La ferocia patriarcale sulla famiglia e l’ambiente

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Un padre autoritario che rovina la propria famiglia soffocando moglie e figli senza ascoltare le loro esigenze e desideri e mettendo davanti a tutto i propri loschi affari. Una volontà di dominio sulla famiglia che si estende sul territorio circostante intossicandolo letteralmente, sversando rifiuti speciali sotto le fondamenta di un villaggio turistico in una zona di pregio del Sud. Una storia che potremmo dire di ordinaria corruzione nel bel paese che mostra lo stretto legame tra la disintegrazione dei legami affettivi e quelli sociali, tra la violenza che si esercita sui corpi delle persone e la violenza che si agisce sull’ambiente che torna come un boomerang a minare la salute degli stessi autori del disastro.

Dal Romanzo “La ferocia” di Nicola Lagioia già Premio Strega e Premio Mondello nel 2015, è andato in scena sul palco dell’Arena del Sole lo spettacolo di VicoQuartoMazzini vincitore di quattro Premi Ubu nel 2024 tra i quali quello come migliore spettacolo di teatro e miglior disegno luci. In scena Francesca Mazza vincitrice dell’UBU come migliore attrice protagonista per questo spettacolo in cui interpreta Annamaria la moglie del feroce Vittorio Salvemini e Leonardo Capuano a cui è stato assegnato il premio come miglior attore per aver vestito i panni proprio del padre padrone e affarista Salvemini. Nel cast figura anche Gabriele Paolocà che rappresenta il volto più umano della famiglia, il figlio Michele, pecora nera della famiglia perché fuggito a Milano a scrivere per piccole riviste pur di allontanarsi dal clima corrotto della famiglia. E’ lui che, tornato dopo la morte della sorella Clara, non si accontenta dei rapporti ufficiali del medico legale e indaga fino a scoprire le circostanze della morte della giovane e i legami tra la sua morte e il sistema di corruzione che coinvolge il padre e altri illustri personaggi della città di Bari.

Paolocà/Michele si fa mediatore nel rapporto tra la corruzione della famiglia e il pubblico come e indaga e comprende le trame nascoste che riguardano la vita della sorella e gli affari del padre. Portavoce invece del pensiero autoriale di Lagioia è il giornalista e speaker di un’ipotetica radio locale, interpretato da Gaetano Colella, che compare in un piccolo studio di registrazione intento a narrare e commentare la vicenda.

La vicenda racconta la corruzione nel Sud Italia, «non come un’eccezione ma come una regola», affermano i registi Michele Altamura e Gabriele Peolocà, una realtà in cui per l’ingordigia economica tutti sono disposti a dare un prezzo alla deroga dalla propria integrità e non c’è un soggetto di potere che non sia coinvolto negli intrighi a danno della collettività e della salute pubblica.

La vicenda è costruita secondo la legge formale del tragico che prevede l’annientamento del soggetto per una forza liberata dal soggetto stesso e che si abbatte contro di lui. Così Vittorio Salvemini nell’attesa di vedere il suo villaggio turistico superare tutti i controlli ambientali a suon di ingenti mazzette, finisce per essere avvelenato dagli stessi rifiuti tossici che ha consentito venissero rovesciati nottetempo sul terreno prima dell’inizio dei lavori di costruzione di eleganti villette. Il figlio Michele, come un Oreste vendicatore, denuncia il padre una volta compreso cosa è successo alla sorella e tutte le losche trame del padre. Tutti esprimono la propria ferocia nei dialoghi, nei rapporti con gli altri e alla fine anche il mite Michele si comporta come un gatto di casa ritrovatosi libero divenendo capace di essere un abile cacciatore.

La ferocia entra in ogni aspetto delle vite private e degrada la politica interconnettendo le scelte individuali con la realtà sociale. Nel ritratto di un mondo amorale la narrazione chiama in causa spettatrici e spettatori affinché non si perpetui il disinteresse per come vanno le cose, nella convinzione che non possano cambiare e che tutto è perduto, ma sollecita una presa di posizione di presa in carico della situazione esistente per quanto grave, per una ricostruzione possibile, a partire da chi, come Michele, non si è voltato dall’altra parte per un proprio tornaconto personale.

Il dispositivo scenico ideato da Daniele Spanò e realizzato dall’Officina Scenotecnica Gli Scarti, permette di rappresentare visivamente con efficacia come ormai sia davanti agli occhi di tutti e tutte la dinamica corruttiva e la ferocia del presente. I Salvemini vivono in una casa di vetro, tutto il marcio è solo apparentemente nascosto, ma realmente manifesto e conosciuto dalla cittadinanza. Non servono molte mosse per arrivare alla verità, serve coraggio però a denunciarla perdendo i benefici della complicità. Scene, luci e musiche sono sicuramente i punti di forza di questo spettacolo, oltre alla bravura degli attori che animano i personaggi e le personagge. Seppure molto interessante e ben costruito, lo spettacolo a tratti annoia e le urla a turno di ogni personaggio rendono anche il palcoscenico simile a tante scene televisive in cui rimbombano parole ad alti decibel facendo perdere il filo del ragionamento.

Non così nuovo nella proposta teatrale, come altri lo hanno descritto, La ferocia ha tratti di consueto e di riconoscibile, vi leggiamo benissimo il nostro presente, ne restiamo inorriditi, si esce da teatro con la rabbia e lo scoramento che abitualmente proviamo davanti a tg. E’ un ottimo congegno teatrale anche se forse le aspettative, motivate dai tanti premi assegnati allo spettacolo e ai suoi interpreti, avevano ingenerato ipotesi di un maggior grado di innovatività e l’attesa di irresistibili sorprese.





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