Recensione: Falso allarme di Lomborg

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La recensione del libro di Bjørn Lomborg Falso allarme. Perché il catastrofismo climatico ci rende più poveri e non aiuta il pianeta a firma di Alberto Clò e pubblicata su ENERGIA 4.24.

Se l’efficacia delle politiche pubbliche la si giudicasse dalla capacità di conseguire le finalità che avrebbero dovuto conseguire, ebbene quelle climatiche dovrebbero essere valutate come un complessivo fallimento. Perché le emissioni di gas serra – alla cui riduzione dovevano mirare – hanno proseguito la loro crescita, anche all’indomani dell’ambizioso Accordo di Parigi del 2015. Comprendere le ragioni di questo fallimento non significa dar credito ai negazionisti dei cambiamenti climatici, ma, tutto al contrario, dar conto dei fallimenti delle attuali politiche e proporre quel che di diverso si dovrebbe fare.

È questa la principale finalità del libro di Bjørn Lomborg Falso allarme scritto nel 2020 e ora tradotto in italiano da Fazi Editore. Libro che si aggiunge ai suoi precedenti contributi in cui si è definito come un «ambientalista scettico». Ma non negazionista. Il punto di attacco dell’analisi di Lomborg è la dura critica al «catastrofismo climatico» che, sta scritto nel sottotitolo al volume, «ci rende più poveri e non aiuta il pianeta».

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Catastrofismo che ormai domina ogni notizia sul clima, suscitando un allarmismo nell’opinione pubblica e nei governi che non genera politiche che migliorano la situazione ma comportano danni superiori ai costi nell’errata percezione che il problema non sia di per sé gestibile e governabile con diverse politiche. Tema affrontato anche su questa Rivista da Pippo Ranci, che ritiene che lo scetticismo sulla questione climatica sia riconducibile a un sistema d’informazione più attento a impressionare i lettori che a informarli correttamente sui risultati della ricerca scientifica.

L’allarmismo danneggia il dibattito sul clima

L’allarmismo sta distorcendo il dibattito sul clima portando a soluzioni politiche inefficaci se non dannose per lo stesso ambiente e allontanare dalle soluzioni reali che potrebbero migliorare il benessere. Ne hanno trattato diversi altri autori, tra cui vale citare Michael Shellemberger (3) e Rupert Darwall (4). L’ecologismo radicale tende a semplificare le questioni su cui bisognerebbe intervenire, lanciando frasi ad effetto – come «le rinnovabili possono sostituire le fossili in breve tempo» – destinate a lasciare le cose al punto di partenza.

E occultando consapevolmente come funziona il mondo reale e il ruolo ad oggi insostituibile (soddisfacendo oltre l’80% dei consumi mondiali) che le fossili continuano a costituire, avendo contribuito a costruire una società più benestante e libera. La narrazione dominante cela le caratteristiche chimico-fisiche delle fonti fossili e del petrolio che, nonostante i picchi annunciati, è ancora la fonte energetica prioritaria, ad oggi insostituibile.

L’ecologismo radicale dipinge un immaginario bucolico insistendo sui bei tempi andati e dipingendo ogni opera umana in chiave catastrofista, trascurando i grandi progressi e l’aumento di benessere che l’umanità ha ottenuto col prevalere delle fonti fossili. Racconta spesso sciocchezze e imprecisioni che non giovano innanzitutto allo stesso movimento ecologista, non facendo capire quali siano gli strumenti utili da adottare e quelli inutili e costosi da abbandonare.

Lomborg denuncia il costo delle politiche per il clima, che cadrebbe prevalentemente sui più poveri. Meglio sarebbe dar un aiuto per fare uscire dalla povertà un miliardo di persone, anche perché fornirebbe loro gli strumenti dell’adattamento e della difesa contro le calamità naturali che non dipendono dal clima. In presenza di questi fenomeni, anche se i costi di un intervento per la sostenibilità apparissero superiori ai benefici in un confronto riferito all’oggi, l’esito si ribalterebbe presto se si guardasse un poco più in là.

Il costo delle politiche per il clima e la necessità di proseguire la strada del benessere

La valutazione di un sacrificio oggi per evitare un danno domani è stata condotta con un metodo analogo alla valutazione economica di un investimento che genera un reddito futuro, quindi attualizzando il beneficio futuro con un tasso di sconto «sociale» che misuri le preferenze intertemporali della collettività. La proposta di un tasso molto basso, che privilegi un’azione rapida, è stata criticata come un ingiustificato allontanamento dalla razionalità economica. L’investimento nella sostenibilità incontra il suo limite nell’esito di un’analisi costi-benefici ma soprattutto nella indisponibilità dei cittadini e dei governanti di oggi ad assumere impegni onerosi nella quantità e nella velocità necessarie.

Della scienza abbiamo bisogno per rendere possibile una mitigazione della minaccia climatica a costi affrontabili. Avendo però chiara la distinzione su quel che la scienza può e deve dare, far capire come è il mondo, evitando valutazioni normative e moraleggianti che non le spettano, come il mondo dovrebbe essere. Rischiando in tal caso che la scienza divenga terreno di scontro politico se non una proxy delle battaglie politiche, come pensiamo vada accadendo sul tema dei cambiamenti climatici. E se così fosse, la scienza non aiuta davvero.

Passando dalla critica alla proposta, Lomborg evidenzia cinque «politiche chiave» che rappresentano un modo intelligente e valido per affrontare il cambiamento climatico. Primo: introdurre una tassa sulle emissioni di anidride carbonica per riparare a un classico esempio di «fallimento del mercato», giacché i prezzi non contengono tutti i segnali in grado di orientare in modo ottimale le scelte dei consumatori e produttori. Secondo: valorizzando, con un impiego di maggiori risorse, l’innovazione tecnologica specie nelle energie green in grado di ridurre i prezzi e renderle preferibili alle fonti fossili. Terzo: destinare maggiori risorse all’adattamento ai cambiamenti climatici. Quarto: operare per la modifica del clima attraverso la «geoingegneria» così da ridurre la temperatura terrestre a un costo basso. Quinto: destinare maggiori risorse ai paesi poveri giacché una minor povertà è «il modo migliore per aiutare le persone, anche quelle che devono affrontare i problemi legati al clima».

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La conclusione di Lomborg è che «l’obiettivo delle politiche climatiche è quello di rendere il mondo un posto migliore», con azioni altre dalle politiche fallimentari sinora seguite, abbandonando il soffocante allarmismo in favore di un pragmatismo che valorizzi il progresso tecnologico e il benessere umano, basato sui fatti piuttosto che sulla paura e ritenuto essenziale per affrontare efficacemente le sfide del nostro tempo.


La recensione di Alberto Clô è stata pubblicata su ENERGIA 4.24




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