Altra stangata di Trump, stavolta riguarda l’agricoltura; tra gli effetti delle nuove tariffe americane sull’export l’Italia rischia danni per 8 miliardi
I dazi di Trump stanno affondando le Borse europee (con i titoli automobilistici in caduta libera) e non solo. Anche le commodity agricole scivolano verso il basso. Un vero terremoto economico e finanziario. E nel settore agroalimentare italiano è scattato l’allarme. A rischio infatti l’export negli Usa che ha sfiorato 8 miliardi. A dazi si risponde con dazi innescando così un pericoloso cortocircuito che alla fine, secondo i pareri di molti economisti, danneggerà tutte le economie mondiali.
Dopo le tariffe del 25% a Messico e Canada, e 10% alla Cina, il Presidente degli Stati Uniti ha raddoppiato i dazi a Pechino arrivando così al 20% e ha annunciato uno sbarramento alle produzioni agricole (tasse al 25%). Dal Paese del Dragone la risposta non si è fatta attendere: tariffe fino al 15% su tutte le importazioni di prodotti agricoli dagli Usa. La tagliola colpirà da lunedì prossimo pollo, grano, mais, soia, sorgo, maiale, manzo e prodotti lattiero-caseari. E tanto per iniziare Pechino ha sospeso l’importazione di legname sostenendo che le produzioni sono infestate dai parassiti. Stesso discorso per la soia.
Analoga la risposta dal Canada con tariffe del 25% sui beni statunitensi per un valore di 155 miliardi di dollari canadesi. I prodotti agricoli ancora una volta tornano al centro della scena. Come per le guerre combattute sul campo ( sul grano ucraino lo scorso anno si scontrarono Mosca e Kiev per il passaggio da Odessa) anche per quelle commerciali sulle commodity agricole il gioco si fa duro.
E ieri i future dei semi di soia e mais sono crollati alla Borsa di Chicago, driver per le quotazioni mondiali, scendendo ai minimi, rispettivamente 10 dollari per bushel e 4,40 dollari. Ma a chi porterà vantaggi questo stillicidio? Le produzioni tassate, dalle auto al cibo, diventeranno meno accessibili per l’americano medio. Il crollo degli acquisti cinesi potrebbe pesantemente penalizzare i produttori agricoli americani a cui Trump si è rivolto ricordando che il taglio delle importazioni potrebbe offrire nuovi spazi alle produzioni locali. America First, insomma. E il conto per l’Italia potrebbe diventare davvero pesante. Gli Stati Uniti sono infatti il secondo mercato mondiale per il made in Italy a tavola, dopo la Germania dove l’export agroalimentare italiano continua a crescere, ma a ritmo rallentato. Nel 2024 le spedizioni nazionali hanno raggiunto 7,8 miliardi.
I nodi per le produzioni italiane sono sostanzialmente tre. Uno per l’inevitabile contrazione di acquisti alimentari negli Usa, perché una tassa al 25% renderebbe decisamente più cara la spesa alimentare tricolore. Il secondo è il rischio di perdere posizioni (difficilmente recuperabili) in un mercato strategico. L’invito di Donald Trump ai suoi agricoltori a produrre di più per il mercanto interno porterebbe a un incremento della quota di cibo “taroccato”. Se infatti i consumatori americani medi avrebbero difficoltà ad affrontare un aumento di prezzo del Parmigiano reggiano o delle conserve, potrebbero rifugiarsi nelle imitazioni. Gli Stati Uniti – ha denunciato infatti la Coldiretti – sono oggi il Paese che detiene saldamente la leadership produttiva del falso Made in Italy con il fenomeno delle imitazioni di cibo tricolore che è arrivato a rappresentare oltre 40 miliardi (l’italian sounding nel mondo vale 120 miliardi).
“Il 90% dei formaggi di tipo italiano in Usa – hanno ricordato Coldiretti e Filiera Italia – sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola, dalla mozzarella fino al Provolone”. Ma sono anche a rischio l’olio extravergine d’oliva, i salumi, le passata e i sughi. Durante la prima presidenza Trump la Coldiretti ha calcolato che i dazi avevano tagliato l’export negli Usa del 15% per la frutta, del 28% per carni e prodotti ittici lavorati, del 19% per formaggi e confetture, e del 20% per i liquori. Anche il vino, nonostante non toccato, aveva perso il 6%. Per le filiere italiane le perdite potrebbero andare dai 500 milioni per il vino ai 240 milioni per l’olio d’oliva fino ai 170 milioni per la pasta e ai 120 milioni per i formaggi.
Il terzo punto è che si rischia di generare una concorrenza sleale nei singoli Paesi. Per quanto riguarda l’Italia, per esempio, alcune aziende hanno impianti produttivi negli Stati Uniti. La Barilla produce pasta in uno stabilimento degli States. Così come il pastificio Rana è approdato sul suolo americano. Italia Alimentari ha un impianto con due linee produttive per affettare prosciutti cotti e stagionati a New Jersey. E Parmacotto ha acquisito un salumificio a Boston. I casi sono tanti. E Trump ha garantito che non scatteranno dazi per le imprese che si trasferiranno sul territorio americano. Ma a questo punto si potrebbe creare una disparità di trattamento con le aziende italiane che non hanno delocalizzato, perché, secondo le ultime affermazioni dell’inquilino della Casa Bianca, i dazi non toccherebbero le produzioni realizzate “in casa” con lavoratori americani.
Tante dunque le problematiche aperte dalla scelta “autarchica” di Trump. E alla fine si potrebbe anche arrivare a una nuova geografia del cibo con la Cina che già sta investendo nelle produzioni agricole a partire da un prodotto tipico della Dieta Mediterranea come il pomodoro di cui è già diventata il principale player mondiale, davanti agli Stati Uniti e all’Italia.
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