Come avere soldi ogni mesa dal Reddito di Libertà: cos’è

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Il Reddito di libertà passa da 400 a 500 euro al mese, lo ha annunciato un comunicato ufficiale a ridosso della Giornata Internazionale della donna 2025. Una buona notizia? Sì, certo che lo è, soprattutto per chi sa cosa sia il Reddito di Libertà, una misura che invece ignorano molte donne in difficoltà, troppo poco divulgata. Ma c’è più di questo, che non sta mandando le cose per il verso giusto e sta facendo protestare sommessamente le associazioni che difendono e aiutano le vittime di violenza domestica, ma anche le donne della politica solidali. Cerchiamo di capire meglio cosa accade, andando per gradi e iniziando con lo spiegare: cos’è il Reddito di Libertà? Si tratta di una sorta di “sussidio” approvato il 2 dicembre scorso dalla firma della ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, “riconosciuto alle donne vittime di violenza che si trovino in condizioni di povertà, con o senza figli, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali”, come spiega il sito del Dipartimento per le Pari Opportunità, “volto a “sostenere l’emancipazione economica delle donne che si trovano in situazioni di violenza e che intendono fuoriuscirne”. La misura viene erogata per un massimo di dodici mensilità, il minimo indispensabile per darsi una spinta e cercare di uscire dal tunnel, quando per anni sei rimasta fuori dal mondo del lavoro per badare alla casa, ai figli e al marito, ma comunque molto modesto perché non è cumulabile con altri aiuti statali e copre a malapena spese come le utenze, i farmaci, i testi scolastici per i figli. La somma viene attinta da un fondo di 30 milioni suddiviso in 10 milioni all’anno per tre anni: 2024, 2025 e 2026. La domanda per riceverlo si presenta in Comune, spetta poi agli addetti comunali accedere alla sezione “Prestazioni sociali dei comuni” sul sito dell’Inps. La domanda viene respinta in due casi: se i requisiti della donna che ne ha bisogno non corrispondono a quelli richiesti, oppure se il budget dei dieci milioni annuali è già esaurito. Proprio riguardo a questo secondo punto, si può cominciare ad analizzare le criticità. Fra coloro che dedicano il proprio impegno all’argomento, c’è chi considera il Reddito di Libertà un “pannicello caldo”, ovvero, metaforicamente, un tipo di medicamento del tutto insufficiente a curare una malattia importante. Secondo la rete D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, va benissimo l’aumento, ma “sono ancora troppo pochi i fondi messi a disposizione di questo strumento”, dice il loro comunicato che poi snocciola le cifre del fenomeno. Con dieci milioni, infatti si riesce a erogare il contributo a poco più di 1600 donne all’anno. Le sole associazioni della Rete D.i.Re, nei primi dieci mesi del 2024 avevano invece accolto già 21.842 donne. Non tutte avevano bisogno del contributo, ma di certo quello che ne avevano bisogno sono molte più di 1600. “Lo Stato non è in grado di sostenere le donne che affrontano i loro faticosi percorsi di uscita dalla violenza”, ha dichiarato Antonella Veltri, la presidente D.i.Re. Ma non è finita qui, gli ostacoli disseminati sul sentiero sono diversi. In una regione popolata come il Lazio, ad esempio, la consigliera regionale d’opposizione Eleonora Mattia ha dovuto presentare un’interrogazione per sollecitare l’avviso pubblico per il Reddito di Libertà regionale, che dovrebbe erogare un milione per aiutare almeno duecento donne di Roma e del Lazio, e i loro figli, nel percorso di uscita dalla violenza.: “Che fine ha fatto il bando della Regione Lazio?”, si chiede la consigliera, “Si tratta di fondi già stanziati circa un anno fa, per garantire la continuità della misura introdotta nella scorsa legislatura, ma inutilizzati perché ancora non è uscito il bando tramite il quale le donne vittime di violenza possano farne richiesta”, denuncia in un comunicato. “La violenza sulle donne si combatte anche favorendo la loro indipendenza economica. Per prevenire e contrastare la violenza domestica c’è ancora bisogno di una grande e collettiva operazione culturale, che ci renda consapevoli di cosa significhi avere il patriarcato in casa, così come sul lavoro o in altri ambiti della società proprio a partire dai singoli gesti”, spiega la consigliera a MarieClaire.it. “Svalutare, controllare o il ricatto economico sono azioni quotidiane che minano l’autostima e l’autonomia delle donne. Una spirale di violenza in cui le botte, l’abuso, l’aggressione fisica fino al femminicidio sono l’apice estremo. Educare al rispetto di se stesse e se stessi e dell’altro è la chiave per riconoscere i segnali di queste dinamiche tossiche in una relazione e far scattare il campanello d’allarme per tempo. Dobbiamo fare rete, uscire e far uscire le altre nostre sorelle dall’isolamento. A volte anche un semplice sguardo attento e accogliente può essere il punto di partenza. Questa è la nostra forza: da un lato imparare ad essere consapevoli del rispetto del nostro valore e dall’altro ricordarci che non siamo sole”. Sono questioni che – non ci stancheremo mai di ribardilo – necessitano delle soluzioni urgenti. Perché se già ogni donna in Italia vive sperando che il principe Azzurro di cui si è innamorata non si riveli un orco, sarebbe anche bello non dover sospettare che la violenza che subisce, poi, verrà considerata irrilevante.



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