà il rischio di controparte, elevato in mercati con tanti piccoli operatori. Ma a prescindere dalle limitazioni che porrà il Mef, l’effetto di stimolo non è scontato. Per un generatore, resterà preferibile un contratto incentivato con lo Stato che un Ppa da negoziare. (…) nulla vieta di aspettare i frutti del progresso tecnico, sperando che il prezzo del gas resti basso e ricorrendo alla finanza pubblica quando schizza in alto. L’alternativa è chiara: senza sottovalutare le complessità del settore e la molteplicità degli interessi da contemperare, avviare in tempi brevi il ridisegno della struttura dei mercati fisici o perlomeno degli strumenti di incentivazione”, continua il giornale.
PNRR, SPESA CONTABILIZZATA 62,2 MILIARDI
“La spesa Pnrr contabilizzata è di 62,2 miliardi: l’ultimo dato in mano al governo, di cui il Foglio è entrato in possesso, conferma a pieno che gli investimenti procedono a ritmo molto blando. Il ministro Foti sta impostando il suo racconto sul rapporto fra la spesa effettiva e le risorse incassate finora dall’Unione europea: quindi poco più del 50 per cento dei 120 miliardi ricevuti a oggi. Operazione “matematica” legittima, finalizzata a creare un nesso fra l’attuazione buona del Pnrr – le rate incassate con il raggiungimento di tutti gli obiettivi – e l’attuazione “cattiva” – la spesa effettiva di investimento. Operazione che però non cancella né i ritardi cumulati nel tempo (certamente non responsabilità di Foti) né la sfida del rush finale verso il 30 giugno 2026. (…) La matematica ci dice che va peggio di quanto ci si sarebbe aspettato. Al 30 settembre 2024 la spesa era a 57,7 miliardi. Da allora la crescita sarebbe limitata a meno di cinque miliardi in 3-4 mesi, quando bisognerebbe spendere mediamente di qui alla fine del Piano almeno 7-8 miliardi al mese. Non si è visto neanche quell’effetto Regis atteso da tutti, a partire da Raffaele Fitto, che, presentando la sua ultima relazione disse che mancavano all’appello alcuni miliardi per la lentezza di contabilizzazione e che le norme del decreto legge Pnrr 4 avrebbero portato a un’immissione straordinaria di dati nel sistema proprio per superare i ritardi di contabilizzazione. Un paio di settimane fa, Foti ha ribadito che la contabilizzazione è uno dei problemi e che c’è una trattativa con Bruxelles per alleggerire procedure e documentazione. (…) Ci aiutano alcuni dati del ministero delle Infrastrutture, resi noti di recente. Ci sono tre numeri che, affiancati, sono davvero clamorosi: il dato medio della spesa delle opere Mit è del 57 per cento sul totale previsto (piuttosto buono); la spesa media delle opere ferroviarie dell’Alta velocità è del 27 per cento (in pratica sarà completata solo la Brescia-Padova); la spesa media di tutte le altre opere ferroviarie è del 93 per cento”, si legge su Il Foglio.
“C’è poi l’altro tema, la revisione generale del Pnrr, scomparsa dai radar. Doveva essere inviata a Bruxelles a febbraio, poi a fine febbraio, poi ai primi di marzo. Non solo non è arrivato nulla a Bruxelles, ma sono pure rallentate le riunioni che portano a quel documento. (…) Quello che trapela è che il governo – e ogni singolo ministero – lavora su tre soluzioni. Prima soluzione: mettere fuori dal Pnrr, del tutto o parzialmente, le opere che non potranno rispettare le scadenze e sostituirle con opere più facili da realizzare in tempi rapidi. Seconda soluzione, la rimodulazione finanziaria: è un negoziato con la Commissione per consentire di ricevere i finanziamenti parziali di opere che non si riusciranno a completare, definendo i pagamenti in funzione di quanto effettivamente speso. Terza soluzione: la rimodulazione creativa per individuare soluzioni, meccanismi e metodi che portino a “un Pnrr nel Pnrr” o, se si preferisce, a una transizione “post Pnrr”. (…) Bisogna attendere solo qualche giorno per capire come stanno le cose. Perché la proposta di revisione entro un paio di settimane dovrà essere comunque presentata se non si vogliono perdere i mesi che restano per recuperare almeno una parte dei ritardi. Dopo la presentazione c’è un tempo inevitabile per l’approvazione europea e poi bisogna inserire le nuove misure nel Piano e riaccendere i motori per marciare veloci”, continua il giornale.
IL CDA DI AUTOSTRADE E’ A UN BIVIO
“Due visioni contrapposte sul futuro di Autostrade per l’Italia (Aspi) cominceranno a confrontarsi nei cda che avranno luogo domani. Prima quello di Hra (Holding reti autostradali), la holding che controlla l’88% di Aspi e che vede il capitale ripartito tra la Cdp (51%) e i fondi infrastrutturali Blackstone (24,5%) e Macquarie (24,5%). Si dovrà approvare il bilancio 2024 e decidere la distribuzione del dividendo, che in passato è già stato frutto di discussioni tra gli azionisti. Il 2024 è stato un buon anno per Aspi, che secondo indiscrezioni dovrebbe aver portato a casa oltre un miliardo di utile netto. Se la distribuzione fosse pari al 75% dell’utile netto, come nell’anno passato, il beneficio per gli azionisti si avvicinerebbe agli 800 milioni. (…) «Bisogna capire che intenzioni ha Autostrade per l’Italia (sul Passante, ndr) che parla, parla e parla da tempo, che adesso va a rinnovo e che staccherà utili e dividendi per i soci di 900 milioni di euro fra poche settimane», è l’affondo fatto dal ministro Salvini sabato scorso dai gazebi della Lega a Bologna. E qui si entra a piedi uniti nello scontro che deve portare ad approvare il nuovo Pef (Piano economico e finanziario) quinquennale nei prossimi mesi. Nel luglio 2024 Aspi aveva presentato al ministero un piano di opere da 36 miliardi da realizzarsi tra il 2025 e il 2038, data di scadenza della concessione. Quel piano, però, senza un allungamento della concessione e finanziato tutto con i pedaggi sarebbe improponibile di fronte ai cittadini. E dunque Salvini ha chiesto alle strutture di Aspi di cercare di ottimizzarlo, dando priorità alle opere ma tenendo nel piano i due grandi interventi che da anni vengono annunciati ma mai realizzate”, si legge su La Repubblica.
“Salvini è risentito in particolare con i fondi soci di Hra che hanno fatto trapelare di avere allo studio un piano di investimenti da circa 22 miliardi, senza però includere Gronda e Passante. Basandosi su una proroga della concessione di 4 anni (fino al 2042) – che la Ue aveva già accordato nel 2018 proprio per rendere possibili quelle due gradi opere – l’onere per gli automobilisti in termini di aumento dei pedaggi sarebbe sostenibile. Al contrario, se si aggiungessero anche i 10 miliardi di Gronda e Passante si arriverebbe a circa 32 miliardi di investimenti e, per non far crescere troppo i pedaggi, bisognerebbe trattare con la Ue una proroga della concessione di 6-7 anni. (…) Intanto i soci già giovedì dovranno decidere all’unanimità (così prevede la governance) quale porzione di utile netto distribuirsi”, continua il giornale.
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