Nell’incontro con Trump la premier punterà sui piani negli Usa di Eni, Leonardo e altri gruppi. E la quota di spesa militare rispetto al Pil salirà. La linea: non tratto per l’Unione europea ma mi sono coordinata anche con Ursula
A una settimana dal viaggio americano di Giorgia Meloni, affiorano dettagli sulla natura del bilaterale che la presidente del Consiglio sta programmando con l’inquilino della Casa Bianca. Usando il linguaggio del presidente Usa ci si chiede quali sono le carte che la premier potrà giocare in un incontro che sarà certamente delicato e complesso, e sul quale nelle ultime settimane sono state alimentate molte aspettative.
In primo luogo, visto che in ogni caso, al di là di una narrazione in parte distorta e in parte inesatta, si tratterà di un bilaterale, cioè di un confronto strutturato ai massimi livelli fra Italia e Stati Uniti, Giorgia Meloni avrà con sé una cartella di rivendicazioni, ed eventualmente anche di offerte, sugli investimenti delle grandi aziende italiane negli Stati Uniti. Quelli in corso, quelli programmati, e quelli che la visita eventualmente potrà schiudere, ovviamente al momento coperti da un certa quota di riserbo.
Gli investimenti Eni
Una traccia l’ha data, proprio al nostro giornale, l’inviato speciale degli Stati uniti in Italia Paolo Zampolli, che conosce bene le relazioni fra i due Stati, e che ha suggerito una parte dell’agenda del vertice. Sicuramente Meloni rivendicherà gli investimenti dell’Eni negli Stati Uniti, la nostra più grande partecipata ha infatti investito e continua a investire diversi miliardi di dollari nel mercato americano, dove è attiva fra le altre cose con una bioraffineria e un progetto di altissimo valore strategico con le università americane, che riguarda la fusione magnetica a freddo, il cui primo impianto è programmato fra cinque o sei anni. Ma sul piatto della bilancia Meloni potrà mettere anche alcuni programmi di Leonardo nel mercato americano.
I piani
In particolare quelli che riguardano i sistemi radar e il controllo dei confini in funzione di protezione militare, soprattutto sulla costa del Pacifico, che potrebbero avere un peso. Così come un peso potrebbe averlo anche il programma di investimenti sino a due miliardi di dollari di Pirelli, che è già più che presente e attiva nel mercato degli Stati Uniti e che nonostante alcuni stop sui fondi per le cosiddette gomme intelligenti — stop italiani e americani per via del primo socio, cinese, di Pirelli stessa — potrebbero essere superati nel breve periodo, con garanzie su tecnologie strategiche che lo stesso Marco Tronchetti Provera in un’intervista di pochi giorni fa ha giudicato in via di perfezionamento.
Ci sono poi gli investimenti del settore agroalimentare, che potrebbe costituire consorzi da almeno un miliardo di dollari, per aprire alla produzione anche su territorio americano. E infine, ma non per importanza, quelli altrettanto strategici del gruppo Aponte, che insieme al fondo americano BlackRock, sta cercando di riportare sotto il controllo americano la gestione del canale di Panama, oltre a una serie di investimenti strategici, l’ultimo in ordine di tempo a Miami, sui porti americani.
Gli interessi italiani
Ovviamente Meloni spiega ai suoi interlocutori che andrà a Washington nel rispetto delle competenze e che dunque ogni interpretazione che la proietti come ambasciatrice della Ue è quantomeno poco accurata. La nostra premier andrà a rappresentare gli interessi italiani, «è chiaro che non tratto a nome dell’Unione europea», ma questo non significa che nel faccia a faccia con Trump tra i temi non ci possano essere le relazioni transatlantiche tout court, perché «è altrettanto chiaro che mi sono coordinata anche con Ursula von der Leyen».
E su questo punto, che toccherà la materia più incandescente, quella dei dazi. L’auspicio della premier è che alla fine ci sia una sorta di de-escalation, e che magari il primo passo l’abbia già fatto proprio Trump decidendo di congelare l’applicazione di una serie di dazi. Ovviamente lo scenario principe di Meloni, così come di Bruxelles, è che si arrivi a un compromesso che possa ridurre i dazi o addirittura arrivare a quello «zero a zero» che la premier ha espresso con una metafora calcistica, ma che equivarrebbe a quanto auspicato da Elon Musk, una zona di libero scambio fra Stati Uniti ed Ue.
Ci sarà, infine, la questione Nato: e qui Meloni porterà in dote un risultato forse minimo, ma significativo, almeno per le nostre finanze pubbliche: ovvero che siamo pronti a portare le spese per la difesa ad almeno il 2% del Pil, nel breve periodo. Come dice il ministro della Difesa Guido Crosetto, «impegnare risorse maggiori è una necessità ineludibile».
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