La storia del grande oltraggio: il 13 marzo Cales incontra Pompei

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La cultura può salvare il mondo. La storia, se conosciuta, è davvero l’unica strada da percorrere per affrontare in maniera dignitosa il presente e prospettare un futuro dignitoso. Ne è convinto Silver Mele, volto noto della televisione per i suoi racconti sportivi, che ad un libro ha affidato la rabbiosa reazione di cittadino vilipeso nell’amore più profondo: quello per la propria terra. “Cales, il grande oltraggio”, pubblicato da Amazon nel 2022, è la toccante testimonianza di uno spirito fiero, che in nome di una città più antica della stessa Roma, non ha mai temuto di urlare per lo scandalo cui nei secoli l’antica capitale Ausone è stata sottoposta.
Nella preziosa prefazione lo scrittore Maurizio De Giovanni sentenzia: “La sorpresa è nella passione accorata, nella forza determinata di un amore assoluto per una terra che potrebbe essere eletta e che invece è negletta. In ogni paese civile occidentale, Calvi Risorta sarebbe tra le mete predilette di un turismo colto e raffinato, ansioso di restare a bocca aperta davanti a ricostruzioni tridimensionali, a passeggiate in realtà virtuale e a musei al chiuso e all’aperto: e invece ancora oggi è condannata all’anonimato da se stessa, e da una ininterrotta sequenza di disinteressi o incapacità istituzionali, di depauperamento delle tracce di un’antica grandezza, di autolesionisti voltafaccia dei propri abitanti”.

Dalle pagine di Mele riscopriamo il fascino e la bellezza di Cales. Che di Pompei aveva le stesse dimensioni, estendendosi su un pianoro tufaceo di 64 ettari, e oltre 60mila abitanti a popolarla. Ultima eredità del patrimonio sperperato per inettitudine e mancanza di amor proprio, alla maniera delle insegne in latta prese di mira da pistoleri e cacciatori annoiati. Le stesse che ora malinconiche, grame spuntano tra i rovi ad indicare una grandezza tanto lontana da far pensare al mito delle leggende.
Eppure, Cales è esistita davvero, bellissima e fiera nell’orgoglio che l’aveva portata a rivendicare il prezioso bene dell’indipendenza, al cospetto di eserciti romani affidati a gloriosi Generali d’armata. Dei Consoli, dei Senatori, dei Censori e degli uomini di fiducia di Cesare ne attesta abbondantemente la latinità classica, rivisitata in maniera magistrale dall’Abate Mattia Zona ai primi del 1800. Con lui Mele immagina di dialogare in un racconto incalzante, sferzante, spesso arrabbiato, senza mai abbandonare la speranza che, prima ancora delle istituzioni locali e nazionali, a ridestarsi sia lo spirito sopito di un popolo che ha smesso di crederci. Paradosso finanche etimologico per l’attuale paesino di Calvi Risorta: che nella resurrezione ha il proprio nome.
E il viaggio riporta il lettore per i vici di una città che vantava un teatro, un anfiteatro da 10mila posti, un doppio impianto termale nonché patroni della fama eterna di Cicerone, Orazio, Catone, Strabone, Tacito, Livio o Gneo Nevio che si dice di Cales fosse addirittura nativo. Il contrasto con l’attualità è brutale: da luogo della memoria a discarica a cielo aperto o supermarket dell’antichità senza che la politica abbia mai davvero fatto qualcosa di concreto.
Avversato dalla stessa amministrazione locale, Silver Mele ha condotto ovunque la sua battaglia. E continua a farlo con un libro che è divenuto negli anni riferimento per le troupe televisive di programmi nazionali che hanno incominciato ad indagare il fenomeno. E a chiedersi perché Cales abbia avuto questo destino infame. Il suo lavoro è stato davvero epocale per le reazioni che ha generato.
“Sia chiaro, parliamo del più grande abominio perpetrato ai danni della storia e della cultura. – ci dice Silver Mele, che il prossimo 13 marzo sarà con il suo libro ospite del Comune di Pompei – Reperti di Cales sono in tutti i principali musei del mondo: da Parigi a Londra, passando per Madrid, fino a New York e Copenaghen. A Calvi Risorta vi è un piccolo museo virtuale, che vive della passione della professoressa Nicolina Migliozzi e dei suoi più stretti collaboratori. Poi il nulla. Eppure in quei ruderi si riconosce l’uomo, che come noi e prima di noi ha vissuto, sperato, sofferto. Nella testimonianza di un passaggio che è il segreto potere conoscitivo dello spirito immortale. Che parla una lingua che non si può descrivere, che si sente come si fa ascoltando la musica e che trasmette direttamente all’anima. Se a tutto ciò si aggiunge che pensare è divenuta una bestemmia, quasi quanto interessarsi alle cose ed emozionarsi, nell’elogio estremo e comodissimo della quiescente sopravvivenza, si delinea il perché di tanti atteggiamenti di massa. Allora se il popolino oltraggia se stesso stigmatizzando e maledicendo l’attivismo di pochi, non si abbia paura in quel caso di andare contro corrente. Cales diviene metafora di questo viaggio avverso ai venti della stupidità. Che si ammanta talvolta della veste perfino ufficiale, nelle propagande della stucchevole simil-local-politica, che invece dovrebbe esser nobile”.
Sulla scorta di un magistrale reportage televisivo di Matteo Berdini su Rai Tre, l’assessore al Comune di Pompei Catello Raimo ha deciso di aprire le porte ad un vero e proprio gemellaggio di anime: da un lato la città immortale, sopravvissuta all’eruzione del Vesuvio, dall’altro Cales, la Pompei mancata che per il 60-70% è ancora sottoterra.
“Ci siamo incontrati per un convegno e l’intesa con Catello è nata subito. – continua Silver Mele, che diviene un fiume in piena quando si parla della sua città – Il 13 marzo si realizzerà il sogno di un bambino. E’ da sempre che rivendico la nobiltà della capitale Ausone, sfortunata come poche altre nella storia. Provo a render l’idea di ciò che è avvenuto nel tempo. Si immagini quell’uomo che è riuscito a divincolarsi, non sa neppure lui come, dai morsi di un branco di cani affamati. E corre, corre, claudicante più di me, tenendosi le ferite e guardandosi le spalle. È Cales. Non siamo riusciti a proteggerla. Macché. L’hanno azzannata ovunque, con una violenza indescrivibile. Ne hanno abusato e lei, pur urlando, vedeva attorno indifferenza e spallucce con sguardi rivolti altrove. Ma a quale enorme prezzo? Eppure, la natura, sapiente e guardinga come noi uomini non saremo mai, non ha smesso di proteggere l’impianto cittadino. Con spine lunghe come artigli. C’è la vita lì sotto. C’è il copione di come eravamo. È mancata finora la volontà di agire di popolo, per provare davvero a raccontare noi stessi. Per disinteresse o per timore di doverci confrontare con un passato molto più nobile e alto del nostro presente? Questo non lo so. Ma sono certo che tra cento, forse duecento anni quelli che ci succederanno si dimostreranno capaci a svelarla di nuovo. In tutta la sua straordinaria bellezza”.





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