il sistema regge ma servono scelte coerenti

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Grazie a un’occupazione in ripresa, migliora il rapporto attivi/pensionati, fondamentale indicatore di tenuta della previdenza italiana: nel 2023, si attesta a quota 1,4636. Il traguardo resta la “soglia della semi-sicurezza” ma, nel complesso, il sistema regge e continuer� a farlo, a patto di compiere scelte oculate su politiche attive per il lavoro, anticipi ed et� di pensionamento

Mara Guarino

Dal Dodicesimo�Rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2023”, redatto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali,�emergono alcuni indicatori utili a valutare la sostenibilit�della previdenza pubblica italiana:1) aumenta, ancora una volta, il numero di pensionati, che salgono dai 16,131 del 2022 ai 16,230 milioni del 2023 (+98.743);�2)�dopo la forte crisi causata da COVID-19, prosegue la netta risalita del tasso di occupazione, che a fine 2023 sfiorava il 62%, pur restando tra i pi� bassi d’Europa;�3)�trainato soprattutto dal numero degli occupati, risale fino a quota 1,4636 il rapporto tra attivi e pensionati, che fa segnare il miglior dato di sempre nella serie storica tracciata dal Rapporto.�

Quelli commentati questo pomeriggio,nel corso del convegno di presentazione tenutosi nella Sala della Regina della Camera dei Deputati, sono numeri che fanno riflettere, descrivendo�un sistema s� in equilibrio ma la cui stabilit� nei prossimi anni dipender� sia dalla capacit� di porre un limite�alle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero e all’eccessiva commistione tra previdenza e assistenza cui si � assistito negli ultimi anni,�sia da quella di affrontare adeguatamente la transizione demografica in atto.�

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Pensionati e prestazioni�

Dopo un trend positivo avviatosi nel 2009 e proseguito in modo costante fino al 2018 per effetto delle ultime riforme previdenziali che hanno innalzato gradualmente requisiti anagrafici e contributivi, il�numero di pensionati italiani si mostra di nuovo in risalita: al 2023,�i percettori di assegno pensionistico sono 16.230.157, a fronte dei 16.131.414 nel 2022 e dei 16.004.503 del 2018, anno in cui si era toccato il valore pi� basso di sempre. Un incremento ascrivibile alle molteplici vie d’uscita in deroga alla Fornero introdotte dal 2014 in poi e culminate negli ultimi anni con l’approvazione dapprima di Quota 100 nel 2019 e, a seguire, di Quota 102 e Quota 103.�Su 3,63 residenti italiani almeno uno � pensionato,�dato obiettivamente molto elevato se si tiene conto che il picco dell’invecchiamento della nostra popolazione verr� toccato nel 2045.

Figura 1 – L’andamento del numero dei pensionati dal 1997 a oggi

Figura 1 – L’andamento del numero dei pensionati dal 1997 a oggi

Fonte: Dodicesimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, Itinerari Previdenziali

Nel dettaglio,�il Dodicesimo Rapportorileva un aumento di 98.743 pensionati rispetto al 2022�(+0,61% in termini di variazione percentuale), con gli uomini che salgono di 68.963 unit� e le donne pensionate che incrementano invece il loro numero, nel confronto con la precedente rilevazione, di 29.780 unit�. A ogni modo,�degli oltre 16 milioni di pensionati italiani il 51,6% � rappresentato da donne,�tra l’altro destinatarie dell’85,8% del totale delle pensioni di reversibilit� (con quote della pensione diretta del dante causa variabili tra il 60% e il 30%, in base al reddito del superstite).�

Venendo poi al numero di prestazioni pensionistiche,�al 2023 ne risultano in pagamento 22.919.888,�con una crescita di oltre 140mila trattamenti (+0,65%) rispetto alle 22.772.004�dello scorso anno.�Nel dettaglio, si tratta di 17.752.596 prestazioni erogate nella tipologia IVS,�cui vanno aggiunte�4.540.149 pensioni assistenziali INPS�e 627.143 prestazioni indennitarie INAIL.�Rispetto al precedente Rapporto calano quindi le pensioni indennitarie (-2,19%), mentre crescono sia le prestazioni IVS (+0,24%) sia quelle di natura assistenziale (+2,70%),�cui va principalmente imputato l’aumento complessivo dei trattamenti somministrati.�Una tendenza che trova conferma anche nell’analisi di lungo corso condotta dal Centro Studi e Ricerche: nel periodo compreso tra 2008-2023, si rileva una diminuzione di ben 787.407 prestazioni (-3,32% in sedici anni) cui ha contribuito per� soprattutto l’andamento di pensioni IVS (-4,69%) e prestazioni indennitarie (-34,07%); in netta��controtendenza invece i trattamenti assistenziali, che hanno registrato una variazione positiva del 9,95% (pari a 410.855 unit�) nello stesso arco temporale.�

A prescindere dalla tipologia, in media, ogni pensionato riceve 1,421prestazioni.�Ci� significa che � in pagamento una prestazione ogni 2,574 abitanti, vale a dire circa una per famiglia;�valore tutto sommato stabile rispetto alle ultime rilevazioni ma che salirebbe addirittura a una prestazione ogni 2,1 abitanti considerando nel computo anche il reddito di cittadinanza (ancora in vigore seppur con modifiche nel 2023) e i trattamenti assistenziali erogati dagli enti locali.�

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Occupati�

Dopo il difficile biennio 2020-2021, caratterizzato da COVID-19 e dagli effetti sul mercato del lavoro delle misure di contenimento dei contagi,�� proseguita anche nel 2023 la crescita del numero di occupati,�risalito fino a 23.754.000 unit�, valore nettamente superiore a quello pre-pandemico (da considerare in ogni caso anche la variazione nel metodo di rilevazione Istat che non tiene pi� conto di lavoratori in CIG e inattivi da oltre 3 mesi). E se lo slancio del nostro mercato del lavoro � proseguito anche nel 2024, tanto che al 30 ottobre scorso�i dati sullo stock di occupazione indicavano 24.092.000 occupati,�per un tasso pari al 62,5%, con solo poco pi� di 24 milioni di lavoratori su una popolazione in et� da lavoro di circa 38 milioni di individui�l’Italia resta per� tra le nazioni peggiori in Europa.

Secondo i dati Eurostat riferiti al 2023, il nostro Paese � infatti all’ultimo posto per occupazione globale, distante di 9 punti percentuali dalla media europea (61,5% contro 70,4%) e per occupazione femminile (52,5% contro il 65,7% della media europea). Male anche l’occupazione giovanile (15-24 anni), dove è quart’ultima tra i 27 Paesi UE (20,4% contro una media del 35,2%), e solo poco meglio quella�senior�(persone tra i 55 e i 64 anni) dove l’Italia tocca il 57,3% contro il 63,9% della media UE.�

Rapporto attivi/pensionati�

Nonostante l’incremento del numero di pensionati con il miglioramento della situazione occupazionale�si attesta a1,4636�il rapporto attivi/pensionati,�valore fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano. Si tratta del miglior dato di sempre tra quelli registrati dal Rapporto, bench� ancora al di sotto di quell’1,5 gi� indicato nelle precedenti pubblicazioni come soglia minima necessaria per la stabilit� di medio-lungo termine della nostra previdenza obbligatoria.�Le previsioni per gli anni a venire sono quelle di un ulteriore lento ma progressivo miglioramento ma, affinch� queste stime si concretizzino, sar� innanzitutto necessario investire in politiche industriali che rilancino la stagnante produttivit� del Paese, capitalizzando le risorse del PNRR, e migliorare quelle attive per il lavoro, soprattutto allo scopo di arginare il fenomeno del�mismatch�tra domanda e offerta. Altrettanto rilevante, poi, tenere sotto controllo le uscite anticipate dal mercato del lavoro,�garantendo la sostenibilit� del sistema anche ai pi� giovani,�nell’ambito di quel patto intergenerazionale che vede appunto le pensioni di quanti sono gi� in quiescenza pagate con i contributi versati dai lavoratori attivi.�

�Volendo trarre qualche conclusione, malgrado i molti “catastrofisti” che parlano di un sistema insostenibile all’interno dell’attuale quadro demografico, i conti della nostra previdenza reggono, e dovrebbero farlo anche tra 10-15 anni, nel 2035/40, quando la maggior parte dei�baby boomer�nati dal Dopoguerra al 1980 – coorti molto significative in termini pensionistici, in termini previdenziali assai significative data la loro numerosit� – si saranno pensionate�,�ha commentato nel corso della presentazione�il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla.�Un equilibrio sottile, dunque, che potr� essere mantenuto nel tempo solo a patto di saper compiere, in un Paese che invecchia, scelte oculate in materia di occupazione, anticipi ed et� di pensionamento.��Per prima cosa�– si legge quindi nel Rapporto –�occorrer�un’applicazione puntuale dei due stabilizzatori automatici gi� previsti dal nostro sistema,�vale a dire adeguamento dei requisiti di et� anagrafica e dei coefficienti di trasformazione all’aspettativa di vita, limitando da una parte le numerose forme di anticipazione oggi previste dall’ordinamento,�e, dall’altra, premiando in termini di flessibilit� i nastri contributivi pi� lunghi�.�Ribadita pertanto anche�la necessit� di bloccare l’anzianit� contributiva�agli attuali�42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 per le donne,�con riduzioni per donne madri e precoci, e di prevedere un superbonus per quanti scelgono di restare al lavoro fino ai 71 anni di et�.�

Se sul versante occupazionale si pone di conseguenza l’accento sia sull’importanza�di formazione professionale eprogrammi di invecchiamento attivo dei lavoratori,�volti a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce pi��senior�della popolazione,�sul versante prettamente pensionistico, la dodicesima edizione del Rapporto accende inoltre i riflettori�sull’eccessiva commistione tra previdenza e prestazioni di natura assistenziale,�ben esemplificata dall’elevato numero di pensioni di vecchiaia che necessitano di integrazioni al minimo (2.259.766 nel 2023)�o altre forme di maggiorazione sociale a carico della fiscalit� generale:��Pensioni a calcolo di circa 300 euro al mese sono solitamente il risultato di contribuzioni davvero modeste per importo e durata. Ecco perch�– ha aggiunto il Professor Brambilla –�sarebbe bene prevedere, come peraltro originariamente riformato dalla legge Fornero, la possibilit� di ottenere il pensionamento di vecchiaia a 67 anni solo se con un importo stimato pari ad almeno 1,2 volte il valore dell’assegno sociale. Diversamente, bisogner� attendere i 71 anni di et�.

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Saldo e stralcio

 

Insomma, serve�un serio cambio di rotta da�parte del nostro Paese�che al momento naviga a vista, senza una bussola, dinanzi alla pi� grande transizione demografica di tutti i tempi, con grande parte della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo (frenando le possibilit� di crescita), quando invece –�anche alla luce di un debito pubblico che a breve potrebbe sfondare la soglia dei 3.000 miliardi di euro�– la doverosa priorit� sembrerebbe essere una seria revisione dei propri modelli produttivi e del proprio mercato del lavoro.�

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

�15/1/2025

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