Effettua la tua ricerca
More results...
VIBO VALENTIA I primi interessi economici fra i Bonavota e i Mancuso «iniziarono con l’ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, un tratto di quei lavori passava da Sant’Onofrio» ma «io non ho partecipato a quell’estorsione e non ho mai percepito denaro dalla stessa». Lo racconta il collaboratore di giustizia Francesco Fortuna ai pm nel corso di un interrogatorio risalente al 21 febbraio 2025, i cui verbali sono stati acquisiti nel processo d’appello di “Rinascita-Scott”.
Fortuna, davanti ai pm, racconta altri dettagli sui rapporti tra i Bonavota e gli Anello, famiglia egemone del territorio di Filadelfia (e non solo), al centro dell’inchiesta “Imponimeno” della Dda di Catanzaro. Dopo l’avvicinamento dei Bonavota agli Anello, «i Bonavota iniziarono a prendere parte alle estorsioni su Pizzo Calabro, poi divise fra gli Anelo, i Bonavota e i Mancuso poiché non c’era una famiglia di Pizzo che la controllava. Negli anni ‘90 in cui Rocco e Tommaso Anello si trovavano in carcere per un lungo periodo, si erano insediati i Fiumara che per un po’ sono stati molto presenti sul territorio ma dalla scarcerazione dei fratelli Anello e con l’arresto di Claudio Fiumara tutto tornò come prima».
Nel corso delle dichiarazioni rese ai pm, il pentito Fortuna “ridisegna” anche la mappa del predominio del clan sul territorio. «A differenza di quanto affermato da diversi collaboratori di giustizia, Pizzo Calabro non era assolutamente divisa in zone, le famiglie che si dividevano il compenso erano gli Anello, i Bonavota e i Mancuso, questo valeva fino all’Angitola, fino all’uscita dello svincolo autostradale di Pizzo Calabro», da quel punto in poi «tutto passava nelle esclusive mani di Rocco e Tommaso Anello, tranne i villaggi turistici su cui i Mancuso avevano invece il predominio unitamente agli Anello». Secondo il pentito, dunque, i fratelli Anello «avevano controllo del territorio fino alla zona industriale di Lamezia Teme chiamata (ex sir) da lì in poi la competenza ricadeva nelle mani dei Lametini, ma fino a quel limite tutte le attività partendo dall’Angitola e tutti i lavori che venivano effettuati in quello spazio venivano controllati dagli Anello».
Fortuna, però, chiarisce un aspetto: «Le estorsioni effettuate dai Mancuso, Anello e Bonavota su Pizzo Calabro non erano indirizzate su bar, negozi o ristoranti e neanche sui lavori di una semplice abitazione familiare, le estorsioni erano indirizzate a lavori più corposi come ad esempio i complessi residenziali, strade e altro».
La “vecchia amicizia” e la Svizzera
Il pentito ha poi raccontato i dettagli dell’amicizia di lungo corso tra la famiglia Bonavota e gli Anello, «un’amicizia ereditata dal padre» dice, «Rocco Anello era ancora minorenne quando andò con una macchina senza neanche avere la patente a Sant’Onofrio a prendere Vincenzo Bonavota e fargli trascorrere la sua latitanza a Filadelfia». «Rocco Anello ha una grossa disponibilità di armi che, per la maggior parte, provenivano dalla Svizzera in quanto alcuni soggetti che dimoravano e lavoravano lì, ogni volta che tornavano in Italia per le ferie gli portavano armi». Armi che, secondo i racconti di Fortuna, Rocco Anello avrebbe venduto spesso ai Bonavota, «una volta delle mitragliette Uzi, una volta dei fucili Winchester ed una volta dei fucili automatici e regalò anche una pistola a Domenico Bonavota di cui non ricordo il calibro». E, a proposito di Svizzera, «so – ha raccontato ancora Fortuna – che Rocco Anello aveva molti interessi lì poiché quando era libero, a suo dire si recava spesso in Svizzera ma non se ha delle attività».
Nei racconti di Fortuna, poi, vengono citati i fratelli D’Amico, coinvolti nell’inchiesta “Petrolmafie” e i rapporti intrattenuti con loro in particolare da Giuseppe Barbieri «per conto dei Bonavota e soprattutto di Domenico». «La Dmt non era mai stata sottoposta ad estorsioni e non era mai stata toccata, ma i fratelli D’Amico erano a loro completa disposizione cambiando assegni mentre uno dei due fratelli D’Amico ha fatto da compare ad uno dei figli di Domenico Cugliari». I D’Amico «assumevano anche delle persone per lavorare nella loro azienda quando gli veniva chiesto dai Bonavota». Inoltre, sempre secondo il racconto di Fortuna, i fratelli D’Amico «avevano un ottimo rapporto con quasi tutte le famiglie di ‘ndrangheta del vibonese». «Quello coi Bonavota – ha spiegato – nasce da una stretta amicizia tra Vincenzo Bonavota e Francesco D’Angelo, suocero di Giuseppe D’Amico». Fortuna dice di non essere certo «se i D’Amico facciano parte o no del locale dei Piscopisani «ma per i rapporti che intrattenevano con la cosca Bonavota e per i buoni rapporti che avevano con tutte le cosche del vibonese sicuramente sarebbero stati a loro completa disposizione qualora avessero fatto richiesta». (g.curcio@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link