Ex Ilva, c’è l’ok al decreto. Si fa più vicino il ritorno alla partecipazione statale

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Il Senato accende la luce verde al nuovo decreto legge sull’ex Ilva. I voti a favore sono stati 77, i contrari 58. Una sola astensione. È il decreto che assegna ad Acciaierie d’Italia, per consentirne la continuità operativa, altri 250 milioni provenienti da Ilva in amministrazione straordinaria, riscrive le regole in materia di autorizzazione integrata ambientale e attribuisce a Ilva in amministrazione straordinaria 80 milioni del Fondo di sviluppo e coesione. Assegnazione, questa, che reintegra parzialmente i soldi che Ilva in as ha messo su Acciaierie (110 dei 250 sono già stati sborsati) prelevandoli dal patrimonio destinato per la bonifica delle aree interne ed esterne al siderurgico.

Ora il decreto va alla Camera per l’ultimo passaggio. Entro il 25 marzo, Montecitorio dovrà dare il suo placet. Ma molto probabilmente i decreti per l’ex Ilva non sono finiti. Dovrebbe arrivarne a breve un altro relativo alla partecipazione dello Stato nell’Ilva che verrà. I ministeri delle Imprese e dell’Economia stanno infatti lavorando alla norma che consente l’ingresso dello Stato nel capitale della società con una quota di minoranza. Visti però i tempi stretti e l’urgenza di trasferire il decreto alla Camera, ieri non c’era la possibilità di inserire nel testo la norma sulla partecipazione pubblica, ipotesi, questa, che sino all’altro ieri, quando al Senato c’è stata la discussione generale, sembrava fattibile.

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Il fatto che il Governo pensi ad una norma specifica conferma quanto ha detto il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ovvero che lo Stato sarà della partita, probabilmente con Invitalia. Sono stati alcuni dei potenziali acquirenti dell’ex Ilva, nel caso specifico gli azeri di Baku Steel Company che hanno già come partner la società di Stato azera che si occupa di investimenti, a chiedere una presenza dello Stato italiano. E il Governo alla fine si sta incamminando su questa strada, accogliendo anche la sollecitazione dei sindacati che sin dall’inizio hanno chiesto la presenza pubblica come elemento di garanzia e di controllo. Va ricordato che inizialmente Urso non era di questo avviso. Il ministro escludeva un coinvolgimento pubblico, diceva che lo Stato aveva già dato e male, citava l’esperienza fallita di Acciaierie d’Italia con ArcelorMittal e Invitalia, e affermava che sarebbe bastata l’applicazione dello strumento del Golden Power (i poteri speciali) per esercitare il controllo dell’interesse strategico nazionale.

Ieri, intanto, il Tribunale di Milano – giudice delegato Laura De Simone – ha ammesso allo stato passivo di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria un secondo stock di crediti rivendicati da imprese e fornitori. Sono i crediti riferiti alle istanze tardive. E ieri si è discusso anche delle istanze relative alla holding di AdI e alle società controllate, anch’esse finite in amministrazione straordinaria come Acciaierie spa. In udienza era presente l’ex ad Lucia Morselli. I commissari di Acciaierie hanno proposto al giudice l’ammissione di ulteriori crediti prededucibili per 207 milioni e di chirografari per 890 milioni. Si aggiungono al miliardo e mezzo di crediti prededucibili ammessi a giugno con le istanze tempestive per lo stato passivo di AdI.

«L’udienza è andata bene – spiega l’avvocato Pier Francesco Lupo, che al Tribunale di Milano ha rappresentato diverse aziende di Taranto che lavorano con l’ex Ilva – ma c’é ancora un problema con l’indotto per i crediti di banca Ifis. Un certo numero di aziende, infatti, sono esposte nei confronti di Ifis che ha anticipato delle fatture che poi non sono state pagate. Ifis è stata ammessa autonomamente al passivo per queste fatture e ora vuole i soldi indietro dagli imprenditori. E quindi bisognerebbe estendere a questi crediti le misure di compensazione che gli imprenditori hanno avuto per i crediti diretti. C’è stato infatti un doppio trattamento: i crediti diretti hanno ottenuto la copertura del 70-80 per cento, mentre Ifis non si è vista remunerata in quanto non ha partecipato all’accordo tra indotto e commissari di AdI e prima o poi vorrà i soldi dagli imprenditori.

Per risolvere il caso, stiamo trattando da tempo con i commissari. Quest’ultimi adesso vogliono incontrare Ifis». «La banca – prosegue Lupo – sta chiedendo alle imprese i soldi, risulta un credito impagato delle aziende a Ifis e partono in automatico le segnalazioni alla centrale rischi pur essendo assolutamente incolpevoli gli imprenditori. Inoltre, maturano interessi importanti. Ci sono aziende esposte anche per un milione di euro e che pagano il 6,5 per cento di interessi mensili. Interessi che non verranno mai riconosciuti dalla procedura. Per queste posizioni, circa 12-14, il giudice ha rinviato al 14 maggio, mentre tutte le altre sono state trattate. Dal totale dei crediti ammessi, bisogna togliere le situazioni Ifis che varranno una ventina di milioni e che sono quelle rinviate».

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