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Ddl Spazio, ecco perché le polemiche sono pretestuose
È davvero singolare la polemica creata, anche forse un po’ ad arte, dalle opposizioni sul recente ddl sullo spazio, che ha appena ricevuto il via libera dalla Camera. Il provvedimento, proposto dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, autorità delegata alle politiche spaziali e aerospaziali, regola l’accesso allo Spazio, promuove investimenti nel settore per accrescere la competitività nazionale, incentiva la ricerca e lo sviluppo di competenze e per valorizzare le tecnologie per l’osservazione della Terra, utili nella prevenzione dei rischi naturali e antropici.
Si tratta di un primo importante passo a livello europeo verso quella economia dello spazio che tanto interesse sta suscitando. “È la prima legge italiana sullo Spazio, è la legge nazionale più avanzata in Europa sulla regolamentazione dell’attività dei privati in orbita. Sarà di ispirazione per il prossimo Space Act europeo, di cui sollecitiamo la realizzazione in un apposito non paper presentato con la Germania e di cui proprio ieri ho discusso anche con il ministro danese Christina Egelund. L’Italia indica all’Europa la rotta sullo Spazio”, ha detto Urso in una recente intervista al Giornale. Il dibattito in Aula sul ddl Spazio, però, si è concentrato da subito sull’articolo 25, il più discusso, perché è quello che permetterebbe agli operatori stranieri di avere un ruolo di primo piano nei sistemi di comunicazione digitale in Italia.
Il tutto attraverso la creazione di una Riserva di capacità trasmissiva nazionale – vale a dire di un sistema di trasmissioni da utilizzare in caso di calamità naturali, conflitti o altre situazioni di emergenza. – da affidare, come si diceva, anche a privati. Di fatto, dicono i detrattori, una porta spalancata per Starlink in Italia. Ma, come detto, si tratta di una polemica pretestuosa, considerando che ad oggi Starlink è di gran lunga il maggior operatore mondiale nel settore, e considerando come comunque il ministero di Urso abbia aperto discussioni anche con il consorzio Eutelsat. E comunque in ogni caso, va precisato che il disegno di legge prevede una serie di requisiti per l’accesso delle aziende aerospaziali nel mercato spaziale italiano. Più nel dettaglio, il testo stabilisce che i soggetti interessati a entrare nel mercato spaziale dovranno chiedere un’autorizzazione all’Agenzia spaziale italiana (ASI). Dopo aver accertato una serie di requisiti, tra cui la sicurezza e la sostenibilità ambientale, l’ASI invierà la richiesta al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e al Comitato interministeriale sullo spazio, che daranno l’eventuale via libera all’azienda in questione per operare nello spazio. E poi uno degli obiettivi del ddl, sarebbe anche quello di porre le condizioni proprio per creare una filiera italiana ed europea del settore spazio. L’Italia è uno dei pochi paesi al mondo che può vantare un budget per lo spazio di oltre 1 miliardo di dollari ed è il terzo contributore dell’European Space Agency con 2,3 miliardi di euro dopo Francia e Germania.
È anche uno dei pochissimi paesi ad avere una filiera completa su tutto il ciclo, dall’accesso allo spazio alla manifattura, dai servizi per i consumatori ai poli universitari e di ricerca, con un’ottima distribuzione delle attività su tutto il territorio concentrandosi però principalmente nel Lazio, in Lombardia, Piemonte, Campania e Puglia. Un panorama industriale formato da grandi attori presenti sui mercati internazionali che si è arricchito, negli ultimi anni, con il contributo di piccole e medie imprese, come start-up e spin-off, che insieme rappresentano un eccellente potenziale per la crescita. Quello della space economy è considerato uno dei settori tra i più interessanti da qui ai prossimi dieci anni e sul quale molti paesi stanno investendo in gran quantità tempo e risorse finanziarie ed umane.
Un nuovo rapporto del World Economic Forum pubblicato lo scorso aprile, mostra come l’economia spaziale globale possa affrontare molte delle sfide più urgenti dell’industria e della società del mondo. La nuova ricerca prevede che la valutazione del settore potrebbe salire fino a 1,8 trilioni di dollari entro il 2035 e competere all’incirca con le dimensioni e la portata dell’industria globale dei semiconduttori, con le tecnologie spaziali che dovrebbero diventare onnipresenti nella vita di tutti i giorni come lo sono oggi i semiconduttori. Secondo invece le valutazioni di banche d’affari importanti come Morgan Stanley e Merrill Lynch, a livello mondiale il segmento downstream, costituito dalle applicazioni innovative e dai servizi avanzati, porterà il settore spaziale a raggiungere un valore fra i 1.000 e i 2.700 miliardi di dollari entro il 2040.
Insomma, per una volta che il nostro paese si muove prima degli altri paesi in Europa su un settore così strategico, non si perde occasione di aprire polemiche e distinguo. È purtroppo la solita storia di un paese che fatica a trovare unità di intenti su questioni fondamentali come è appunto quella dell’economia dello spazio. Troppe volte ci si è lamentati sul fatto che il nostro paese manifesta quella mancanza di volontà nel fare sistema, a tutti i livelli, per rafforzare le nostre imprese e la loro competitività. Le polemiche pretestuose e fuorvianti create sul ddl sullo spazio sono l’ennesima prova che questa antica cattiva abitudine è dura a morire.
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