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Gloire Kambale – ..
Si chiama Gloire Kambale, ha 25 anni, è cattolico e ha già vissuto quasi tutto il peggio che un uomo può sperimentare. E’ nato nella regione di Beni, in Nord-Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, e le notizie che escono sui giornali (e più spesso non escono) sulla RDC sono il suo quotidiano. M23, MaiMai, ADF/NALU: i nomi dei gruppi armati che devastano il Paese praticamente da sempre non sono per lui una faccenda geopolitica da interpretare e inquadrare: sono sua sorella uccisa, i parenti massacrati, i compagni di studio e amici d’infanzia fatti a pezzi. Oggi è un giornalista. E’ impiegato in un monastero di suore trappiste dell’ordine cirstercence a Kikwit (nella parte ovest della RDC), dove si sente al sicuro. Dove può raccontare.
Avevo 15 anni: i corpi dei miei amici accatastati su una jeep
«Sono nato a Lubero, una regione dove le milizie fanno la legge. Sono cresciuto e ho fatto la maggior parte dei miei studi a Beni, dove i terroristi islamici ADF/NALU agivano selvaggiamente: nel nome delle loro ideologie, sventravano donne incinte, sgozzavano i bambini, bruciavano uomini nelle loro case. Con i loro machete, molte persone hanno perso la vita. A causa della persistenza dei conflitti armati, in questa zona, ognuno di noi porta con sé terribili esperienze della guerra. Consegnarvi questa testimonianza è per me doloroso. Ma se la mia voce può unirsi alle voci di coloro che denunciano, forse queste parole serviranno a qualcosa».
Aveva 15 anni quando ha assistito alle prime atrocità. «Ero a Beni. Era Aprile. Una notte, in un quartiere vicino al nostro, Rwangoma, avevamo sentito colpi di proiettile e detonazioni di armi pesanti, un tumulto spaventoso. Mio padre ci disse di nasconderci sotto i letti. Le armi hanno smesso di crepitare solo la mattina dopo. Le cose si sono calmate, e le jeep delle forze lealiste (FARDC) hanno attraversano il nostro quartiere per andare a raccogliere i cadaveri. Le macchine erano piene dei corpi di queste persone: accatastati, letteralmente a pezzi, tagliati con machete. Il sangue ha riempito le strade. Tra i cadaveri ho riconosciuto Norbert e Junior, i miei compagni di scuola: erano in cima al mucchio».
Ezechiele, la mia interrogazione di geografia e tutto quel sangue
Dopo quell’episodio, racconta Gloire, la gente, terrorizzata, cominciò a ridurre gli spostamenti. Le autorità militari dissero che i terroristi si stavano nascondendo nei campi, e che erano pericolosi. “Non avevamo più accesso ai nostri terreni. La gente cominciava ad avere fame. Gli islamisti moltiplicarono gli attacchi contro i civili: bruciavano gli ospedali, e anche le scuole. La mia era aperta, ma solo per poche ore: dalle 7 alle 10. A dire la verità, non eravamo molto concentrati a causa della situazione. Nel maggio 2016, mentre eravamo in classe, il mio amico Ezechiele mi disse che sua madre si era ammalata, e che a casa loro mancava il cibo. Il padre non c’era. Ezechiele voleva andare ai campi per raccogliere delle banane e dei fagioli: due ore a piedi. Mi chiese di accompagnarlo: avevo paura, ma accettai. Uscendo dalla classe, l’insegnante di geografia mi chiamò per una verifica andata male. Dissi al mio amico di aspettarmi un attimo. Alla fine dell’interrogazione, corsi per ritrovarlo, ma era già partito. Ho aspettato con ansia il suo ritorno, avevo un brutto presentimento. Il mattino dopo, suo zio, sua sorella, i suoi due cugini e io siamo partiti per andare a cercarlo. Sulla strada abbiamo incontrato tante persone in lacrime che camminavano verso Kadohu: i terroristi dell’ADF avevano massacrato gli agricoltori. Arrivato a destinazione, in una veranda comunitaria, c’erano cinque corpi decapitati con i machete, le teste erano state buttate lontano, nei campi. Ezechiele l’ho trovato lì: sgozzato, le mani e i piedi legati, il suo sangue scorreva sui caschi di banane che aveva raccolto».
Mia sorella, mio cognato, il loro bambino appena nato
In quel periodo, una ventina di amici di Gloire fecero la stessa fine. Poi toccò a sua sorella. «E’ successo quando una notte i ribelli hanno fatto un’incursione a Beni. Hanno circondato una parte del nostro quartiere, e hanno cominciato a uccidere, a rubare il bestiame, a bruciare le persone nelle loro abitazioni. Mia sorella si era chiusa in casa. Suo marito era fuori con il loro bambino appena nato: si è nascosto con lui dietro una siepe. Quando gli assalitori sono arrivati, il piccolino ha gridato. Gli islamisti hanno trovato il nascondiglio, e hanno sgozzato mio cognato. Il bambino l’hanno preso per il piede e l’hanno picchiato contro il muro: è stato ucciso così. Poi hanno lanciato una bomba sulla casa dove c’era mia sorella: è morta tra le fiamme».
Gli incubi che non mi danno pace. La comunità internazionale agisca
Negli anni, Gloire ha seppellito decine di amici e parenti. E ha deciso di raccontare. «Nel 2020, sono stato assunto come giornalista e reporter da una radio cattolica e diocesana. Ho fatto gli studi di comunicazione-giornalismo in un’università cattolica dei padri assunzionisti. Ho scritto reportage da Oicha, Isale, kalunguta, Mutwanga. Ho visto l’inimmaginabile in questi villaggi: ho dovuto documentare livelli di atrocità che non sono qui riferibili. Orrori che rivivo negli incubi che non mi danno pace. E’ orribile ciò che succede a Beni. E’ orribile quello che succede in questo Paese. E’ troppo. Bisogna che la comunità internazionale agisca. Che Dio accolga le anime di tutti questi innocenti massacrati e che da là dove si trovano, intercedano per la conversione dei loro carnefici e dei miliziani che rendono insicuro tutto il Nord-Kivu.
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