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Pierdavide Carone riavvolge il nastro della sua carriera in un’intervista a Fanpage. Dagli inizi ad Amici, l’incontro artistico con Lucio Dalla e la morte improvvisa che lo ha portato a chiudersi nel silenzio: “C’è stata l’impressione che il suo funerale fosse anche il mio”. Oggi è ripartito da Ora o mai più: “Un successo che finalmemte è solo mio”. L’8 marzo parteciperà al San Marino Song Contest, dove proverà a strappare un biglietto per Eurovision.
Poche storie rappresentano l’imprevedibilità e implacabilità dei meccanismi del mondo dello spettacolo come quella di Pierdavide Carone. Una carriera rimasta incastrata in una serie di etichette che ne hanno condizionato il percorso, indipendentemente dalla sua volontà. Dall’accelerazione iniziale dell’effetto talent con Amici, al supporto di Maria De Filippi che è sinonimo di protezione ma anche di pregiudizio, fino a un lutto, la morte di Lucio Dalla, che è stato per lui un doppio castigo. “C’era l’impressione che il suo funerale fosse anche il mio”, ammette con grande lucidità in questa intervista a Fanpage, nella quale racconta la sua rinascita e analizza con lucidità l’attuale condizione di un musicista nel mercato discografico: “Sembra che se non sei nel mainstream non puoi essere e non credo sia del tutto vero”. Dopo la vittoria meritata a Ora o mai più, Pierdavide Carone si prepara al San Marino Song Contest con “Mi vuoi sposare” e, soprattutto, a riconquistare una credibilità in questo mondo che gli consenta di sperare nel desiderio di un ritorno a Sanremo.
Siamo a pochi giorno dalla tua “stravittoria” a Ora o mai più. Cosa ti lascia questa esperienza oltre alla possibilità di San Marino?
Mi lascia sicuramente un’eco più ampia rispetto a quando ci sono entrato. Dovessimo volgarmente parlare di numeri social, visto che oggi sono un parametro, sono entrato con 55mila follower e ora ne ho più di 86mila. Quello fa la differenza e vuol dire che sono stato seguito all’interno di un programma seguito. Chiaro che la narrazione per cui noi del programma ci eravamo tutti un po’ fermati vale fino a un certo punto, sembra che in questi 15 anni non si sappia come abbiamo pagato le bollette, però è chiaro che fare teatri e piazze è molto diverso dal fare 7 serate su Rai1 a cantare, in parte, anche le tue canzoni.
Ho percepito che molte persone si sono identificate nel tuo percorso, diventato per certi versi emblematico di chi viene preso a schiaffi dalla vita ma sta in piedi. È una narrazione che accogli?
È stato sicuramente difficile. Il mainstream musicale a un certo punto non mi ha più dato accessi, sarei ipocrita a non dirlo ed è anche la ragione per la quale sono andato a Ora o mai più, inutile prenderci in giro. Certo è che l’aspetto più malinconico di tutta questa vicenda è che pare che se non sei nel mainstream non puoi essere. Fare l’artista è impossibile se non in televisione. Non credo sia del tutto vero, penso che ogni tanto serva refreshare e con me ha funzionato. Meglio esserci che no, però non è che se non sei in Tv non sei, magari sei semplicemente più piccolino.
Pierdavide Carone vince Ora o mai più
Molte volte il mondo della musica viene visto come un contesto in cui le decisioni di chi ci mette la faccia, il nome e il talento, sono estremamente limitate. È stato il tuo caso?
Io non credo di aver fatto scelte limitate da qualcuno, credo semmai che le scelte che ho fatto abbiano limitato certi ingressi. Se non ti pieghi a certe logiche, e io penso di non averlo fatto, diventa più difficile. Io credo che questo programma sia testimonianza del fatto che la gente a casa ha gli occhi per guardare e le orecchie per sentire, sente certe cose anche se qualcuno prova a non fargliele arrivare perché tu non vuoi sottometterti a determinati assiomi che non hanno alcun senso.
Per esempio?
Pensiamo alla musica attuale: non sai quante volte è stato detto dalle major quando facevo ascoltare le mie cose che certa roba era vecchia. Io sarò anche vecchio, ma chi dice una roba così è già morto, perché è piegato a regole in cui forse nemmeno lui crede, tira a campare e segue le mode come l’ombra di Peter Pan, che però a un certo punto scappa. C’è voluto più tempo per far capire questa cosa, ma io non volevo lo capissero i discografici, bensì le persone.
Tu hai fatto Amici quando c’era un grande pregiudizio verso i talent, eravate considerate un po’ come gli invasori barbari nella discografia. È un pregiudizio che hai sentito? Ha pesato?
Il rischio era quello, ma fare tante polemiche non è mai stata una mia attitudine. Quello che ho provato a fare è stato rispondere con i fatti. Quando vai a casa di Dalla, gli fai sentire delle canzoni chitarra e voce e lui decide non solo di produrti il disco, ma anche venire a Sanremo con te, non c’è pregiudizio che tenga. Io le risposte me le vado a cercare facendo sentire quello che ho da offrire. Spesso mi dimentico di una regola: non è tanto dove stai andando, ma cosa stai facendo e come lo stai facendo. Questa regola mi ha portato fortuna ad Amici, a Sanremo e mi porta fortuna oggi. I dubbi possono venirti sempre: andare a Ora o mai più non rischia di sembrare una dichiarazione di resa? Me lo sono chiesto, ma l’importante resta come affronti le cose. Se le affronti in questo modo risulti vincitore, non del programma in sé, è la percezione che tu riesci a dare di te, quella di saper stare in piedi anche senza un programma.
Sei stato un elemento di rottura nel panorama musicale italiano, primo cantautore in ambito talent in un tempo in cui i due concetti apparivano inconciliabili. Pensi che ti abbia creato dei problemi di credibilità?
Mentre si sviluppava Amici no, anche perché Maria mi ha dato tantissime possibilità. Quando è uscito il mio disco dopo Amici, otto canzoni le avevo cantate nel programma, quindi questo ha aiutato molto il disco stesso. Ero un cantautore ad Amici. Il problema forse è stato dopo, ma per un concorso di colpe. Il mio secondo disco era forse troppo ambizioso, in maniera presuntuosa, troppo sofisticato per un artista di 22 anni. Era un disco a metà e magari il pubblico mainstream di Amici mi ha perso perché cercava altro, mentre il pubblico più snob non avrebbe mai ascoltato uno che veniva da Amici. La sintesi l’ho trovata con Lucio Dalla.
Carone ad Amici nel 2010, con Maria De Filippi
Hai dichiarato che la sua scomparsa ebbe un effetto devastante e che l’esposizione avuta fino ad allora iniziò a farti paura. Ha pesato il sentirsi orfano di qualcuno senza poterlo dire ad alta voce, senza poter rivendicare un diritto al dolore più grande degli altri?
Questa percezione è corretta, ma il problema è che non me lo hanno tolto gli altri il diritto, me lo sono tolto da solo. Il giorno stesso in cui è morto, io mi sono rifugiato in un silenzio roboante e fui invitato a programmi televisivi importanti dove non ero mai stato invitato, per testimoniare la morte di Lucio. In quel momento ero così affranto e addolorato, trovavo così volgare portare la mia tristezza su pubblica piazza, che quando è finito il lutto si è spento anche l’interesse generale verso di me. È stato quasi un autogol, ma io non me ne pento, perché c’è l’artista, il personaggio pubblico, ma c’è anche l’essere umano e in quel momento non me la sono sentita.
È come se il non voler speculare su quel lutto ti abbia legato quasi indissolubilmente a quella stessa perdita.
Sì, perché è come se l’ultima volta in cui lui è stato in Tv sia diventata quasi l’ultima in cui ci sono stato io. Quindi il fatto di non andare a piangere il lutto di un artista così importante in Tv, dava l’impressione che il funerale fosse anche il mio. Non so se strategicamente abbia fatto bene o male, ma a volte uno non fa le cose per strategia.
Poi hai raccontato che a darti la notizia è stata l’altra mentore della tua carriera, Maria De Filippi, che ha creato un groviglio ancora più complesso da sbrogliare dal punto di vista emotivo.
Infatti è stato quello l’inizio del mio blocco, che non è mai stato un blocco creativo, ma ho smesso di avere possibilità di divulgazione di quello che scrivevo. Sembrava quasi che il mio primo successo fosse figlio di Maria, il secondo figlio di Lucio e che io, di fatto, fossi quasi un bluff, perché era qualcun altro ad aver spinto affinché io diventassi famoso e che non lo meritassi. Forse oggi, dopo tanti anni, Ora o mai più mi toglie anche questo dubbio. Questo programma l’ho vinto io e questo mi dà una serenità che forse toglie quei dubbi che mi erano venuti quando Amici era Maria e Sanremo era Dalla.
Ai funerali di Lucio Dalla
È un azzardo se ti dico che nel singolo che porterai a Eurovision io qualche sfumatura di Dalla, nella costruzione del pezzo e in qualche accento, l’ho percepita?
Me lo hanno detto in molti ma apprezzo il concetto di sfumatura, perché toglie ogni equivoco di plagio. Ricorda uno stile, non una canzone. Devo dire che dopo tanti anni di fuga dal peso di Lucio Dalla, dopo il Covid ho iniziato ad accettare proposte di progetti in cui, anche con grandi orchestre, cantavo le canzoni di Dalla. Negli ultimi anni mi sono diviso tra i concerti miei e quelli in suo omaggio e ci sono stati anni in cui la cosa si è sbilanciata verso gli omaggi a Dalla e credo questa cosa abbia influenzato la mia scrittura. Se devi rubare, ruba dal migliore.
Il tema dell’ansia e delle difficoltà psicologiche a misurarsi con il successo è all’ordine del giorno e oggi nella musica sembra più tollerato, le case discografiche hanno degli psicologi. Pensi ti avrebbe aiutato al tempo?
Credo che forse mi avrebbe aiutato. Io non sono mai andato dallo psicologo, magari ho fatto percorsi diversi, con l’ansia mi sono curato diversamente, c’è stata della terapia che mi ha ricentrato. Credo non sia facile diventare famosi, sembra che sia la cosa più bella del mondo e forse lo è, però c’è anche un prezzo pesante da pagare e in realtà è proprio la società odierna che ti dà meno strumenti per gestirla. Un tempo si diventava famosi molto meno di adesso, perché c’era più spazio e quindi non c’erano i Beatles come fenomeno sociale e loro magari non sono mai dovuti andare dallo psicologo. Oggi è come se la società ti rendesse più fragile a prescindere e io dico sempre che la fama non ti cambia, ma ti amplifica. E allora se sei una persona insicura, in una società destrutturata, crolla quasi tutto.
Hai parlato di bollette da pagare. Negli anni difficili trascorsi, tra malattia tua e scomparsa di tuo padre, hai mai contemplato l’idea di non guadagnarti il pane facendo musica?
No. Anche post Covid, quando i concerti erano ridotti all’osso e la difficoltà era tanta, ho cercato di diversificare. Ho la fortuna di aver studiato musica e nel pop non è così scontato. Non è come la musica colta, in cui devi aver studiato, mentre il pop è uno sport più randagio. Studiare mi ha dato modo di accedere anche a percorsi accademici come docente, quindi nella musica ci resti. Non devi per forza fare musica a Sanremo per esistere, quello che sai puoi anche tramandarlo a qualcun altro. Se questo ti dà anche modo di fare la spesa, tanto meglio.
Sanremo, lo hai detto. Sarebbe la chiusura del cerchio? Tornandoci la vivresti come l’esperto che già sa di cosa si parla, o come a prima volta?
Sarebbe un punto di ripartenza, che però può essere visto anche come un punto di arrivo. Per me significherebbe tanto riuscire a entrare semplicemente nel cast di un prossimo festival. Vorrebbe dire che quello che ho fatto a Ora o mai più non è finito a marzo. Si sa che a Sanremo conta la canzone, ma sappiamo anche che per andarci devi aver maturato una certa credibilità nella candidatura per poter prendere minimamente in considerazione l’idea di essere preso. Non sapere che è un no certo come lo era negli anni passati, vorrebbe dire che da qui a novembre avrò continuato a surfare su questo momento fortunato. Se succederà sarò stato anche bravo.
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