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Un ulteriore passo avanti per dare ordine alla gestione della migrazione nell’Unione Europea con, soprattutto, una visione comunitaria, che metta fine alla frammentazione.
E’ quanto promette il nuovo regolamento sui rimpatri – non più una direttiva e dunque subito applicabile, obbligatoriamente, dai singoli Stati membri – che la Commissione presenterà domani a Strasburgo. Stando al testo – anticipato dall’ANSA – tra le novità si conta un “ordine di rimpatrio europeo” che accompagnerà i provvedimenti nazionali così da essere eseguibile in tutta l’Ue, l’introduzione di un ‘divieto d’ingresso’ e una sostanziale apertura agli hub di rimpatrio, seppure rispettando alcuni principi. Il regolamento introduce in generale regole più severe per chi non ha diritto alla protezione internazionale all’interno dell’Ue benché (come testimonia il paragrafo 11 dell’introduzione) “nessuno sarà espulso o estradato in un Paese dove c’è un rischio serio di essere soggetto alla pena di morte, tortura o altri trattamenti degradanti”. Ciò detto, in mancanza della collaborazione della persona in questione le autorità sono autorizzate a determinare il Paese di origine “sulla base delle informazioni disponibili” e indicare “la nazione o le nazioni” più probabili nell’ordine di rimpatrio.
Che appunto prevede il mutuo riconoscimenti da parte dei 27 Stati membri. L’articolo 10 introduce inoltre, come accennato, l’istituzione del ‘divieto d’ingresso’ nel territorio dell’Ue alla persona che “non collabora con il processo volontario” di rimpatrio – che scatta per tutti coloro i quali non hanno diritto all’asilo – non lascia lo Stato membro “entro la data indicata” oppure si sposta in un altro Stato membro “senza autorizzazione”. Il divieto – che arriva ad un massimo di 10 anni – si applica anche, in base a quanto previsto dall’articolo 16, a chi pone “un rischio alla sicurezza” dei Paesi Ue. Un articolo, quest’ultimo, che rappresenta un giro di vite contro chi commette dei reati prevedendo la detenzione sino all’espulsione e che va letto in filigrana con l’articolo 29, quello che regola gli altri casi in cui le persone possono finire dietro le sbarre, compreso “il rischio di fuga”. Misure più stringenti risparmiate, di norma, a famiglie con minori e ai minori. L’altra novità è la “possibilità di rimpatriare” le persone “nei confronti delle quali è stata emessa una decisione di espulsione verso un Paese terzo con il quale esiste un accordo o un’intesa di rimpatrio (hub di rimpatrio)”, seppure soggetta “a condizioni specifiche per garantire il rispetto dei diritti fondamentali”. In pratica si tratta di un’apertura al modello Albania. E qui scattano le critiche dei socialisti europei.
“La politica sui rimpatri è parte di un sistema migratorio funzionante e crediamo che una maggiore cooperazione a livello Ue possa migliorarla”, spiega l’eurodeputata tedesca Birgit Sippel, coordinatrice S&D nella commissione per le libertà civili. “Sarebbe un errore guardare al piano Regno Unito-Ruanda o all’accordo Italia-Albania: sono legalmente discutibili e sprecano enormi quantità di denaro dei contribuenti”. Stando al testo, le linee guida sono però molto stringenti. Gli accordi si possono stilare solo con Paesi dove sono rispettati “i diritti umani” e devono stabilire “le modalità” di trasferimento, nonché “le condizioni” per il periodo di permanenza, che può essere “a breve o più lungo termine”. L’intesa è accompagnata infine da “un meccanismo di monitoraggio” per valutare in modo continuo l’attuazione dell’accordo. Insomma, la possibilità di esternalizzare la filiera della migrazione non darà carta bianca alle capitali. Al contempo, nel regolamento vi è una maggiore attenzione alla cosiddetta “dimensione esterna” del fenomeno e aumenta la trasparenza e il coordinamento nell’approccio verso i Paesi terzi in materia di riammissione, incluso il trasferimento dei dati. Con le nuove regole, se approvate, si dovrebbe migliorare la percentuale dei rimpatri, al momento ferma al 20% tra chi riceve un foglio di via ad ogni angolo dell’Ue.
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