Il credito alle imprese è un’emergenza

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Le banche italiane hanno ridotto drasticamente i prestiti alle imprese. Soluzioni alternative non si sono sviluppate per le condizioni del mercato dei capitali e le dimensioni aziendali. Forse bisogna ripensare all’assicurazione pubblica dei crediti.

Prestiti in calo da anni

I processi di aggregazione in corso nel settore bancario hanno riacceso le preoccupazioni delle imprese sull’accesso al credito. Il timore è che banche più grandi e lontane dal territorio siano meno interessate a prestare alle piccole imprese, che rappresentano il cuore del nostro apparato produttivo. Inoltre, i processi di fusione possono portare a una concentrazione del rischio e a una conseguente riduzione del credito (1+1=1,5). Neppure una puntigliosa attività delle autorità volta a tutelare la concorrenza riesce ad affrontare pienamente il problema.

Tuttavia, la questione dell’accesso al credito, che risulta fondamentale per la crescita economica, in Italia ha una portata ben più ampia di quella legata alle aggregazioni bancarie e rasenta un’emergenza nazionale. Da un lato, infatti, negli ultimi quindici anni le banche italiane, che pure si sono molto rafforzate in termini organizzativi, reddituali e patrimoniali, hanno operato una drastica riduzione delle loro erogazioni alle imprese che ha pochi paragoni con gli altri principali paesi. Dall’altra, la dimensione microscopica delle nostre aziende e l’arretratezza del nostro mercato dei capitali faticano a far nascere strumenti e operatori non bancari che possano finanziare le imprese.

Cominciamo con qualche dato riferito all’Italia. Come si può vedere dalla figura 1 sono oramai molti anni che il credito bancario alle imprese si riduce. La caduta, poi, è più evidente negli ultimi anni soprattutto nei riguardi delle imprese più piccole. Dal 2011 a oggi, in termini nominali, i prestiti bancari alle aziende si sono ridotti di oltre un terzo: da più di 900 miliardi di euro a circa 600 miliardi. La contrazione è stata, ovviamente, ben più forte in termini reali se teniamo a mente che nel frattempo abbiamo assistito alla più alta inflazione dell’ultimo mezzo secolo.

Figura1 – Prestiti alle società non finanziarie per classi dimensionali
Variazioni percentuali sui 12 mesi

Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia

Le nuove normative prudenziali introdotte dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008 e quella del debito sovrano europeo del 2010-2011, nonché le pesanti perdite accumulate in quelle occasioni sui crediti deteriorati sono il punto di svolta nelle erogazioni del credito delle banche. A spiegare la scelta contribuisce anche un rapporto rischio-rendimento dell’attività di lending meno interessante rispetto a quello della gestione del risparmio e dell’attività assicurativa.

La situazione di oggi

L’unica eccezione alla continua caduta dell’attività di prestito alle imprese è rappresentata dal periodo del Covid (2020- 2022), quando il sistema è stato inondato di liquidità, i tassi sono divenuti negativi, ma soprattutto sono stati messi in piedi massicci meccanismi di garanzia pubblica del credito. Da un lato, hanno limitato i rischi delle banche, dall’altro, hanno permesso di neutralizzare gli assorbimenti di capitale dell’attività di lending. Ora però i tassi sono alti in termini reali, Basilea 3 – introdotta lo scorso gennaio – ha aumentato ulteriormente l’assorbimento di capitale, mentre le garanzie pubbliche sono in fase di smantellamento.

A parziale riprova che la contrazione del credito sia dovuta a una riduzione dell’offerta più che a una contrazione della domanda, il grafico 2 mostra come la percezione di accesso al credito bancario da parte delle imprese sia continuamente peggiorata. Infatti, nelle rilevazioni trimestrali, la percentuale di intervistati che ogni trimestre risponde che le condizioni di accesso al credito sono peggiorate rispetto al trimestre precedente è quasi sempre molto superiore a quella di chi le vede in miglioramento. Anche la più soddisfacente situazione economico-patrimoniale e l’abbondante liquidità detenuta da alcune aziende non cambia il quadro complessivo della situazione.

Appaiono, allora, un po’ ottimistiche le conclusioni del governatore della Banca d’Italia all’ultimo convegno di Assiom Forex. Ha affermato che sulla base delle ultime informazioni disponibili “In Italia la dinamica del credito resta negativa, sebbene emergano segnali di ripresa. Diversi indicatori suggeriscono che questo andamento, pur influenzato da politiche di offerta improntate alla cautela, dipende principalmente dalla debolezza della domanda di prestiti. Il fabbisogno finanziario delle imprese rimane contenuto per effetto della buona redditività e della fiacchezza degli investimenti. Inoltre, la percentuale di aziende che segnalano difficoltà di accesso al credito è in calo (…)”.

Vero nel brevissimo orizzonte, ma non certo se allarghiamo lo sguardo al medio-lungo periodo.

Figura 2 – Condizioni di accesso al credito rispetto al trimestre precedente
(saldo migliore – peggiore)

Cosa accade nel resto del mondo

La riluttanza delle banche a prestare alle imprese non finanziarie non riguarda solo l’Italia. Si manifesta con intensità e caratteristiche diverse in molti paesi. Ad esempio, nell’area dell’euro, fra il 2010 e oggi gli impieghi alle imprese si mantengono praticamente stabili attorno ai 5mila miliardi in termini nominali, ma in calo in termini reali. Differenze significative appaiono fra i diversi i paesi: in forte calo in Italia, Spagna e Portogallo, in leggera crescita in Germania e Francia.   

Particolarmente interessante è il caso degli Stati Uniti dove negli ultimi cinquanta anni i prestiti concessi dalle banche hanno continuato a perdere terreno rispetto agli altri intermediari bancari. La loro quota di mercato è passata dal 60 per cento dei primi anni Settanta all’attuale 35 per cento. La forte inflazione dei primi anni Settanta vide la nascita dei primi commercial paper e corporate bond emessi dalle imprese con miglior rating. Poi l’ascesa delle obbligazioni high yield negli anni Ottanta e i progressi della cartolarizzazione hanno permesso a un maggior numero di mutuatari di bypassare le banche. Infine, a partire dal 2008, le imprese di fascia media e i mutui ipotecari si sono sempre più allontanati dalle banche. È bene tuttavia sottolineare che il rapporto banche e intermediari non bancari è spesso anche cooperativo. Infatti, in molti casi le aziende di credito sono i principali finanziatori di queste iniziative. In altri casi, banche e fondi hanno stipulato vere e proprie alleanze commerciali (Citigroup-Apollo Global Management, Wells Fargo- Centerbridge), Infine, alcune banche hanno sponsorizzato la nascita di loro fondi di debito (JPMorgan, Goldman Sachs e Morgan Stanley). 

Figura 3 – Quota degli impieghi bancari alle imprese sul totale dei prestiti negli Usa

Un’assicurazione pubblica per il credito

In Italia, la dimensione delle imprese e l’arretratezza dei mercati e degli intermediari lasciano poche alternative al credito bancario. Come indurre, allora, le banche a prestare di più? Forse il modo più semplice per andare incontro a questo “fallimento di mercato” è quello di rivitalizzare le iniziative di assicurazioni pubblica al credito che hanno dato eccellenti risultati durante la pandemia e ancora continuano a operare, seppure a regime ridotto e a tempo determinato. Si tratta di trasformare lo strumento da aiuto di stato straordinario a strumento di mercato ordinario, in cui il premio assicurativo sia proporzionale ai rischi assunti dallo stato e diviso in maniera equa fra sistema bancario e imprese. Peraltro, è utile osservare che sinora gli oneri che lo stato si è accollato sono stati molto inferiori alle aspettative.

In fondo, non sarebbe la prima volta che allo stato viene assegnato un ruolo assicurativo come ci ricordano Otto von Bismarck, Jhon Maynard Keynes, William Beveridge, Franklin D. Roosevelt, Amartya Sen e tanti altri. 

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Rony Hamaui

hamaui Rony Hamaui laureato all’Università Commerciale L. Bocconi e Master of Science alla London School of Economics. È professore a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente di Intesa Sanpaolo ForValue. È consigliere del CDEC e del LSE-Alumni. E’ stato direttore Generale di Mediocredito e AD di Mediofactoring. Ha ricoperto numerosi incarichi presso il gruppo Intesa Sanpaolo; e’ stato responsabile del Servizio studi della Banca Commerciale Italiana nonché professore a contratto presso l’ Università di Bergamo e l’ Università Bocconi. Ha lavorato presso l’Istituto per la Ricerca Sociale. È autore di numerosi articoli scientifici e ha scritto e curato diversi libri riguardanti gli intermediari e i mercati finanziari internazionali nonché la finanza islamica.



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