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Sono giornate amare per la destra Pd. Prima la decisione di Schlein di schierare il partito sul sì ai referendum della Cgil anti Jobs Act, poi il no al piano di riarmo di Ursula von der Leyen. Ieri, infine, l’addio al gruppo del Senato di Anna Maria Furlan, già leader della Cisl, che lascia i dem per Italia Viva e viene accolta a braccia aperta da Matteo Renzi.
FURLAN LASCIA ACCUSANDO il Pd di Schlein di essere troppo poco «riformista» sul tema del lavoro, contesta la battaglia sul salario minimo e accusa il suo ex partito di essersi solo astenuto sulla proposta di legge della Cisl per la partecipazione dei lavoratori nelle aziende. Una legge fortemente modificata dal centrodestra a favore delle imprese, contestata da Cgil e Uil, su cui il Pd alla Camera si era astenuto solo per un gesto di cortesia verso la Cisl, mentre la volontà della maggioranza era di votare no come M5S e Avs.
Furlan, nell’intervista al Corriere in cui ha annunciato il suo addio, non cita il Jobs Act, ma è Renzi a spiegare che anche quello ha pesato. «Rivendico che chi quella legge ha scritto, vale a dire i riformisti del centrosinistra, stiano insieme a noi in questa battaglia». Che sarebbe poi il referendum di primavera. «Guardare il mondo del lavoro dallo specchietto retrovisore non è quel che occorre», aveva spiegato Furlan alcuni giorni fa.
UNA TESI CONDIVISA da gran parte della destra dem che ieri ha speso lacrime per l’addio a sorpresa dell’ex segretaria Cisl, mentre dal Nazareno e dai dirigenti più vicini a Schlein non è volata una mosca. Gelo totale. «Sono molto dispiaciuto», dice Lorenzo Guerini, capo dei cosiddetti «riformisti». «Non condivido la sua scelta, ma dovremmo interrogarci sulle ragioni. Ignorarle sarebbe sbagliato».
Un messaggio a Schlein e una richiesta, quella di «riflettere» sui motivi dell’addio che viene fatta propria anche da altri dirigenti di punta dell’area. «Conoscevo il suo disagio soprattutto sui temi legati al lavoro. E sulla preoccupazione che si aprisse una distanza verso la Cisl e la sua comunità. Ho condiviso alcune di quelle preoccupazioni ma non quella di lasciare il nostro partito. Lo considero un errore. Ora però non si può fare finta di niente», rincara Alessandro Alfieri. «Una scelta che non può cadere e accadere nel silenzio», gli fa eco Simona Malpezzi e così anche Dario Parrini e Filippo Sensi.
«Non è una operazione contro il Pd», assicura Renzi. «Ma a fianco del Pd con un altro obiettivo e target: noi siamo quelli che parlano al centro che guarda a sinistra». Dure le critiche che arrivano dalla Sicilia, dove Furlan è stata capolista nel 2022. Antonino Bongiovanni, presidente del Pd di Palermo, ricorda che Furlan non si è confrontata col partito siciliano che «l’ha fatta eleggere». «Ora c’è il dovere di riflettere sul metodo che ha portato Furlan ad essere catapultata in un contesto territoriale a lei sconosciuto». C’è anche chi ne chiede le dimissioni dal Senato «per coerenza e rispetto della comunità del Pd».
DENTRO L’AREA RIFORMISTA in molti assicurano che «non è l’inizio di un esodo». E che quello di Furlan resterà «un gesto isolato». E del resto, viste le percentuali di Pd e Iv, in pochi sono realmente tentativo dal suicidio politico. Semmai vogliono dare battaglia per avere più posti nelle liste delle prossime politiche.
La prossima settimana ci sarà un banco di prova delicato. All’europarlamento si voterà tra mercoledì e giovedì una risoluzione sulla difesa Ue, che riguardo anche il piano di riarmo di von der Leyen che Schlein non vuole e che invece molti della destra interna, a partire da Gentiloni, non disprezzano. Giovedì all’incontro dei socialisti la leader Pd ha dato battaglia, ottenendo dai partiti alleati la condivisione del no all’uso dei fondi di coesione per le armi. Ma non ha cambiato la rotta degli altri partiti fratelli a favore del riarmo.
Sul testo presentato dai socialisti ci sarà un lungo lavoro di mediazione con gli altri partiti e poi si arriverà al voto. L’atteggiamento dei dem dipenderà dal testo finale, ma fonti di Bruxelles spiegano che «alla fine potremmo astenerci». Un nodo per non strappare eccessivamente con si socialisti, con la possibilità di votare no sui singoli punti meno digeribili che riguardano il piano di riarmo. «Sarà una settimana di psicodramma», il timore che circola trai dem. Non è escluso che, alla fine, i turbo riformisti come Pina Picierno e Giorgio Gori, possano votare in dissenso dalla linea Schlein. Ma il grosso del gruppo sarà allineato alla volontà del Nazareno.
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