Arte e Tribunali: la Cassazione blocca le autenticazioni giudiziarie delle opere

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Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha segnato un punto di svolta nel mondo dell’arte e del collezionismo. Il caso riguarda un quadro attribuito a Lucio Fontana, che una collezionista aveva acquistato e sottoposto alla Fondazione Lucio Fontana per ottenere l’archiviazione ufficiale. La Fondazione, però, aveva rifiutato di riconoscerne l’autenticità, sostenendo che un elemento della tela fosse stato aggiunto in un secondo momento.

Non accettando questa decisione, la proprietaria si era rivolta al Tribunale di Milano, che nel 2018 aveva stabilito che il dipinto fosse autentico. La sentenza era stata confermata anche in appello nel 2022. Tuttavia, la Fondazione ha impugnato la decisione in Cassazione, sostenendo che un Tribunale non può obbligare un ente privato a riconoscere un’opera come autentica.

La Cassazione, con l’ordinanza n. 3231/2025, ha ribaltato le sentenze precedenti e ha chiarito due principi fondamentali:

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Un tribunale non può dichiarare autentica un’opera solo per fugare un dubbio del proprietario. L’intervento del giudice è possibile solo se esiste un danno concreto, come una mancata vendita o una disputa tra venditore e acquirente sul prezzo pagato.

Le fondazioni e gli archivi d’artista non possono essere obbligati ad autenticare un’opera. Anche se un tribunale riconosce l’autenticità di un quadro, nessuno può imporre alla fondazione di inserirlo nel catalogo ufficiale.

Questa decisione ha un forte impatto sul mercato dell’arte: fino ad oggi, chi possedeva un’opera non riconosciuta da un archivio d’artista poteva tentare la via giudiziaria per ottenerne l’autenticazione. Ora questo percorso si complica e, senza il riconoscimento ufficiale da parte di una fondazione, vendere un’opera resta difficile, anche se un tribunale l’ha dichiarata autentica.

Gloria Gatti

Per capire meglio le conseguenze di questa sentenza, abbiamo intervistato Gloria Gatti, avvocato ed esperta di diritto dell’arte.

Qual è il significato di questa sentenza della Cassazione?

Questa decisione ha risolto un contrasto tra i Tribunali di Milano e Roma. Milano riteneva che il mancato riconoscimento di un’opera da parte di una fondazione fosse di per sé un danno per il collezionista, perché ne impediva la vendita e ne azzerava il valore, posizione a mio parere preferibile. Roma, invece, sosteneva che un tribunale può pronunciarsi sull’autenticità solo se c’è un danno concreto e dimostrabile, come il rifiuto di una casa d’aste o una galleria di metterlo in vendita. La Cassazione ha sposato questa seconda interpretazione: senza un danno specifico e provato, un tribunale non può stabilire l’autenticità di un’opera d’arte.

Questa sentenza cambia il rapporto tra archivi d’artista e mercato?

Sì, perché rafforza in apparenza il potere degli archivi e limita i diritti dei collezionisti. Il problema è che il diniego di autenticazione non sempre è legato alla falsità di un’opera. Nel caso del  Fontana, ad esempio, il dipinto è stato rifiutato non perché falso, ma perché un dettaglio della tela era statoa detta della Fondazione aggiunto per errore e l’opera era “uno scarto”. Ma chi decide cosa è autentico e cosa no? L’artista stesso, gli eredi, o le fondazioni? Qui entra in gioco il concetto di diritto morale dell’autore. Alcuni artisti, come Francis Bacon, distruggevano le loro opere se non le ritenevano soddisfacenti. Ma questo diritto appartiene solo all’artista, non ai suoi eredi o alle fondazioni; quindi, la sentenza non è condivisibile.

Esistono differenze tra l’Italia e altri Paesi in materia di autenticazione?

Sì, la giurisprudenza francese, ad esempio, ha avuto risposte contrastanti. Nei casi Altan e Metzinger, i tribunali hanno stabilito che un artista o i suoi eredi possono rifiutarsi di autenticare un’opera, ma senza abusare di questo potere. In Italia, invece, questa sentenza rafforza ulteriormente il ruolo delle fondazioni, senza imporre vincoli al loro operato.

Le nuove tecnologie possono sostituire il giudizio degli archivi?

Dal punto di vista scientifico, sì. Strumenti come la datazione al radiocarbonio, l’analisi dei pigmenti e l’intelligenza artificiale (per i disegni) permettono oggi di verificare con estrema precisione l’epoca di realizzazione di un’opera. Per artisti del dopoguerra come Fontana, questo è fondamentale, perché consente di stabilire se un’opera sia stata realizzata mentre l’artista era ancora in vita. Il problema è che il mercato continua a considerare il parere degli archivi d’artista come il più importante, soprattutto le case d’asta come Christie’s e Sotheby’s, che lo richiedono per evitare dispute legali.

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Il concetto di “spark of creativity” può influenzare le decisioni future?

Il principio dello spark of creativity, emerso nella giurisprudenza americana, stabilisce che un’opera deve contenere un minimo di creatività per essere protetta dal diritto d’autore. Potrebbe essere usato in futuro per limitare il potere decisionale delle fondazioni, impedendo che i cataloghi ragionati vengano considerati come opere di pensiero intoccabili e certamente una mera elencazione di opere senza un testo critico il dubbio lo pone.

Secondo lei, servirebbe una riforma normativa?

Regolamentare il settore è molto complesso, ma sarebbe necessario responsabilizzare gli archivi d’artista e considerarle responsabili del danno economico arrecato al collezionista  quando è “capriccioso” o arbitrario il rifiuto. Inoltre, bisognerebbe vietare il conflitto di interessi: molte fondazioni possiedono un numero rilevante di opere dell’artista  e potrebbero avere interessi economici proprie a limitare il numero di opere riconosciute per mantenere alto il valore di mercato o quello delle loro opere. Personalmente ritengo che gli accordi di rappresentanza con mega dealers abbiano stravolto lo scopo con cui erano stati concepiti gli archivi d’artista.

Quali saranno le conseguenze pratiche di questa sentenza?

Non c’è obbligo di conformarsi al precedente secondo il diritto italiano, ma certamente per i casi sub iudice questo precedente potrebbe costituire un problema, non insormontabile, però. È importante che i collezionisti sappiano che è opportuno rivolgersi prima a un professionista di loro fiducia art dealer, art advisor, galleristi, case d’aste o ad avvocati specializzati per avere una stima scritta dell’opera e indicazioni su come procedere e solo in un secondo momento all’archivio a cui va presentato un dossier di due diligence non un’opera “nuda”. La tecnologia e una maggiore trasparenza potrebbero riequilibrare il sistema in futuro nemmeno troppo lontano.

Il dibattito è aperto e, probabilmente, questa non sarà l’ultima volta che la questione finirà in tribunale.





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