Il muro dei dazi americani cambia i commerci per le imprese italiane: «Rischio invasione di merci cinesi»


di
Rita Querzè

Super dazi verso Pechino. I dubbi delle imprese: contro-tariffe o investire sulla competitività?

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I dazi Usa sulla Cina sono incrementati nell’ultima settimana a più riprese. Per chi avesse perso il conto, oggi sono arrivati al 145%. Così le imprese italiane si trovano schiacciate tra due fronti: da una parte penalizzate dai dazi Usa, dall’altra consapevoli del rischio di invasione di merci cinesi a basso costo. Acciaio, alluminio, chimica di base, veicoli, frigoriferi, lavatrici, tessile, abbigliamento. Persino l’alimentare. Se il pericolo è riconosciuto da tutti, meno condivisione c’è sul tipo di risposte da mettere in campo. Ma andiamo con ordine.

Prendiamo gli elettrodomestici. Oggi il 35% dei frigoriferi venduti in Europa viene dall’Asia, il 25% se parliamo degli elettrodomestici in generale. «Dal Covid in poi abbiamo assistito a un aumento delle importazioni di prodotti dal Far East, spesso con prezzi molto aggressivi — fa il punto Marco Imparato, direttore di Applia, l’associazione dei produttori del settore —. Con i nuovi dazi Usa temiamo che questa dinamica possa ulteriormente accentuarsi».




















































Un settore di cui si parla poco è la chimica. Ma anche qui il problema esiste, eccome. «Il rischio che arriva da un riorientamento di prodotti cinesi verso l’Europa causato dai dazi Usa su Pechino è altissimo — avverte il presidente di Federchimica Francesco Buzzella —. Anche perché la quota di import di chimica dalla Cina è già aumentata dal 5 al 16% nel periodo 2021-2024». Ma oggi quali sono i segnali? Qualche indicatore mostra che la situazione sta peggiorando? «A gennaio l’import dalla Cina è raddoppiato», segnala Buzzella.

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Stessi timori in un altro settore per la verità già tartassato dal calo della produzione industriale come quello del tessile-abbigliamento. Il presidente di Confindustria Moda Sergio Tamborini lo ha sottolineato nei giorni scorsi: i prodotti che i cinesi non riescono più a vendere negli Usa finiranno da qualche parte, temiamo anche a casa nostra. Difficile dargli torto, anche perché la Cina fino a ieri ha esportato verso gli Usa prodotti legati al tessile e alla moda per il non trascurabile valore di 145 miliardi dollari l’anno.

Non mancano le preoccupazioni anche per il settore meccanico già in fase di riconversione con il green deal. In quest’ambito non potranno più prendere la strada degli Usa merci cinesi per il valore di 87 miliardi di dollari ogni anno. Se parliamo di automotive e di siderurgia, poi, piove sul bagnato perché l’Europa subisce da tempo la concorrenza di Pechino, tanto che i dazi sulle merci cinesi sono stati introdotti da un pezzo. Il punto è: ora saranno una protezione sufficiente? Prendiamo il caso dell’automotive: se oggi le auto cinesi vendute in Europa ammontano a circa al 5% del totale, già prima dello choc dei dazi i consulenti di Alix Partners stimavano una crescita al 12% nel 2030 e al 20% nel 2035.

Che fare? Alzare e allargare i dazi verso la Cina? La risposta non è per nulla scontata. All’interno di Ucimu, per esempio, l’associazione dei produttori di macchine utensili, il confronto è aperto sull’efficacia dei possibili interventi.

Martedì scorso all’incontro convocato dal governo con le parti sociali, Confindustria ha presentato le sue proposte per potenziare la «difesa commerciale». «Il problema è che la Cina si trovava già a gestire un’importante sovraccapacità produttiva. Da tempo cerca di rafforzare la domanda interna, che però resta ancora debole», riflette Alessandro Fontana, direttore del centro studi. Gli industriali sono realisti. Anche all’incontro con il governo è venuto fuori che sarebbe meglio evitare i dazi sui beni intermedi (i singoli componenti di un prodotto) perché si metterebbero in difficoltà intere filiere. 

C’è il rischio di farci del male da soli, soprattutto quando si parla delle tecnologie strategiche per la transizione. Al massimo i dazi potrebbero essere introdotti o incrementati su alcuni prodotti destinati al consumatore finale. Con la consapevolezza che possono essere anche facilmente aggirati. In Confindustria molti concordano sul fatto che più efficace sarebbe affrontare il problema alla radice. Cioè aumentando la competitività delle nostre imprese, a partire dal costo dell’energia.

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