Macron assiste impotente alla fine di un’epoca (buia). La Françafrique, simbolo del neocolonialismo francese è ormai al tramonto, avanza l’indipendenza economica e politica dei paesi africani, accelerata da nuove alleanze globali e dal crescente sentimento antioccidentale nel continente (G. Chinappi)

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Françafrique è un termine usato per descrivere il sistema di relazioni post-coloniali tra la
Francia e i suoi ex territori coloniali in Africa, soprattutto nell’Africa subsahariana. Il
termine è stato coniato negli anni ’50 da Félix Houphouët-Boigny, primo presidente della
Costa d’Avorio indipendente, inizialmente con una connotazione positiva, per indicare il
legame privilegiato tra la Francia e i paesi africani francofoni. Tuttavia, con il tempo, il
termine ha assunto una valenza negativa, associata a dinamiche di dominio,
sfruttamento economico e ingerenza politica.

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Grazie a questo sistema neocoloniale, la Francia è riuscita, negli ultimi sessant’anni, a
mantenere un forte controllo sulle risorse naturali dei paesi africani, in particolare
petrolio, gas, uranio e altre materie prime. Al fine di preservare questo sistema, inoltre,
Parigi ha spesso sostenuto regimi dittatoriali e colpi di Stato che le consentissero di
preservare i propri interessi strategici, spesso intervenendo direttamente in conflitti
interni attraverso operazioni militari o basi permanenti. Infine, un altro elemento
fondamentale della Françafrique è rappresentato dal Franco CFA, una valuta introdotta
durante il periodo coloniale, che garantisce alla Francia un controllo significativo sulle
politiche economiche degli stati che, ancora oggi, continuano ad utilizzarla come propria
moneta.

Nonostante, nel corso del tempo, molti leader abbiano tentato di porre fine a questo tipo
di relazioni ineguali tra la Francia e le sue ex colonie, è solamente nel corso degli ultimi
tempi che questa sorta di “seconda decolonizzazione” ha subito una forte accelerata,
portando alla fine quasi completa della Françafrique. Allo stesso tempo, i paesi africani
nel loro complesso vedono sempre più nella Russia e nella Cina dei partner affidabili
con i quali promuovere uno sviluppo non basato su rapporti coloniali o neocoloniali
come quelli imposti dalla Francia e dalle altre potenze occidentali.

Pensiamo, ad esempio, alla serie di colpi di stato militari che hanno avuto luogo nella
regione del Sahel, dove in Mali, Niger e Burkina Faso si sono imposti governi che
hanno accelerato la spinta verso una vera indipendenza. Di recente, i governi di questi
tre paesi hanno dato vita alla Confederazione degli Stati del Sahel, una nuova alleanza
politico-militare nata per affrontare le sfide di sicurezza e ottenere piena sovranità
politica ed economica, con la prospettiva dell’abbandono del Franco CFA. Allo stesso
tempo, i tre governi hanno abbandonato la CEDEAO, la Comunità economica degli Stati
dell’Africa occidentale, considerata come uno strumento funzionale al protrarsi del
sistema della Françafrique.

Un altro importante elemento che dimostra la fine della Françafrique è la sempre più
ridotta presenza militare delle truppe di Parigi nel continente africano. Dopo che i
governi dei tre membri della Confederazione degli Stati del Sahel hanno deciso di
espellere le truppe francesi dal proprio territorio, altri paesi limitrofi ne hanno seguito
l’esempio, come la Costa d’Avorio, il Ciad e il Senegal, il che significa che presto la
presenza militare francese in Africa sarà ridotta unicamente al Gabon e a Gibuti.
La fine della Françafrique sta dunque avendo luogo di fronte agli occhi impotenti del
presidente Emmanuel Macron, in forte difficoltà sia sul fronte interno che su quello
estero, con la sua popolarità che ha oramai raggiunto i minimi. La nomina del nuovo
governo guidato da François Bayrou rappresenta solamente l’ultimo dei colpi di mano di
un presidente che non vuole accettare il proprio evidente fallimento, mentre, oltre
all’Africa, anche i territori dell’Oltremare francese si ribellano al dominio di Parigi, come
avvenuto recentemente in Nuova Caledonia, in Martinica e a Mayotte, l’isola
dell’Oceano Indiano recentemente devastata dal passaggio di un ciclone.

Tornando alle questioni africane, lo scorso 28 novembre ha rappresentato una data
cruciale nel processo di demolizione della Françafrique. Proprio mentre il ministro degli
Esteri francese Jean-Noël Barrot lasciava il Ciad, il governo di N’Djamena annunciava,
tramite il suo omologo Abderaman Koulamallah, la rottura dell’accordo di cooperazione
militare che legava i due paesi dal 1976: “È giunto il momento per il Ciad di affermare la
sua sovranità piena e intera, e di ridefinire i suoi partenariati strategici in base alle
priorità nazionali”, ha affermato il leader della diplomazia ciadiana.

Lo stesso giorno, il nuovo presidente senegalese Bassirou Diomaye Faye, intervistato
dalla rete nazionale transalpina France 2, dichiarava che “la sovranità [del Senegal] non
si concilia con la presenza di basi militari”, dei propositi ulteriormente chiariti in
occasione del discorso di Capodanno, quando Faye ha annunciato “la fine di tutte le
presenze militari di paesi stranieri in Senegal, a partire dal 2025”. La storica decisione
del nuovo presidente senegalese mette dunque fine a quasi cento anni di ininterrotta
presenza militare francese nel paese dell’Africa occidentale.

Infine, sempre durante i discorsi di inizio anno, è stato il presidente ivoriano Alassane
Ouattara, generalmente considerato come un fedele alleato di Parigi, ad annunciare la
restituzione della base francese dove sono stazionati 1.000 soldati: “Abbiamo deciso il
ritiro concertato e organizzato delle forze francesi in Costa d’Avorio”, ha dichiarato colui
che in passato aveva fatto affidamento proprio al sostegno dell’ex potenza coloniale per
avere la meglio sul suo rivale politico Laurent Gbagbo.

Il rapido susseguirsi di queste decisioni da parte dei governi africani rappresenta un
duro smacco per Macron, che verrà ricordato il presidente della fine della Françafrique.
Nonostante la decolonizzazione formale degli anni ’60 ed i tanti cambiamenti che si
sono susseguiti nello scacchiere internazionale fino ad oggi, la Francia era infatti
sempre riuscita a mantenere una forte influenza nelle sue ex colonie, almeno fino agli
ultimi anni. Tuttavia, il crescente sentimento antioccidentale presente nel continente,
unito all’emergere di nuove potenze e al contemporaneo indebolimento della Francia e
dell’Occidente in generale, hanno generato le basi per la seconda ondata di
decolonizzazione, che potrebbe mettere la parola “fine” sul capitolo della Françafrique,
possibilmente con il capitolo conclusivo dell’abolizione del Franco CFA.

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Oggi, il processo di smantellamento della Françafrique segna un momento storico di
profonda trasformazione nei rapporti tra la Francia e le sue ex colonie africane. Dopo
decenni di dominio economico, militare e politico mascherato da cooperazione, i paesi
africani stanno riaffermando la propria sovranità e costruendo nuove alleanze che
riflettono le loro aspirazioni di indipendenza e autodeterminazione. La crescente
influenza di potenze come Russia e Cina, unita al sentimento antioccidentale e alla
pressione delle giovani generazioni africane, ha accelerato un cambiamento che
sembrava impossibile fino a pochi anni fa. La Francia, ormai costretta ad affrontare le
proprie contraddizioni storiche, deve decidere se continuare a resistere al cambiamento
o abbracciare un nuovo approccio basato sul rispetto reciproco e sul riconoscimento
delle aspirazioni africane. La fine della Françafrique non è solo la chiusura di un
capitolo del passato coloniale, ma anche l’inizio di una nuova fase di relazioni
internazionali, in cui l’Africa rivendica il ruolo di protagonista nel proprio futuro.

Giulio Chinappi



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