La sostenibilità di lungo periodo dei progetti finanziati tramite il PNRR è il filo rosso che sembra legare i diversi principi guida contenuti nella recente Direttiva del Sottosegretario all’innovazione, Alessio Butti, dedicata all’utilizzo di eventuali “residui”. Un tema su cui soprattutto gli enti locali si stanno interrogando da tempo: ecco perché la Direttiva rappresenta un passo importante nell’orientare le amministrazioni in un’ottica di innovazione che sia strutturale e non episodica. Ne parleremo anche al prossimo FORUM PA 2025. Ma per capire bene di cosa si tratta dobbiamo partire dalle basi: a che punto siamo con l’attuazione dei progetti PNRR e come funziona il meccanismo dei lump sum, la cui natura forfettaria apre alla possibilità di avere dei “residui” di spesa. Per passare poi a vedere in dettaglio cosa prevede la Direttiva e i principi guida per l’utilizzo dei residui.
PA digitale e PNRR: stato dell’arte e ultimi provvedimenti
Ci troviamo ormai in una fase molto avanzata di realizzazione dei progetti di digitalizzazione della PA italiana finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). I dati disponibili alla fine del 2024, analizzati anche nel corso della presentazione dell’ultimo FPA Annual Report, restituiscono una fotografia piuttosto esaustiva di quanto sta avvenendo: oltre 19.000 enti registrati su PA Digitale 2026; il 99% dei Comuni e l’88% con almeno una candidatura attiva; un totale di 64.000 progetti complessivi, con oltre 31.000 asseverazioni positive già certificate, di cui 21.000 già liquidati per un importo (qui l’approfondimento completo).
Nell’alveo di questo percorso, gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da due importanti novità. Il 14 febbraio scorso è stato emanato il Decreto n. 39/2025, a firma del Capo Dipartimento della Trasformazione Digitale (DTD), che ha stabilito i termini massimi per il completamento dei progetti finanziati dagli Avvisi a lump sum a titolarità del Dipartimento, mentre il 3 aprile è stata invece pubblicata in GU la Direttiva 23 gennaio 2025 del Sottosegretario all’innovazione Alessio Butti, in materia di gestione dei residui PNRR.
Questi due provvedimenti contribuiscono a meglio definire alcuni passaggi cruciali della fase conclusiva dell’implementazione dei progetti, fornendo indicazioni utilissime ai Soggetti attuatori. Ma se il Decreto 39/2025 si focalizza sulla definizione delle tempistiche di realizzazione, cristallizzando una volta per tutte il termine ultimo per il completamento dei progetti, la recente Direttiva in materia di “gestione dei residui” offre una prospettiva anche oltre l’orizzonte temporale del 2026, introducendo alcuni indirizzi che si muovono nella logica della massimizzazione degli impatti e della sostenibilità dei progetti realizzati nel lungo periodo.
I lump sum, tra fondi europei e PNRR
Ma per meglio comprendere il concetto di “residui” è innanzitutto necessario richiamare brevemente il meccanismo dei lump sum, le cui caratteristiche hanno rappresentato una delle principali ragioni alla base dei numeri estremamente positivi esposti in apertura.
I lump sum, o somme forfettarie, sono una delle possibili forme di sovvenzione che gli Stati membri possono fornire ai soggetti beneficiari nel quadro dei programmi finanziati dai fondi strutturali e di investimento europei. In particolare, i lump sum rientrano nel quadro delle c.d. “opzioni di costo semplificato” (OCS), introdotte a partire dal ciclo di programmazione 2007-2013 e progressivamente adottate in misura sempre maggiore nei cicli successivi (2014-2020 e l’attuale 2021-2027)[1]. Le OCS rappresentano una modalità alternativa al classico meccanismo di rendicontazione a “costi reali”, per il quale il beneficiario di un finanziamento è tenuto a rendicontare costi diretti e indiretti effettivamente sostenuti nell’esecuzione dell’operazione, attraverso la presentazione di giustificativi di spesa. Le OCS consentono invece di calcolare il rimborso per i progetti in base agli output o ai risultati ottenuti. Queste rappresentano quindi non solo un fondamentale strumento di semplificazione e di riduzione degli oneri amministrativi legati gestione delle risorse comunitarie, ma anche un fattore di rafforzamento della cultura delle performance e dell’attenzione ai risultati da parte delle amministrazioni pubbliche.
Elementi particolarmente rilevanti nel quadro del PNRR, caratterizzato da misure performance based legate al raggiungimento di specifici milestone e target. Non deve quindi sorprendere se nel 2021, anche nelle more del Regolamento istitutivo del Recovery and Resilience Facility, il legislatore ha previsto la possibilità di utilizzare le opzioni di semplificazione dei costi anche nell’ambito del PNRR. Infatti, l’articolo 10, comma 4, del decreto-legge 121/2021 (convertito con modificazioni dalla legge 156/2021) stabilisce che “laddove non diversamente previsto nel PNRR, ai fini della contabilizzazione e rendicontazione delle spese, le amministrazioni ed i soggetti responsabili dell’attuazione possono utilizzare le «opzioni di costo semplificate» previste dagli articoli 52 e seguenti del regolamento (UE) 2021/1060 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021”.
Tale regolamento, contenente le disposizioni comuni e le regole finanziarie applicabili ai principali fondi di investimento europei (FESR, FSE+, FC, JTF, FEAMPA), elenca all’articolo 53 le possibili forme di sovvenzione per i soggetti beneficiari. Tra queste compaiono diverse opzioni di costo semplificato, tra cui “costi unitari”, “finanziamenti a tasso forfettario” e, per l’appunto, “somme forfettarie”. In base a quest’ultima opzione, tutti i costi ammissibili di un’operazione (o parte di essi) sono calcolati sulla base di un importo forfettario predeterminato. A rilevare ai fini del riconoscimento dell’importo, non è la spesa sostenuta, bensì il risultato da raggiungere: la sovvenzione è infatti versata se i termini predefiniti dell’accordo sulle attività e/o sugli output sono rispettati in toto.
I lump sum nelle misure sulla PA digitale e i “residui”
Il meccanismo delle somme forfettarie è stato ampiamente adottato dal DTD nell’ambito delle misure del PNRR dedicate alla digitalizzazione della PA di cui è titolare (M1C1), e in particolare per quelle misure rivolte ad ampie platee di potenziali beneficiari (più di 1.000 PA), per cui è prevista una modalità di accesso ai fondi basata su “soluzioni standard”, attraverso la piattaforma PA Digitale 2026. Nel caso di queste misure, i lump sum rappresentano delle stime ex ante dei costi di progetto, definite in base a una metodologia elaborata dal DTD e condivisa con il Ministero dell’Economia e Finanze. Tale metodologia, specifica per ciascuna misura basata su “soluzioni standard”, è stata elaborata dal DTD sulla base dell’analisi della spesa storica per beni e servizi ICT e del confronto con diversi stakeholder, pubblici e privati. Come rimarcato dalla stessa Direttiva, “i contributi concessi in questa forma si delineano come somme forfettarie erogate in un’unica soluzione a seguito del perfezionamento delle attività oggetto del finanziamento”.
L’eventualità di “residui” è quindi legata alla natura forfettaria dei lump sum: per quanto le metodologie di individuazione degli importi possano essere accurate, al termine del progetto le spese sostenute dagli enti possono essere, in concreto, minori (o maggiori) della somma definita ex ante e oggetto di finanziamento. In base alla definizione fornita dalla stessa Direttiva, per “residui” si intendono quindi “le somme forfettarie concesse (lump sum) con decreti di finanziamento non utilizzate dal soggetto attuatore per la realizzazione del progetto e cioè l’eventuale differenza (positiva) tra l’importo del contributo PNRR ricevuto (lump sum) dal Dipartimento per la trasformazione digitale, a seguito del completamento del progetto, quando le attività sono state positivamente asseverate, e gli importi spesi dal soggetto attuatore per realizzare il progetto. Tali residui possono cumularsi qualora l’ente abbia ottenuto contributi a lump sum su più avvisi pubblici”.
La Direttiva e i principi guida per l’utilizzo dei residui
Una caratteristica essenziale dei residui risiede nella loro possibile destinazione. In base alla normativa nazionale, richiamata anche dalle “Linee guida per i soggetti attuatori individuati tramite avvisi pubblici a lump sum”(paragrafo 2.6 “Gestione contabile degli interventi”), per tali importi è previsto il principio della perdita del vincolo di destinazione delle risorse erogate in seguito alla conclusione delle attività e alla positiva asseverazione formale e sostanziale da parte del DTD. In altri termini, gli eventuali residui possono essere utilizzati dagli enti beneficiari anche a scopi diversi da quelli previsti dalla misura nell’ambito del quale è stato ottenuto il finanziamento.
L’assenza di disposizioni specifiche in materia, combinata con il principio di perdita del vincolo di destinazione appena citato, hanno fatto emergere l’esigenza, da parte di moltissime amministrazioni, di ricevere indicazioni sui possibili utilizzi dei residui. Un’esigenza ancora più marcata in una fase come quella attuale, caratterizzata dalla progressiva realizzazione dei diversi progetti a valere sulle misure di PA Digitale 2026, le cui attività dovranno necessariamente essere completate entro il 31 marzo 2026, come stabilito dal recente Decreto n. 39/2025.
Da qui la scelta del DTD di fornire alcuni principi guida nell’utilizzo degli importi residui, finalizzate a promuovere un utilizzo appropriato ed efficiente delle risorse. Nello specifico, la Direttiva individua cinque principi guida.
Il primo, di carattere generale e propedeutico agli altri, richiama alla “prudenza” nell’utilizzo dei residui. Infatti, si suggerisce alle amministrazioni “di procedere all’utilizzo delle eventuali eccedenze non prima di aver concluso il progetto finanziato da un Avviso a lump sum e aver ricevuto esito positivo all’asseverazione tecnica e formale da parte del Dipartimento”. Infatti, solo successivamente a tali verifiche l’ente può essere certo di ricevere il contributo, e di conseguenza essere anche certo di maturare eventuali avanzi.
Gli altri quattro principi individuano invece veri e propri ambiti di utilizzo delle risorse residue, e pertanto meritano alcune riflessioni specifiche.
La focalizzazione sulla digitalizzazione
Fermo restando il principio della perdita del vincolo di destinazione prima richiamato, la Direttiva richiama gli enti alla “massimizzazione degli impatti dei finanziamenti ottenuti”, suggerendo di destinare le risorse residue “ai capitoli di bilancio relativi all’ambito delle spese per la digitalizzazione dell’ente”. La finalità è quindi quella di non disperdere gli eventuali avanzi in diversi capitoli di spesa, ma di concentrare le eventuali eccedenze dei finanziamenti ottenuti su interventi di digitalizzazione. A titolo esemplificativo, e non esaustivo, la Direttiva cita alcune casistiche, focalizzate soprattutto sul rafforzamento degli impatti delle stesse misure del PNRR. Infatti, oltre ad un generico riferimento a “spese nel campo del comparto ICT dell’ente”, i residui possono tradursi in spese utili a:
- “rafforzare la portata degli Avvisi stessi”: solo per fare degli esempi, potrebbe rientrare in questa casistica la scelta di sostenere la migrazione in cloud di uno o più servizi aggiuntivi rispetto a quelli per cui si è ottenuto un finanziamento a valere sulla misura 1.2; oppure, di realizzare un numero maggiore di e-services da esporre sulla PDND rispetto a quelli per cui si è ottenuto un finanziamento a valere sulla misura 1.3.1;
- “fornire maggiore sostenibilità nel tempo agli interventi effettuati”: sempre restando nell’ambito della misura 1.2, potrebbe rientrare in questa casistica la scelta di estendere la copertura dei canoni per i servizi in cloud oltre il primo anno, già coperto dal finanziamento.
La user adoption e la centralità della formazione
L’innovazione parte dalle persone e dalla loro capacità di utilizzare al meglio le soluzioni tecnologiche per produrre “valore pubblico”. Per questo motivo, nel quadro del principio dedicato a “sostenibilità degli interventi effettuati”, si suggerisce di “destinare almeno parte delle risorse residue a progetti formativi e/o di aggiornamento, destinati al personale impiegato nell’utilizzo delle soluzioni tecnologiche e digitali realizzate attraverso le misure M1-C1 del PNRR, per un loro utilizzo nelle loro piena funzionalità e finalità, previste dagli Avvisi stessi”.
Non si tratta, pertanto, di attività destinate alla mera acquisizione di competenze digitali di base da parte dei dipendenti pubblici, ma di iniziative di formazione e aggiornamento professionale dedicate in maniera specifica all’utilizzo delle soluzioni realizzate grazie al contributo del PNRR. Il principio sembra quindi richiamare il concetto della user adoption: in un percorso di transizione digitale non è sufficiente introdurre una nuova soluzione tecnologica, ma è il comportamento delle persone di un’organizzazione e la loro predisposizione al corretto utilizzo dei nuovi strumenti a marcare la differenza tra il successo e l’insuccesso di un processo di trasformazione. La mancata adozione da parte degli utenti interni rappresenta infatti una delle principali cause di fallimento di un progetto di innovazione, che spesso finisce per diventare una vera e propria “cattedrale nel deserto”.
L’importanza della comunicazione
La medesima considerazione può essere fatta sul fronte degli utenti esterni. Il successo di una nuova tecnologia, laddove questa è applicata al miglioramento dei servizi resi all’utenza di riferimento (come nel caso di gran parte delle misure finanziate dalle misure del PNRR), passa anche dal loro effettivo utilizzo da parte di cittadini e imprese. Per questo, il principio dedicato a “comunicazione, pubblicità e trasparenza degli interventi effettuati” richiama gli enti alla necessità di “destinare almeno parte delle risorse residue alla massima comunicazione degli interventi realizzati con fondi PNRR e alla diffusione dei risultati raggiunti, al fine di contribuire alla piena fruizione da parte dei destinatari delle misure di digitalizzazione, cittadini e imprese in primis”.
Occorre ricordare che le già citate Linee guida per i soggetti attuatori richiamano questi ultimi alla “realizzazione di attività di informazione e comunicazione per garantire un’adeguata visibilità agli interventi e trasparenza nell’utilizzo dei fondi”, attraverso l’indicazione esplicita del finanziamento ottenuto nell’ambito del PNRR e un’adeguata diffusione e promozione del progetto, anche sui canali online dell’ente (paragrafo 8. Informazione e pubblicità).
I dettami del principio contenuto nella Direttiva sembrano andare oltre le mere finalità di trasparenza e informazione, insistendo sulla necessità di promuovere un capillare utilizzo di servizi e piattaforme digitali. Per anni l’Italia è stata gravata da un forte gap tra offerta di servizi pubblici digitali e loro effettivo utilizzo da parte dei cittadini. Sebbene tale gap abbia iniziato a ridursi, anche in maniera consistente, negli ultimi anni (a partire dal 2020, anche per effetto della pandemia da Covid-19), l’attenzione al (miss)match tra offerta e domanda di servizi digitali della PA rimane un elemento centrale per le strategie di ammodernamento della PA, e rispetto al quale la comunicazione dell’innovazione rappresenta un fattore cruciale.
La complementarità tra PNRR e altri fondi
L’ultimo principio contenuto nella Direttiva si focalizza sul tema della complementarità tra PNRR e altre risorse finanziarie destinate alla digitalizzazione della PA. Infatti, qualora l’ammontare di risorse in eccesso sia sufficientemente significativo, si suggerisce agli enti di destinare eventuali residui anche alla “integrazione di altri interventi del Soggetto attuatore aventi le stesse finalità dei progetti PNRR”, sostenuti con altri fondi europei, nazionali e regionali.
In particolare, la Direttiva invita “ad integrare gli interventi previsti dagli obiettivi strategici FSC 2021-2027 per l’Area Strategica Digitalizzazione dai Piani dei Fondi di Sviluppo e Coesione, laddove si è destinatari diretti o indiretti di suddetti fondi” e si raccomanda in particolare ai Comuni di “individuare possibili azioni e attività previa consultazione della propria Regione, quale Autorità di Gestione dei Fondi di Sviluppo e Coesione e/o con altri soggetti istituzionali rappresentativi quali le Province”.
In questi anni, nell’ambito dei diversi dibattiti tra operatori del settore (compresi quelli promossi da FPA), l’integrazione tra PNRR e altri fondi europei è stata individuata come un elemento essenziale per garantire un ripensamento in chiave digitale delle amministrazioni che vada oltre l’orizzonte temporale del Piano.
Il filo rosso ai 5 principi: la sostenibilità del digitale nel post-PNRR
“Se nei prossimi anni ci ritroveremo a dover effettuare dei tagli al bilancio dell’ente, come pensate si comporterà il nostro Sindaco? Davanti alla scelta se ridurre le spese per i servizi in cloud o quelli per i servizi sociali, secondo voi su quale voce ricadrà la scure?”
Questa appena riportata non è una citazione testuale, ma rappresenta una considerazione ricorrente emersa nell’ambito degli innumerevoli confronti con amministratori locali organizzati da FPA negli ultimi anni. Un vero e proprio refrain, sintomo di una preoccupazione diffusa negli enti territoriali, Comuni in primis, e riassumibile nella domanda: cosa succede al digitale dopo il PNRR?
Il tema della sostenibilità di lungo periodo dei progetti di digitalizzazione finanziati tramite il PNRR ha assunto rilievo crescente a partire dal 2024, e forse rappresenta oggi il principale elemento di discussione tra gli addetti del settore. Ma la continuità nella fase post-PNRR rappresenta anche il filo rosso che sembra legare i diversi principi guida contenuti nella Direttiva, come anticipato in apertura di questo articolo. Non è un mistero che proprio l’utilizzo intelligente di eventuali residui sia stato individuato da tempo come una delle possibili chiavi per garantire la sostenibilità del digitale anche dopo il 2026. La Direttiva rappresenta in questo senso un primo e fondamentale passaggio per orientare le amministrazioni, soprattutto quelle locali, per massimizzare gli impatti degli investimenti sulla digitalizzazione, nel quadro di una strategia organica di rinnovamento degli enti che non si esaurisca con la chiusura delle misure del PNRR, ma che anzi le utilizzi come base di partenza per uno sforzo continuativo di miglioramento della capacità di fornire servizi di valore alle proprie comunità.
La sostenibilità del digitale dopo il PNRR: il focus a FORUM PA 2025
La della sostenibilità dei progetti di digitalizzazione anche dopo il 2026 rappresenterà uno dei temi principali di FORUM PA 2025 (Roma, 19-21 maggio). In particolare, il tema sarà oggetto della tavola rotonda “L’innovazione nella fase post-PNRR”, nell’ambito dello scenario “Nuovi modelli di governance dell’innovazione” (21 maggio, ore 10.00-13.00).
[1] Tra le amministrazioni italiane che si contraddistinguono per l’utilizzo delle Opzioni di costo semplificato nell’ambito dei Programmi finanziati dai fondi SIE, si segnala la Regione Lazio con il Programma FESR Lazio 2021-2027.
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