L’8 marzo per le donne con disabilità, l’esempio di Torino tra contrasto alle discriminazioni e rivendicazione dei diritti

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Buone pratiche e prospettive future di un territorio che ha scelto di affrontare queste tematiche attraverso un approccio partecipativo e intersezionale

Quella della discriminazione delle donne disabili è una problematica complessa e troppo spesso sottovalutata, che combina aspetti molto specifici ad altri più universali. In vista delle celebrazioni per la Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo, abbiamo analizzato il sistema che ha portato Torino ad essere una delle città italiane più all’avanguardia nel contrasto alle discriminazioni. Tutto questo grazie ad iniziative in grado di unire istituzioni e terzo settore, anche se le sfide da affrontare restano ancora molte.

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La salute delle donne disabili

Nel capoluogo piemontese, in particolare, occorre sottolineare la riattivazione (nel 2022, dopo quasi 10 anni di inattività) dell’Osservatorio Cittadino sulla Salute delle Donne promosso dalla Città di Torino, punto di confronto importante anche in ottica disabilità: “L’obiettivo – spiega Giada Morandi, educatrice del Servizio Passepartout del Comune – è quello di occuparsi della salute delle donne in senso più ampio, promuovendo il concetto di benessere attraverso il coinvolgimento delle organizzazioni del terzo settore. Grazie a queste politiche pubbliche attive, anche le donne con disabilità e le associazioni di rappresentanza hanno la possibilità di far sentire la propria voce all’interno di un organo specifico, impegnato a raccogliere le indicazioni degli stakeholder”.

Pari opportunità

L’emblema delle politiche di pari opportunità di Torino è rappresentato dall’Ambulatorio accessibile “Il Fior di Loto”: nato da una partnership tra il Comune, i Consultori Familiari ASL e l’Associazione Verba, garantisce l’accesso alla salute sessuale e riproduttiva a donne con qualsiasi tipologia di disabilità. L’obiettivo viene perseguito attraverso assistenza ginecologica e prevenzione oncologica, aspetto troppo spesso trascurato o poco approfondito: “Si tratta – prosegue Morandi – di uno sforzo congiunto di contrasto alle discriminazioni intersezionali: le donne disabili, infatti, pagano oltremodo le conseguenze di pregiudizi legati alla riproduzione, alla genitorialità, alla sessualità e a molti altri aspetti”.

La bontà di questo approccio è dimostrato dai dati: in tutto il 2024, infatti, gli accessi totali all’Ambulatorio erano stati in totale 265, mentre nei primi due mesi del 2025 sono stati già 111 (56 nello stesso periodo dello scorso anno, ndr): “Questo – aggiunge Morandi – ci conferma l’aumento dell’attenzione riservata dalle politiche pubbliche al tema, supportato anche da un livello di comunicazione in grado di diffondere consapevolezza tra le stesse donne disabili. Mi preme sottolineare, in quest’ottica, anche la recente inaugurazione della prima e unica Casa Rifugio accessibile d’Italia”.

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Contrasto alla violenza

I servizi appena descritti si muovono in sinergia con un Servizio Antiviolenza co-progettato con le stesse donne disabili, in grado di fornire un progetto personalizzato che include supporto educativo, sostegno psicologico e consulenza legale e finalizzato al contrasto alla violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica. I dati, in questo caso, dimostrano un preoccupante aumento del trend: alle 102 persone seguite nel 2023, infatti, si contrappongono le 110 seguite nel 2024 (40,9% con disabilità intellettiva, 32,7% con disabilità fisico-motoria, 14,7% con disabilità sensoriali,11,7% con neurodivergenze). Dall’inizio del 2025, invece, sono già state accolte 11 nuove persone.

Questione di genere ed etnia

Le cose si complicano ulteriormente quando l’intersezione riguarda anche questioni etniche o l’orientamento sessuale. Nel primo caso, infatti, la variabile culturale ha un valore decisivo, soprattutto quando si contamina con il modello di società occidentale: “Parlo – sottolinea Morandi – di comunità in cui la disabilità è concepita in termini sovrannaturali ed altre in cui rappresenta un vero e proprio stigma. Le migrazioni portano le donne disabili a scontrarsi con un sistema ancora troppo medicalizzato, che idealizza i corpi all’interno di canoni di bellezza stereotipati creando uno stigma notevole”. Un modello che, nel caso di persone Lgbtqia+, porta all’obbligo di identificarsi all’interno di categorie preconfezionate: “Questo – prosegue – può generare vissuti di frustrazione difficili da gestire, con ripercussioni importanti”.

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Uno dei “campi d’azione” più fertili, dove le discriminazioni verso le donne disabili agiscono con maggior forza, è da sempre quello del mondo del lavoro. Non solo a livello di ruolo ricoperto a parità di condizioni, ma anche nella considerazione ottenuta rispetto ai colleghi uomini: “Alle donne – afferma Morandi – viene attribuito un certo status soltanto in quanto disabili e non in base alle competenze o alla professionalità. Ad un convegno al quale ho partecipato, ad esempio, i relatori si rivolgevano a me come ‘signorina’ e non come ‘dottoressa’, sottolineando la mia presenza come donna con disabilità e non attraverso i titoli di studio; la stessa cosa, ovviamente non è avvenuta per gli uomini. Purtroppo, in moltissimi casi vige ancora il principio della ‘disabilità che crea competenza’”.

Prospettive future

In conclusione, possiamo affermare come l’esempio di Torino possa rappresentare una buona pratica da replicare anche in altri contesti, soprattutto perché ha saputo agire su punti strategici come la promozione della salute e il contrasto alla violenza. Le prospettive indicano, per il futuro, l’esigenza di attuare politiche in grado di agire su più livelli contemporaneamente: “L’approccio utilizzato – conclude Morandi si è basato sull’ascolto diretto delle istanze delle cittadine nell’ottica di un’amministrazione il più possibile condivisa e partecipata. A mio avviso, per aumentare l’efficacia e l’efficienza degli interventi occorrerebbe potenziare le politiche integrate in grado di abbracciare sia le tematiche di genere che quelle legate alla disabilità. In tutti gli ambiti però, non solo nel Welfare, perché le donne con disabilità lavorano, vanno a cena fuori e al cinema, partecipano ad eventi musicali, sportivi e culturali, viaggiano, vivono”.

 

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