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Raggiri alla sanità pubblica e mazzette sui certificati di morte: c’è anche l’ex consigliere municipale di Chiaia Salvatore Alajo tra i 70 arresti (19 in carcere e 51 ai domiciliari) per una raffica di truffe e falsi architettati nel cuore dell’Asl Napoli 1 di Napoli, la più grande azienda sanitaria d’Europa per dimensioni e assistiti. Alajo non è nuovo a finire nel mirino di indagini di questo tipo: nel 2009 fu arrestato per un giro di circa 250 pratiche fasulle di invalidità e un danno all’Inps di circa 2 milioni di euro, poi condannato a 6 anni: era ritenuto il regista di un sistema per far considerare come ciechi persone che in realtà ci vedevano benissimo.
Le indagini dei carabinieri del Nas di Napoli agli ordini del colonnello Alessandro Cisternino, coordinate dal procuratore aggiunto Sergio Amato e dal procuratore Nicola Gratteri, avrebbero accertato l’esistenza di una associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, truffa al servizio sanitario nazionale, falso, peculato e concussione. Reati consumati intorno al rilascio dei certificati necessari per il trasporto e la cremazione delle salme, e contestati a medici dell’Asl, titolari di imprese funebri e impiegati al Comune di Napoli. Uniti da un modus operandi collaudato e riassunto in ben 387 capi di imputazione. La centrale degli imbrogli è stata localizzata negli uffici del distretto 24 di Napoli, in via Chiatamone, già sede di precedenti indagini sui falsi invalidi. Gli investigatori l’avevano riempita di cimici e telecamere nascoste.
La rete era ben articolata. Composta da referenti delle pompe funebri, procacciatori del mondo dei patronati e delle pratiche di invalidità civile, dipendenti pubblici dell’ufficio cimiteriale ed anagrafe. Esisteva un tariffario, per il certificato di morte naturale presso il proprio domicilio e per una falsa invalidità grazie alla quale ottenere il contrassegno parcheggio disabili. Bastava pagare. Ed il documento necessario veniva consegnato direttamente all’uomo delle pompe funebri, per il via libera immediato alla cremazione senza test del Dna e senza consenso dei congiunti. In qualche caso invece il test Dna veniva rilasciato dietro mazzetta. Il tutto poi veniva sempre addebitato al cliente finale. Cinquanta euro, in particolare, era il costo del certificato di morte naturale e settanta euro quello per il test del Dna in caso di cremazione.
Tra i destinatari delle misure cautelari anche cinque dirigenti medici (intascavano i soldi delle imprese funebri) e diversi impiegati dell’Asl Napoli 1 Centro, oltre a impiegati comunali dell’ufficio di stato civile e una trentina di imprenditori delle pompe funebri (due dei quali nel frattempo deceduti) insieme a diversi intermediari. L’inchiesta in due anni ha documentato, anche in video, 300 episodi. Nel corso delle perquisizioni di stamane, effettuate insieme agli arresti, sono stati sequestrati decine di kit per l’esame del Dna dell’Asl Napoli 1 Centro e negli uffici delle imprese funebri. Oltre ai kit, sono state sequestrate somme in denaro da quantificare, ed oltre 30mila euro come disposto dal decreto del gip.
In un filmato diffuso dal Nas, si vede lo scambio di denaro-documenti, in particolare con i titolari delle imprese che consegnerebbero al medico certificati già firmati. “L’impresa – ha spiegato il procuratore aggiunto Amato – va dal medico già con la documentazione pronta” mentre il medico “accertava e attestava di aver fatto visita a casa senza essere mai andato e senza aver neanche prelevato il Dna”. Un contributo decisivo al sistema lo avrebbero offerto i dipendenti comunali di Napoli: secondo i pm, dietro tangente, hanno rilasciato irregolarmente le autorizzazioni necessarie al trasporto delle salme, chiudendo un occhio sui controlli di autenticità delle firme per le cremazioni. Alcuni sono accusati di aver avvertito i titolari delle pompe funebri dell’esistenza di indagini in corso. Cinque medici sono accusati di aver attestato falsamente la presenza al lavoro, ed infatti questa inchiesta era nata su iniziali ipotesi di assenteismo, segnalate dall’Asl Napoli 1 dopo un esposto anonimo. “È un’indagine diversa, che riguarda medici, infermieri, società che gestiscono i servizi di pompe funebri – ha spiegato il procuratore Gratteri – sulla gestione di tutto ciò che riguarda le morti, le attestazioni del Dna per avere la certezza che corpo appartiene ad esatta identificazione del cadavere. Gli esami non venivano fatti da medici, bensì direttamente dai titolari delle pompe funebri, attraverso kit custoditi nelle agenzie e già firmati dai medici”.
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