Sommario: 1. Premessa. La “mossa del cavallo” dell’Esecutivo. – 2. Le progettate misure normative del nuovo Decreto-legge. – 3. L’illusione securitaria fra “overcriminalization” e “panpenalismo”. – 4. Sulla distorta prassi dell’impiego della decretazione d’urgenza in materia penale. Dal D.d.l. al D.l. “Sicurezza”. Prove tecniche di autoritarismo punitivo
1. Premessa. La “mossa del cavallo” dell’Esecutivo
Proprio mentre si trovava “in stato di relazione” fino al 27 marzo 2025, il D.d.l. A.C. 1660 recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario» (d’ora in avanti Disegno di legge), e in discussione al Senato (A.S. 1236), ha conosciuto un destino diverso: quello di essere trasposto in un Decreto-legge governativo.
Difatti, in data 4 aprile scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato un Decreto-legge “Sicurezza”, che contiene diverse misure legislative, tutte aventi, quale comune denominatore, la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica/statuale.
Il testo del D.l. “Sicurezza” (di qui in avanti Decreto-legge) riprende quasi del tutto i connotati sostanziali del D.d.l. “Sicurezza”.
In quest’ultimo caso, si trattava – come noto – di un Disegno di legge, e come tale era stato trasmesso al Parlamento per una sua discussione, priva di termini perentori e con ampie possibilità di revisione.
Dopo oltre un anno e mezzo dalla sua formale presentazione in Parlamento, e considerando l’ipotesi molto concreta di ulteriori dilazioni, l’Esecutivo ha tuttavia operato una mossa decisamente “irrituale”: ha, di fatto, sottratto quel provvedimento al processo parlamentare e lo ha riscritto motu proprio, apportando alcune lievi, ma significative, modifiche.
Una decisione che non può spiegarsi se non per una ragione fondamentale: il Disegno di legge aveva infatti suscitato forti dissidi all’interno degli stessi partiti di maggioranza, e si è quindi optato per garantire “tempi certi” nell’adozione dei provvedimenti securitari, già ampiamente discussi in Parlamento, evitando così le “lungaggini” procedimentali che, come noto, contraddistinguono l’iter di approvazione di un disegno di legge.
Ora che il Consiglio dei Ministri lo ha approvato, il provvedimento tornerà nuovamente alle Camere. Tuttavia, essendo stato trasformato in un Decreto-legge, dovrà come è noto essere approvato – come vuole il dettato costituzionale all’art. 77, co. 2 – entro sessanta giorni per essere convertito in legge, e potrà essere oggetto di modifica solo su aspetti marginali.
Quanto all’oggetto, si tratta dell’ennesimo provvedimento inserito in una programmazione legislativa finalisticamente orientata alla tutela della sicurezza, latu sensu intesa, e rispetto al quale si erano già levate svariate voci critiche, sin dalla presentazione dell’ormai “defunto” Disegno di legge.
Non sembra inappropriato qualificare il provvedimento normativo in esame – che riprende la composita e frammentaria trama del Disegno di legge – come una sorta di “zibaldone”, in ragione della sua composita e magmatica stratificazione tematica, contenendo al proprio interno disposizioni eterogenee, anche di natura penale. Cercando comunque di raggruppare il contenuto del Decreto-legge in taluni nuclei problematici, è possibile individuare nel testo significative novità in materia di contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata, di amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, di sicurezza urbana, di tutela del personale appartenente al comparto “sicurezza”, di sostegno a vittime dell’usura, nonché di gestione dei detenuti e delle attività lavorative sia all’interno che all’esterno degli istituti penitenziari.
2. Le progettate misure normative del nuovo Decreto-legge
Si può procedere adesso a una ricognizione degli innesti legislativi – articolati in trentotto articoli – che l’Esecutivo ha inteso realizzare in diversi ambiti dell’ordinamento giuridico, a partire dagli inserimenti di cui al Capo I del Decreto-legge.
In apertura dell’articolato normativo, si interviene, anzitutto, in materia di prevenzione e contrasto del terrorismo internazionale e dei reati contro l’incolumità pubblica (art. 1).
In questo senso, si estende il già lungo novero dei delitti di terrorismo del Codice penale, introducendo una nuova disposizione in base alla quale è punito, con la reclusione da due a sei anni, chiunque – al di fuori dei casi di cui agli artt. 270-bis e 270-quinquies – consapevolmente si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull’uso di congegni bellici micidiali di cui all’art. 1, co. 1, L. 18 aprile 1975, n. 110, di armi da fuoco o di altre armi o di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché su ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale.
Vengono inoltre criminalizzate, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, le condotte di chi, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull’uso delle materie o sostanze indicate al medesimo comma, o su qualunque altra tecnica o metodo per il compimento di taluno dei delitti non colposi contro la personalità dello Stato di cui al Titolo I, Libro II, c.p. puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
Nello stesso filone “anti-terroristico” rientra l’introduzione di una contravvenzione con previsione dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda fino a 206 euro a carico degli esercenti dell’attività di noleggio di veicoli senza conducenti, in caso di omessa comunicazione dei dati identificativi del cliente e del veicolo (quali targa e numero di telaio), nonché gli intervenuti mutamenti della proprietà e gli eventuali contratti di subnoleggio, per il successivo raffronto effettuato dal CED, estendendo la finalità di prevenzione del terrorismo anche ai reati di criminalità organizzata, di traffico di stupefacenti, di immigrazione e contraffazione (art. 2).
Altre disposizioni del Decreto-legge mirano a rafforzare gli strumenti di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata (artt. 3-7).
In particolare, si estendono le verifiche antimafia anche alle imprese che aderiscono al “contratto di rete”, includendole tra i soggetti sottoposti ai controlli previsti dal Codice antimafia.
Viene inoltre ridefinito il potere attribuito al Prefetto di limitare gli effetti dell’informazione antimafia, qualora l’interessato e i suoi familiari si trovino privi di mezzi di sostentamento. Si esclude, in tal senso, la possibilità di un intervento d’ufficio da parte dell’Autorità prefettizia: la limitazione potrà essere disposta esclusivamente su documentata istanza del titolare dell’impresa individuale e previo accertamento istruttorio da parte del gruppo interforze.
In attuazione della recente sentenza della Corte costituzionale n. 122 del 4 luglio 2024, i benefici previsti per i superstiti delle vittime della criminalità organizzata vengono estesi anche al coniuge, al convivente, ai parenti o affini entro il quarto grado del soggetto destinatario di una misura di prevenzione prevista dal Codice antimafia, ovvero sottoposto a procedimento penale per uno dei reati di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. Tali benefici saranno tuttavia riconosciuti soltanto a condizione che, al momento dell’evento, il richiedente avesse già interrotto in modo definitivo ogni rapporto personale e patrimoniale con il soggetto coinvolto.
Infine, si amplia la disciplina relativa ai collaboratori di giustizia e ai loro familiari, prevedendo la possibilità di utilizzare documenti e identità fiscali di copertura, nonché di costituire società fittizie per lo svolgimento di attività che richiedano un elevato livello di riservatezza.
In materia di amministrazione di beni sequestrati e confiscati, si prevede l’immediato coinvolgimento degli enti locali e la competenza del giudice che, con il provvedimento di confisca, ordina la demolizione in danno.
Inoltre, si introducono disposizioni volte: a) alla semplificazione della procedura relativa alla cancellazione delle aziende inattive; b) al divieto di prestare attività lavorativa alle dipendenze di un’azienda, dopo la confisca definitiva, da parte di soggetti contigui al destinatario della confisca stessa o di coloro che siano stati condannati, anche in primo grado, per il delitto di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.); c) all’iscrizione gratuita nel registro delle imprese, da parte del Tribunale o dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, delle modifiche riguardanti le imprese sequestrate e confiscate; d) al soddisfacimento dei creditori prededucibili delle aziende mediante il prelievo delle somme disponibili nel patrimonio aziendale.
Si estende anche il termine per l’impugnazione delle misure di prevenzione personali adottate dall’Autorità giudiziaria, che passa da dieci a trenta giorni; inoltre, è stata introdotta la possibilità di utilizzare i contributi economici destinati agli enti locali per la messa in sicurezza e l’efficientamento energetico degli edifici scolastici anche per interventi su beni confiscati assegnati all’ente locale.
Oltre a recepire la nuova definizione di “articolo pirotecnico” contenuta nella normativa euro-unitaria – modificandosi contestualmente il diritto domestico in materia (art. 8) –, il Decreto-legge interviene anche in materia di revoca della cittadinanza italiana: si estende difatti da tre a dieci anni il periodo in cui può essere esercitata nei confronti dello straniero, a decorrere dalla sentenza di condanna definitiva per i gravi reati di terrorismo ed eversione, a condizione che possieda o possa acquisire un’altra cittadinanza (art. 9).
Numerose sono pure le modifiche, di cui al Capo II, «in materia di sicurezza urbana» – si potrebbe dire – latamente intesa.
Al riguardo, si introduce una nuova fattispecie di reato, con previsione della reclusione da due a sette anni, volta a sanzionare la condotta di chi, mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze, ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente, è punito con la reclusione da due a sette anni. Alla stessa pena soggiace peraltro chiunque si appropria di un immobile destinato a domicilio altrui o di sue pertinenze con artifizi o raggiri ovvero cede ad altri l’immobile occupato. In più, fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque si intromette o coopera nell’occupazione dell’immobile, ovvero riceve o corrisponde denaro o altra utilità per l’occupazione medesima, soggiace alla pena prevista dal primo comma. E si precisa, infine, che non è punibile l’occupante che collabori all’accertamento dei fatti e ottemperi volontariamente all’ordine di rilascio dell’immobile. È prevista poi la procedibilità d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, o si tratta di edifici pubblici o destinati ad uso pubblico.
In ambito processuale, fra le altre cose, viene inoltre puntigliosamente disciplinata una procedura volta ad accelerare la reintegrazione nel possesso dell’immobile occupato, o di sue pertinenze, a opera della polizia giudiziaria, previa richiesta del pubblico ministero e successiva convalida da parte del giudice con decreto motivato, qualora detto immobile risulti essere l’unica abitazione effettiva del denunciante (art. 10).
Si inaspriscono poi le pene per i reati commessi in ambito urbano.
Viene prevista una nuova circostanza aggravante comune nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità pubblica e individuale, contro la libertà personale e contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio: quella di avere commesso il fatto all’interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all’interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri.
Vengono in aggiunta rafforzati gli strumenti di deterrenza e di repressione delle truffe agli anziani, mediante l’introduzione di una specifica ipotesi di truffa aggravata, punita con la reclusione da due a sei anni e la multa da 700 a 3.000 euro, per la quale è previsto, ai sensi dell’art. 380, co. 2 c.p.p., anche l’arresto in flagranza (art. 11).
Si aggrava, ai sensi dell’art. 635, co. 4, c.p., anche la pena per il reato di danneggiamento in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico qualora il fatto sia commesso con violenza alla persona o minaccia (art. 12).
Il Decreto-legge reca disposizioni finalizzate a estendere l’ambito di applicazione della misura di prevenzione del divieto di accesso alle aree urbane (DACUR, c.d. Daspo urbano). Viene introdotta, a tal fine, l’osservanza del divieto di accesso nei confronti di coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per alcuno dei delitti contro la persona o contro il patrimonio. Intervenendo sull’art. 165 c.p., si stabilisce adesso che nei casi di condanna per i reati menzionati commessi nelle aree delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e nelle relative pertinenze, la concessione della sospensione condizionale della pena è comunque subordinata all’osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere a luoghi o aree specificamente individuati.
Si estende poi l’arresto in flagranza differita, secondo l’art. 380 c.p.p., al reato di cui all’art. 583-quater c.p., in tema di lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico, commesso in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico (art. 13).
Si prevede, ancora, che sia punito a titolo di illecito penale – in luogo dell’illecito amministrativo, attualmente previsto – il blocco stradale o ferroviario attuato mediante ostruzione fatta col proprio corpo (reclusione fino a un mese e la multa fino a 300 euro). La pena è aumentata (da sei mesi a due anni) se il fatto è commesso da più persone riunite (art. 14).
In materia di esecuzione della pena, si novellano profondamente gli artt. 146 e 147 c.p., rendendo facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio dell’esecuzione della pena per le condannate incinte o madri di prole di età inferiore a un anno, e disponendo che le medesime scontino la pena, qualora non venga disposto il differimento, presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Inoltre è previsto che l’esecuzione della pena non può essere differita se dal differimento stesso derivi una situazione di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti.
Particolarmente ampi risultano, per di più, i ritocchi al codice del rito penale, con l’inserimento, da parte del Decreto-legge, del nuovo art. 276-bis c.p.p., nonché con la modifica di ulteriori disposizioni preesistenti.
Sempre per contrastare i delitti urbani considerati più molesti, il Decreto-legge interviene sull’art. 600-octies c.p. in più aspetti.
Oltre alla modifica della rubrica del reato, aumenta la pena del comma 1 (da uno a cinque anni, anziché fino a tre anni) per il reato di impiego di minori all’accattonaggio sino a 16 anni (non più sino a 14) e, al comma 2, criminalizza, sotto la sanzione della reclusione da due a sei anni, la condotta di chi induce un terzo all’accattonaggio, organizzi l’altrui accattonaggio, se ne avvalga o comunque lo favorisca a fini di profitto. La pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso con violenza o minaccia o nei confronti di persona minore degli anni sedici o comunque non imputabile (art. 16).
Sotto altro versante, si estende anche ai comuni capoluogo di città metropolitana della Regione siciliana in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (c.d. pre-dissesto), e che hanno sottoscritto l’accordo per il ripiano del disavanzo e il rilancio degli investimenti, l’autorizzazione ad assumere cento vigili urbani, già prevista da altra normativa interna per le città metropolitane siciliane che hanno terminato il periodo di risanamento (art. 17).
Chiudono il Capo II le numerose novelle alle «disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa» (Cannabis sativa L.) di cui alla L. 2 dicembre 2016, n. 242, che detta misure normative al fine di evitare che l’assunzione di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa o contenenti tali infiorescenze possa favorire, attraverso alterazioni dello stato psicofisico del soggetto assuntore, comportamenti che espongano a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale.
Fra le numerose modifiche introdotte vi è, in particolare, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. Si prevede che, in tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, «in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza».
Infine, nell’ambito della liceità della coltivazione, è stata prevista la produzione agricola di semi destinati agli usi consentiti dalla Legge entro i limiti di contaminazione stabiliti dal decreto del Ministro della Salute (art. 18).
Corposo risulta il pacchetto di norme destinate alla tutela del «personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché degli organismi di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 124» di cui al Capo III.
In primo luogo, il nuovo provvedimento normativo reca modifiche gli artt. 336, 337 e 339 c.p., introducendo una circostanza aggravante dei delitti di violenza o minaccia e di resistenza a pubblico ufficiale, qualora il fatto sia commesso nei confronti di un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza. In tal caso, la pena è aumentata fino alla metà.
Inedita appare anche l’ulteriore aggravante che opera nel caso di atti violenti commessi al fine di impedire la realizzazione di infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici (art. 19).
Debutta, inoltre, sotto il tenore dell’art. 583-quater, co. 1, c.p., la nuova fattispecie di lesioni personali cagionate a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni. In questi casi, si applica la reclusione da due a cinque anni. In caso di lesioni gravi o gravissime, la pena è, rispettivamente, della reclusione da quattro a dieci anni e da otto a sedici anni. Si modifica contestualmente anche la rubrica dell’articolo di legge (art. 20).
Sotto il vigore del nuovo Decreto-legge, le forze di polizia potranno indossare bodycam sulle divise, ossia dispositivi di videosorveglianza idonei a registrare l’attività operativa nei servizi di mantenimento dell’ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili, nonché in ambito ferroviario e a bordo treno. La stessa facoltà è prevista nei luoghi e negli ambienti in cui vengono trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale (art. 21).
In materia di tutela legale, agli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria appartenenti alle Forze di polizia a ordinamento civile o militare e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, indagati o imputati per fatti inerenti al servizio, nonché al coniuge, al convivente di fatto, e ai figli superstiti degli ufficiali o agenti deceduti, che intendono avvalersi di un libero professionista di fiducia, può essere corrisposta, anche in modo frazionato, su richiesta dell’interessato e compatibilmente con le disponibilità di bilancio dell’amministrazione di appartenenza, una somma, complessivamente non superiore a 10.000 euro per ciascuna fase del procedimento, destinata alla copertura delle spese legali, salva la rivalsa se al termine del procedimento è accertata la responsabilità dell’ufficiale o dell’agente a titolo di dolo (art. 22).
La medesima tutela legale è estesa agli appartenenti delle Forze armate (art. 23).
Mediante una modifica ai commi 2 e 3 dell’art. 639 c.p., in materia di «Deturpamento e imbrattamento di cose altrui», si rafforza la tutela dei beni mobili e immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche con la previsione, in caso di deturpamento e imbrattamento degli stessi con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione cui il bene appartiene, della pena della reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi (anziché da uno a sei mesi) e la multa da 1.000 a 3.000 euro (anziché da 300 a 1.000 euro), con aumento della pena detentiva (da sei mesi a tre anni, anziché da tre mesi a due anni) e della multa (fino a 12.000 euro, anziché fino a 10.000 euro), in caso di recidiva (art. 24).
Nel Decreto-legge può rinvenirsi poi anche l’inasprimento delle sanzioni del «Codice della strada» per violazione delle prescrizioni e degli obblighi impartiti dal personale della polizia stradale, con la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida da quindici a trenta giorni in caso di recidiva nel biennio per le violazioni previste. L’inasprimento opera, specificamente, con particolare riguardo ai casi di inosservanza dell’obbligo di fermarsi intimato dal personale che svolge servizi di polizia stradale, nonché delle altre prescrizioni impartite dal personale medesimo e dettagliatamente tipizzate nell’art. 192, D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (art. 25).
Notevoli sono le misure riguardanti la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari.
Lungo questa linea di intervento, l’Esecutivo si prefigge di introdurre nel corpo del reato di «Istigazione a disobbedire alle leggi» un’aggravante apposita che ricorre se il fatto è commesso all’interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute.
Del tutto inedita è invece l’art. 415-bis c.p., in cui si codifica il reato di «Rivolta all’interno di un istituto penitenziario». In forza di tale nuova previsione, la reclusione da uno a cinque anni opera, al comma 1, nei confronti di chi, all’interno di un istituto penitenziario, partecipa a una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, commessi da tre o più persone riunite.
La disposizione reprime poi al comma 2, con la reclusione da due a otto anni, la condotta di coloro che promuovono, organizzano o dirigono la rivolta.
Ancora, si precisa, a seguire, che: se il fatto è commesso con l’uso di armi, la pena è della reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal comma 1 e da tre a dieci anni nei casi previsti dal comma 2; se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, una lesione personale grave o gravissima, la pena è della reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal comma 1 e da quattro a dodici anni nei casi previsti dal comma 2; se, quale conseguenza non voluta, ne deriva la morte, la pena è della reclusione da sette a quindici anni nei casi previsti dal comma 1 e da dieci a diciotto anni nei casi previsti dal comma 2.
Infine, nel caso di lesioni gravi o gravissime o morte di più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non può superare gli anni venti (art. 26).
Una fattispecie di reato strutturalmente analoga alla rivolta in istituto penitenziario è introdotta, peraltro, per reprimere gli episodi di proteste violente da parte di gruppi di stranieri irregolari trattenuti nei centri di trattenimento e accoglienza (art. 27).
In materia di licenza, porto e detenzione di armi per gli agenti di pubblica sicurezza, si autorizzano gli agenti di pubblica sicurezza a portare senza licenza alcune tipologie di armi quando non sono in servizio (art. 28).
Con riferimento alla tutela delle funzioni istituzionali svolte in mare dal Corpo della Guardia di finanza, il Decreto-legge estende l’applicabilità delle pene previste dagli artt. 1099 e 1100 del Codice della navigazione anche ai capitani di navi, italiane o straniere, che non ottemperino all’intimazione di fermo da parte delle unità navali della Guardia di finanza, ovvero che pongano in essere atti di resistenza nei loro confronti.
È altresì prevista la pena della reclusione fino a due anni per il comandante di una nave straniera che non ottemperi all’ordine impartito da una nave da guerra nazionale nei casi consentiti dalle norme internazionali in materia di diritto di visita e ispezione dei documenti di bordo. È invece punito con la reclusione da tre a dieci anni il comandante o l’ufficiale della nave straniera che compia atti ostili nei confronti di una nave da guerra nazionale impegnata, in conformità al diritto internazionale, nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali (art. 29).
Per la tutela del personale delle Forze armate che partecipa a missioni internazionali, si prescrive adesso la non punibilità per i soggetti che, nel corso delle missioni internazionali, in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica, per le necessità delle operazioni militari. A tali fattispecie, viene aggiunto l’uso di dispositivi e programmi informatici o altri mezzi idonei a commettere delitti contro l’inviolabilità del domicilio, anche informatico, e dei segreti, ai sensi del Codice penale. Le norme penali in questione riguardano la violazione, anche mediante condotte offensive cibernetiche, del domicilio, della corrispondenza e delle comunicazioni, le illegittime interferenze nella vita privata, nonché la violazione dei segreti (art. 30).
Il Decreto-legge ritocca anche l’articolata disciplina delle garanzie funzionali per il personale dei Servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica impegnato nelle attività di istituto di tutela della sicurezza nazionale.
È bene rammentare che il Decreto-legge, anzitutto, rende permanenti talune disposizioni per il potenziamento dell’attività dei Servizi di informazione, introdotte, in via temporanea, dall’art. 8, D.l. 18 febbraio 2015, n. 7 e dall’art. 4, co. 2-bis, D.l. 27 luglio 2005, n. 144 e poi successivamente prorogate fino al 30 giugno 2025.
Le disposizioni destinate a diventare permanenti interessano, peraltro, diversi settori dell’ordinamento e non poche sono le previsioni innovative nei contenuti.
In primo luogo, si amplia il novero di condotte di reato scriminabili che gli operatori dei Servizi di informazione possono compiere su autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri. In particolare, oltre a quelle già “giustificate” dal D.l. 18 febbraio 2015, n. 7, “accedono” alla previsione di liceità anche l’organizzazione e la direzione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, nonché le nuove ipotesi di detenzione di materiale con finalità di terrorismo e di fabbricazione o detenzione di materie esplodenti. A tal fine, si novella l’art. 17, co. 4, L. 3 agosto 2007, n. 124 – ampliandone il perimetro operativo –, che disciplina minuziosamente la “speciale” causa di giustificazione per gli agenti dei Servizi citati.
Si prevede poi l’attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza, con funzioni di polizia di prevenzione, al personale militare impiegato nella tutela delle strutture e del personale del Dipartimento per le informazioni per la sicurezza (DIS) o dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI) (si introduce, in proposito, un apposito comma 1-bis nell’art. 8, D.l. 18 febbraio 2015, n. 7).
Si stabilizza, inoltre, la tutela processuale in favore degli operatori dei Servizi di informazione, attraverso l’utilizzo di identità di copertura negli atti dei procedimenti penali avviati per le condotte-reato degli operatori medesimi realizzate nell’ambito delle attività istituzionali, previa comunicazione, con modalità riservate, all’Autorità giudiziaria procedente contestualmente all’opposizione della “speciale” causa di giustificazione (art. 19, L. 3 agosto 2007, n. 124; anche tale nuova previsione è affidata a un nuovo comma 1-ter dell’art. 8, D.l. 18 febbraio 2015, n. 7).
Ancora, in base al nuovo comma 1-quater dell’art. 8, D.l. 18 febbraio 2015, n. 7, viene messa a regime la misura che consente all’Autorità giudiziaria, su richiesta del direttore generale del DIS, dell’AISE e dell’AISI, di autorizzare gli addetti dei Servizi di informazione a deporre in ogni stato e grado del procedimento con identità di copertura, ove sia necessario mantenere segrete le loro vere generalità nell’interesse della sicurezza della Repubblica o per tutelarne l’incolumità.
In aggiunta, si introduce in modo permanente la possibilità che i direttori dell’AISE e dell’AISI, o altro personale espressamente delegato, siano autorizzati dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, previa richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, a condurre colloqui investigativi con detenuti e internati, per finalità di acquisizione informativa per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale. Si interviene, in questo caso, nell’ambito dell’art. 4, co. 2-bis, D.l. 27 luglio 2005, n. 144.
Infine, si prevede la possibilità per l’AISE e l’AISI di richiedere alle Autorità nazionali competenti di cui all’art. 5, D.lgs. 8 novembre 2021, n. 186, secondo modalità definite d’intesa, le informazioni e le analisi finanziarie connesse al terrorismo (nuovo comma 1-bis inserito nell’art. 14, D.lgs. 8 novembre 2021, n. 186). Ciò, al fine di prevenire ogni forma di aggressione terroristica di matrice internazionale. Viene così integrata la previsione secondo cui le Forze di polizia devono condividere tempestivamente, secondo modalità definite d’intesa, le informazioni finanziarie e le analisi finanziarie (art. 31).
In forza di talune disposizioni di settore in materia di forniture di servizi di telefonia mobile si conclude il novero di norme che compongono il Capo III.
I ritocchi normativi interessano, in tal caso, il «Codice delle comunicazioni elettroniche», prevedendosi la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività
da cinque a trenta giorni per i casi nei quali le imprese autorizzate a vendere schede SIM non
osservino gli obblighi di identificazione dei clienti indicati nell’art. 98-undetricies del citato Codice. Questo articolo, al contempo, viene novellato sotto due distinti profili: 1) con riferimento alla conclusione di contratti il cui oggetto sia un servizio per la telefonia mobile (contratti pre-pagati o in abbonamento), viene previsto che al cliente, che sia cittadino di Paese fuori dall’Unione europea, sia richiesto anche il documento che attesti il regolare soggiorno in Italia. Per il caso in cui il cliente lo abbia smarrito o gli sia stato sottratto, è necessario fornire copia della denuncia di smarrimento o furto; 2) ai condannati per il reato di sostituzione di persona (art. 494 c.p.), commesso con la finalità di sottoscrivere un contratto per la fornitura di telefonia mobile, si applica altresì la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con gli operatori per un periodo da sei mesi a due anni (art. 32).
L’unica disposizione che compone il Capo IV reca «disposizioni in materia di vittime dell’usura».
Le progettate misure normative di sostegno agli operatori economici vittime dell’usura investono la L. 7 marzo 1996, n. 108, recante apposite «disposizioni in materia di usura».
L’art. 14-bis, da innestare nella citata Legge, introduce una figura professionale di supporto alle vittime del reato di usura che beneficiano dei mutui previsti dalla normativa vigente. L’obiettivo è di garantire il rilancio mediante un efficiente utilizzo delle risorse economiche assegnate e il reinserimento nel circuito economico legale. A tal fine, sin dal momento della concessione del mutuo, la vittima di usura viene affiancata da un esperto consulente, scelto da un apposito albo istituito dall’Ufficio del Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura.
L’incarico dell’esperto è conferito dal Prefetto territorialmente competente, ha durata quinquennale e comporta compiti di assistenza nella gestione del mutuo, nella presentazione dei progetti e nel monitoraggio dell’andamento economico dell’impresa.
Le risorse economiche erogate alla vittima, una volta nominato l’esperto, costituiscono un patrimonio separato e vincolato alla ripresa dell’attività. In caso di utilizzo scorretto delle risorse o mancato raggiungimento degli obiettivi di reinserimento economico, anche su segnalazione dell’esperto, è prevista la revoca del beneficio e la restituzione delle somme (art. 33).
Il Capo V detta «norme sull’ordinamento penitenziario».
La prima disposizione che lo compone, ritoccando la L. 26 luglio 1975, n. 354, mira a: ricomprendere l’aggravante del reato di istigazione a disobbedire alle leggi e il delitto di rivolta all’interno di un istituto penitenziario nel catalogo dei reati per i quali la concessione di benefici penitenziari è subordinata alla mancanza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva; istituire un termine di sessanta giorni entro cui l’amministrazione penitenziaria deve esprimersi nel merito sulle proposte di convenzione relative allo svolgimento di attività lavorative da parte di detenuti ricevute (art. 34).
Il Decreto-legge poi: estende i benefici previsti dalla L. 22 giugno 2000, n. 193 per le aziende pubbliche o private che impieghino detenuti anche all’esterno degli istituti penitenziari (art. 35); amplia la possibilità di assumere in apprendistato professionalizzante anche i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e i detenuti assegnati al lavoro all’esterno (art. 36); autorizza il Governo ad apportare modifiche al regolamento di cui al d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, in materia di organizzazione del lavoro dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario, sulla base dei criteri in esso indicati (art. 37).
Chiude il Decreto-legge una «Clausola di invarianza finanziaria», in forza della quale salvo quanto previsto dagli artt. 5, 17, 21, 22, 23 e 36, dall’attuazione del presente Decreto-legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (art. 38).
3. L’illusione securitaria fra “overcriminalization” e “panpenalismo”
Nelle pagine precedenti si è ripercorsa l’impalcatura securitaria su cui poggia il Decreto-legge “Sicurezza”, che l’Esecutivo intende rendere immediatamente operativo, nell’esibito intento di rispondere a presunte emergenze in materia di sicurezza. Tale intento, tuttavia, appare funzionale a finalità latenti di natura politico-elettorale: da un lato, la proposta punitiva viene utilizzata per intercettare il consenso dell’elettorato; dall’altro, essa si configura come una forma di “distrazione di massa”, utile a distogliere l’attenzione dai reali problemi sociali che attraversano il Paese.
Dall’esame dell’articolata trama normativa emerge un ricorso variegato all’armamentario penale, che segue, tuttavia, sentieri già tracciati dall’attuale XIX legislatura, nonché dalle precedenti. La ricetta adottata resta invariata: introduzione di nuovi reati, ampliamento di quelli esistenti, inasprimento della pena attraverso una maggiore dosimetria sanzionatoria, rafforzamento delle misure di prevenzione, innovazioni nelle modalità di esecuzione della pena e l’introduzione di nuovi meccanismi coercitivi in ambito investigativo o cautelare.
Tutte queste misure sembrano orientate a “consegnare” ai cittadini, nell’ambito di una sorta di «marketing delle emozioni», un “prodotto securitario” che risulta ostentatamente simbolico ed espressivo, e come tale privo di effettività. Si tratta di misure volte a elargire sicurezza: «una parola d’ordine – o una parola magica – al contempo ansiogena ed ansiolitica», che funge da reazione pronta e apparente a ogni irritazione sociale o presunta emergenza endemica.
Trattasi di una sicurezza collettiva, che viene delegata alla “scure” del «diritto penale totale», puntando quindi sul suo aspetto più muscolare, perentorio e marziale, nella lotta contro forme vecchie e nuove di criminalità, terrorismo, devianza, dissenso, marginalizzazione e povertà. Tutti questi fenomeni, come già rilevato, diventano oggetto di specifica criminalizzazione all’interno del Decreto-legge.
Così operando, lo Stato scommette ingenuamente sul fatto – invero indimostrato – che gli effetti normativamente attesi si realizzino concretamente. Al contempo, si trascurano gli effetti collaterali che la «straripante “overcriminalization”» – in spregio al principio di extrema ratio – e il sovradosaggio di pena e di coercizione processuale realmente producono, specie sui diritti fondamentali della persona umana coinvolta, che vengono così travolti dalla scelta legislativa tipica del “trend” securitario. Si invera, in tal modo, l’illusione della sicurezza attraverso il diritto penale.
Si aggiunga poi che nel realizzare la stretta securitaria degli ultimi anni, il Legislatore ha fatto ricorso a una contraddittoria e degenerativa linea di tendenza della contemporaneità penalistica che prende il nome di “panpenalismo”. Questo fenomeno, di estrazione populista, unisce schemi di prevenzione e repressione tipici del «Penale di Polizia»: una tendenza che segue logiche simboliche e irrazionali, che risultano contrarie all’efficienza del sistema punitivo e che, al contrario, alimentano l’incertezza sanzionatoria.
Più specificamente, la “spettacolarizzazione” della cronaca giudiziaria, distorcendo la percezione sociale del crimine, alimenta il sentimento di paura e il crescente bisogno di sicurezza nella collettività. Lo Stato, percependo questa esigenza, si trova spinto a rispondere con massima prontezza, temendo di perdere consenso. È proprio in questo contesto che prende piede il panpenalismo d’urgenza, con la conseguente “fabbrica dei reati e delle pene” che caratterizza un diritto penale elevato a strumento di intervento ordinario in tutti i settori di interesse pubblico.
Come è facile intuire, questa visione si oppone radicalmente a quella minimalista, che concepisce il diritto penale come extrema ratio, da utilizzare solo quando altri strumenti giuridici non risultano più adeguati a tutelare determinati beni giuridici.
Il congedo dell’ultima ratio dal sistema penale contemporaneo matura quindi all’interno di un panpenalismo dai tratti marcatamente polimorfi. Esso, infatti, non si esaurisce nella semplice moltiplicazione di illeciti penali e amministrativi e di pene tradizionali, ma prende forma attraverso una ramificazione tentacolare dell’apparato punitivo. Tale processo è favorito dall’impiego di strumenti prescrittivi e sanzionatori flessibili, generati dalla destrutturazione della legalità in senso formale e dalla ibridazione della fonte penale con elementi giurisdizionali e burocratico-amministrativi.
In parallelo, poi l’universo sanzionatorio multifunzionale di matrice comunitaria introduce un sistema che sovrappone sanzioni penali e amministrative, misure punitive, patrimoniali e interdittive, finalità specialpreventive e scopi risarcitori, rendendo sempre più difficile individuare persino l’ordinamento di appartenenza delle sanzioni.
4. Sulla distorta prassi dell’impiego della decretazione d’urgenza in materia penale
Come già accennato, la sicurezza collettiva è sempre più frequentemente affidata, secondo una prassi ormai consolidata, alla “scure” del diritto penale. Ed è proprio questo diritto penale a essere cristallizzato, di volta in volta, nello strumento eccezionale del decreto-legge.
Un cenno ulteriore merita allora il metodo della legiferazione e, quindi, la prassi dell’impiego della decretazione d’urgenza nella materia penalistica.
L’opzione di ricorrere all’utilizzo del decreto-legge, anziché seguire il procedimento di approvazione della legge formale ordinaria, è criticabile sia in relazione alla natura dell’organo
deliberante, sia in relazione ai requisiti, stringenti, di necessità e urgenza imposti dal disegno costituzionale.
È notorio che nel diritto penale vige il principio costituzionale della riserva di legge. L’interpretazione restrittiva della lettera costituzionale suggerisce che la legge formale ordinaria debba essere la fonte esclusiva del diritto penale. Indubbiamente, il Legislatore costituente ha considerato che il sacrificio della libertà personale, implicato dalle sanzioni penali, richieda una deliberazione del Parlamento, dove sono rappresentate anche le minoranze politiche, mentre l’organo esecutivo gode della fiducia solo della maggioranza parlamentare.
Nella materia penale, il ponderato bilanciamento tra l’esigenza di sicurezza della collettività, da una parte, e il sacrificio della libertà personale, dall’altra, non può che essere affidato all’organo rappresentativo dell’intero popolo italiano. Ne discende che, di regola, l’introduzione di nuove norme penali deve promanare dalla legge formale ordinaria, mentre il ricorso al decreto-legge deve essere giustificato da circostanze eccezionali.
Diversamente operando, ne risulterebbe una torsione del principio di legalità penale, una compressione del dibattito parlamentare e, più in generale, una fragilità dell’assetto democratico. Squilibrando la forma di governo e concentrando il potere, si intacca la forma stessa dello Stato, minando la democrazia. Il diritto penale, in questo contesto, finirebbe per piegarsi alle presunte ondate securitarie, diventando uno strumento reattivo e simbolico, piuttosto che il risultato di una ponderata razionalità legislativa.
Orbene, nel caso di specie, sembrano mancare proprio tutti i requisiti di necessità e urgenza che giustificano il ricorso allo strumento eccezionale del Decreto-legge emanato dall’Esecutivo, già oggetto di severe, pur fondate, critiche da parte della dottrina.
L’impiego di tale forma di provvedimento si inserisce poi in una prassi consolidata, seppur anomala, caratterizzata da un “abuso” della decretazione d’urgenza per affrontare fenomeni di rilievo penale. Una prassi che, alterando il sistema delle fonti, finisce per compromettere la separazione dei poteri, principio cardine della democrazia costituzionale che assicura la limitazione del potere.
Come noto, il decreto-legge, quale ipotesi eccezionale del legiferare, è subordinata al rispetto di condizioni precise, dovrebbe servire a far fronte a situazioni straordinarie e imprevedibili (ad es., attacchi terroristici, crisi migratorie, emergenze sanitarie, situazioni belliche, etc.).
Nel caso del Decreto-legge oggetto di attenzione, invece, manca una situazione concreta che renda improrogabile l’intervento del Parlamento, come si evidenzia brevemente nei motivi che seguono.
In chiave giuridica, anzitutto, si riscontra un’ampiezza e una genericità dei motivi che legittimano l’Esecutivo al ricorso alla decretazione d’urgenza. Le giustificazioni fornite risultano infatti generiche e ricorrenti, spesso riducendosi a mere formule di stile, prive di un legame con eventi eccezionali. Il riferimento ai «casi straordinari di necessità e di urgenza» – come richiesto dall’art. 77, co. 2, Cost. – appare pertanto in parte stereotipato, quasi “di prassi”.
Si riscontra inoltre una evidente eterogeneità nelle materie trattate. Il Decreto-legge abbraccia numerosi settori, corrispondenti ai cinque Capi che lo compongono, suscitando dubbi circa la coerenza e l’urgenza complessiva dell’intervento. Molti di questi provvedimenti risultano infatti di natura strutturale, tali da poter essere gestiti più adeguatamente tramite una legge ordinaria, previo opportuno dibattito parlamentare.
Sul punto, appare allora opportuno richiamare il recentissimo insegnamento-monito della Corte costituzionale di cui alla sentenza 25 luglio 2024, n. 146, in cui, in estrema sintesi, si è stabilito, a chiare lettere, che il decreto-legge è «uno strumento eccezionale», e «la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza […] costituisce un requisito di validità costituzionale», in quanto in gioco vi sono gli «equilibri fondamentali della forma di governo».
Da un’altra prospettiva, si può poi aggiungere che il “vecchio” Disegno di legge è stato presentato oltre un anno fa per iniziativa governativa, e non come decreto-legge. Appare dunque quantomeno improbabile che, al di là di motivazioni di natura esclusivamente politico-elettorale, siano sopravvenute ragioni effettive di necessità e urgenza che giustifichino l’intervento normativo immediato su tutte le disposizioni eterogenee contenute nei trentotto articoli del provvedimento. Ciò apre conseguentemente la strada a possibili questioni di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 77 Cost..
In definitiva, il Decreto-legge in esame, precario quanto a rispetto dei principi penalistici di rango costituzionale, e manifestazione di una degenerante ipertrofia penalistica, “scarica” sulla giustizia penale e sul sistema carcerario la soluzione ai mali sociali e l’azzeramento delle minacce alla sicurezza in senso lato.
Secondo chi scrive, quindi, questo approccio appare sovraesteso e discutibile sotto il profilo della democraticità del processo legislativo, divenendo uno strumento dell’azione politica dell’Esecutivo, anche a discapito della stessa iniziativa legislativa ordinaria. Il pericolo concreto è, quindi, quello di creare un precedente che potrebbe favorire una prassi capace di svilire le prerogative del Parlamento.
D.d.l. in esame è stato presentato in data 22 gennaio 2024 per iniziativa governativa del Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministero della Giustizia e col Ministero della Difesa.
Fino a quella data, infatti, le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia in sede referente, terminate le audizioni, stavano procedendo alla valutazione dei numerosi emendamenti proposti al testo approvato alla Camera lo scorso 18 settembre 2024.
Su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell’Interno, del Ministro della Giustizia e del Ministro della Difesa.
Il Decreto-legge in esame introduce, sulla falsariga del “vecchio” Disegno di legge, «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario».
Sebbene risalga al novembre 2023 la sua approvazione da parte del Consiglio dei Ministri. Cfr. Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 59, 16 novembre 2023, consultabile su www.governo.it.
Come sembra emergere dalla ricostruzione de Il Post, Perché il disegno di legge “Sicurezza” è diventato un decreto-legge, 4 aprile 2025, consultabile su www.ilpost.it.
Si pensi, per rimanere all’attuale XIX legislatura, alla già approvata L. 28 giugno 2024, n. 90 («Disposizioni in materia di rafforzamento della cybersicurezza nazionale e di reati informatici»).
Si veda, da ultimo, V. Manes, L’ossessione securitaria, in Dir. dif., 24 marzo 2025, p. 1 ss. e dottrina ivi richiamata. Posizioni critiche erano state espresse anche dal mondo forense, oltre che da quello accademico. Si vedano, a tal proposito, Pacchetto sicurezza: l’Unione delle Camere Penali Italiane delibera lo stato di agitazione, in Sist. pen., 2 ottobre 2024; Pacchetto sicurezza: il comunicato del Consiglio direttivo dell’Associazione italiana dei Professori di Diritto penale, in Sist. pen., 3 ottobre 2024. Forti preoccupazioni per il potenziale impatto del D.d.l. su alcune libertà garantite dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sono state espresse anche dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa in una lettera inviata al Presidente del Senato il 16 dicembre 2024 (Il Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani chiede al Senato di modificare il “pacchetto sicurezza” per salvaguardare le libertà di associazione e di manifestazione del pensiero, in Sist. pen., 23 dicembre 2024).
Giovandosi qui anche delle brevi ricostruzioni contenutistiche contenute nel Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 122, 4 aprile 2025, consultabile su www.governo.it. V. anche il Dossier n. 240/2, XIX Legislatura, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario – A.S. n. 1236, 30 settembre 2024, p. 5 ss., consultabile su www.senato.it.
Recante «Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, nonché in materia di beni sequestrati e confiscati e di controlli di polizia».
Al riguardo, si prevede l’introduzione di due nuove ipotesi criminose di cui agli artt. 270-quinquies.3 («Detenzione di materiale con finalità di terrorismo») e 435, co. 2 («Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti») c.p., su cui, criticamente, già M. Pelissero, A proposito del disegno di legge in materia di sicurezza pubblica: i profili penalistici, in Sist. pen., 27 maggio 2024.
In Giur. cost., 2024, p. 1252 ss.
In questi termini, è stato delineato un nuovo reato all’art. 634-bis c.p. («Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui»).
Si modifica così la disciplina dell’art. 639-bis c.p. sui «Casi di esclusione della perseguibilità a querela».
In quest’ultimo senso, il nuovo art. 321-bis c.p.p. («Reintegrazione nel possesso dell’immobile»).
Nuovo art. 61, co. 1, n. 11-decies), c.p.
Si sopprime la circostanza aggravante del n. 2-bis) del comma 2 dell’art. 640 c.p., che adesso diventa autonoma ipotesi di reato nel nuovo comma 3, con corrispondente inasprimento del relativo trattamento sanzionatorio.
Con reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni e della multa fino a 15.000 euro, anziché da uno a cinque anni e con la multa fino a 10.000 euro.
Si aggiunge, in tal modo, un nuovo comma nell’art. 165 c.p. in materia di «Obblighi del condannato».
Disciplinanti, rispettivamente, il «Rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena» e il «Rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena».
Recante «Provvedimenti in caso di evasione o di condotte pericolose realizzate da detenuti in istituti a custodia attenuata per detenute madri».
Si vedano gli artt. 285-bis, co. 1 «Custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri»; 293, co. 1-quater «Adempimenti esecutivi»; 386, co. 4 «Doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo»; 558, co. 4-bis «Convalida dell’arresto e giudizio direttissimo» e 678, co. 1-bis «Procedimento di sorveglianza» c.p.p.
Recante, secondo il Decreto-legge, «Impiego di minori nell’accattonaggio. Organizzazione e favoreggiamento dell’accattonaggio. Induzione e costrizione all’accattonaggio». Cfr. rubrica vigente: «Impiego di minori nell’accattonaggio. Organizzazione dell’accattonaggio».
Rispettivamente, in materia di «Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale», «Resistenza a un pubblico ufficiale» e di «Circostanze aggravanti» per tali reati.
Che diviene pertanto la seguente: «Lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni, nonché a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali». Cfr. la rubrica attualmente vigente: «Lesioni personali a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, nonché a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali».
D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
Il medesimo articolo chiarisce che costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva che, avuto riguardo al numero delle persone coinvolte e al contesto in cui operano i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio, impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza.
In questo caso, si aggiunge un nuovo comma dopo il comma 7 dell’art. 14, D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
Cfr. art. 17 ss. L. 3 agosto 2007, n. 124 («Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto»).
Conv. con mod. dalla L. 17 aprile 2015, n. 43 («Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione»).
Conv. con mod. dalla L. 31 luglio 2005, n. 155 («Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale»).
Rimangono allora attratti nelle maglie della “giustificazione” i seguenti reati: a) partecipazione ad «Associazioni sovversive» (art. 270, co. 2, c.p.); b) direzione e organizzazione di «Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico» (art. 270-bis, co. 1, c.p.); c) partecipazione ad «Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico» (art. 270-bis, co. 2, c.p.); d) «Assistenza agli associati» rispetto alle associazioni indicate agli artt. 270 e 270-bis c.p. (art. 270-ter c.p.); e) «Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale» (art. 270-quater c.p.); f) «Organizzazione di trasferimento per finalità di terrorismo» (art. 270-quater.1 c.p.); g) «Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale» (art. 270-quinquies c.p.); h) «Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo» (art. 270-quinquies.1 c.p.); i) «Detenzione di materiale con finalità di terrorismo» (art. 270-quinquies.3 c.p.); l) istigazione a commettere alcuno dei delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato (art. 302 c.p.); m) partecipazione a «Banda armata» (art. 306, co. 2, c.p.); n) istigazione a commettere delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità o apologia degli stessi delitti (art. 414, co. 4, c.p.); o) partecipazione ad «Associazioni di tipo mafioso anche straniere» (art. 416-bis, co. 1, c.p.); p) «Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti» (art. 435 c.p.).
Per una ricostruzione della disciplina e talune considerazioni critiche espresse con riguardo alle innovazioni operate già dal Disegno di legge a detta norma di settore, sia consesso il rimando a A.F. Vigneri, La “speciale” causa di giustificazione per gli agenti dei Servizi di informazione. Note critiche a partire dal D.d.l. “Sicurezza”, in Giust. ins., 20 marzo 2025, consultabile su www.giustiziainsieme.it.
[34] Recante «Attuazione della direttiva (UE) 2019/1153 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che reca disposizioni per agevolare l’uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati, e che abroga la decisione 2000/642/GAI».
D.lgs. 1° agosto 2003, n. 259.
Avente competenze giuridiche, contabili ed economiche, purché non gravato da cause ostative previste dalla normativa antimafia. L’esperto è tenuto peraltro a operare con diligenza, imparzialità e riservatezza, ed è soggetto a regole di incompatibilità e conflitto di interessi. In caso di comportamenti scorretti, il Prefetto può revocare l’incarico e procedere alla cancellazione dall’albo. È previsto un compenso specifico per l’esperto, distinto dalle somme destinate alla vittima, da erogare annualmente sulla base della relazione presentata.
[37] Recante «Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà».
In materia di «Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti».
Modificando, in tal senso, apposite previsioni del D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 sulla «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183».
Recante «Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà».
La Presidente del Consiglio dei Ministri ha sottolineato che le norme oggetto di decretazione d’urgenza erano attese da tempo e che non potevano più essere rinviate, evidenziando l’urgenza di fornire risposte concrete ai cittadini e garantire adeguate tutele alle forze dell’ordine e all’intero comparto “sicurezza”.
Le parole riportate sono riprese da V. Manes, L’ossessione securitaria, cit., pp. 2 e 4, per il quale, magistralmente, «l’illusione terapeutico-punitiva si alimenta e al contempo si appaga delle componenti simboliche della pena». E ancora: «è facile quanto illusorio, in altri termini, agitare il vessillo delle pene e della coercizione punitiva, che dunque – dietro lo sfoggio muscolare di forza esibita a scopi placativi – altro non è se non una manifestazione di conclamata debolezza».
Il diritto penale “totale” viene invocato in ogni contesto come un intervento salvifico e, soprattutto, come un presunto rimedio – politicamente e mediaticamente vantaggioso – per una serie di mali sociali. Un simile ampliamento del sistema penale, tuttavia, comporta inevitabilmente il sacrificio dei principi fondamentali di garanzia, alimentato dal clima di populismo e giustizialismo che caratterizza l’attuale dibattito pubblico. Si vedano, in tema, le illuminanti considerazioni di F. Sgubbi, Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa. Venti tesi, Bologna, 2019, passim.
L’efficace espressione è di N. Mazzacuva, L’epoca della straripante ‘overcriminalization’: un possibile (immediato) rimedio, in Pen. dir. proc., 2023, p. 521. Sul fenomeno della “overcriminalization”, si vedano le ampie indagini di A. Cadoppi, Il “reato penale”. Teorie e strategie di riduzione della criminalizzazione, Napoli, 2022, p. 39 ss.
Dal quale affiora una legislazione «coerente con un diritto penale classicamente generalpreventivo che tende a trasfigurarsi nell’oggetto di un fluttuante diritto alla sicurezza di beni o interessi che vengono identificati come prioritari in un determinato momento storico». Evidenzia puntualmente questo aspetto L. Risicato, Diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti: un ossimoro invincibile?, Torino, 2019 p. 9 (corsivi originali). Sul citato trend securitario, inteso come causa di un’espansione del campo d’intervento penale secondo logiche sempre più repressive, si veda, già prima, D. Pulitanò, Sicurezza e diritto penale, in Riv. it. dir. pen., 2009, p. 555.
Il tema è oggetto di vasta indagine in C. Cupelli, Tentazioni e contraddizioni del sistema penale contemporaneo: creazionismo giudiziario, panpenalismo legislativo e caccia al colpevole, in Cass. pen., 2023, p. 693 ss.
Di cui parla opportunamente F. Forzati, Gli equilibrismi del nuovo 434 bis c.p. Fra reato che non c’è, reato che già c’è e pena che c’è sempre. Prove tecniche di reato senza offesa e di pena in assenza di reato, in Arch. pen., 2022, p. 32, a proposito dell’introduzione del reato di «Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica» avvenuta proprio nell’arco della presente legislatura.
Molto efficacemente, sul punto, F. Forzati, Il congedo dell’ultima ratio fra sistema sanzionatorio multilivello e penale totale: verso la pena come unica ratio?, in Arch. pen., 2020, p. 43.
Di «Parlamento ridotto a organo di ratifica della volontà del governo» parla Gian Luigi Gatta in L. Milella, Dl sicurezza, il penalista Gatta: “Inutile. E l’urgenza umilia le Camere”, 6 aprile 2025, consultabile su www.ilfattoquotidiano.it. Il carattere «eversivo» di questa manovra politica è poi segnalato dalla costituzionalista Alessandra Algostino in Id, “Sicurezza”: un decreto legge eversivo, 7 aprile 2025, consultabile su volerelaluna.it.
Sul massiccio ricorso allo strumento del decreto-legge nel corso dei primi due anni dell’attuale XIX legislatura, si vedano gli accurati dati di Openpolis, I primi due anni della XIX legislatura, 2 ottobre 2024, consultabile su www.openpolis.it, dai quali sembra emerge un vero e proprio monocameralismo di fatto, con conseguente subordinazione e annichilimento delle prerogative del Parlamento.
L’abuso di decretazione d’urgenza nella materia penale è “denunciato” da Unione delle Camere Penali, Peggio del “DDL sicurezza” c’è solo il Decreto sicurezza, 5 aprile 2025, consultabile su www.camerepenali.it.
Secondo il Decreto-legge, rientrano nei casi di ritenuta necessità e urgenza il potenziamento dell’attività di prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata, nonché la sicurezza urbana e i controlli di polizia. Rientrano, invece, nei casi di straordinaria necessità e urgenza l’introduzione di misure a tutela del comparto “sicurezza” e di disposizioni in materia di vittime dell’usura.
In Giur. cost., 2024, p. 1522 ss., con nota di A. Celotto, La Camicia di Nesso, Mortati e l’abuso del decreto-legge.
E al cui esame parlamentare sono state dedicate un centinaio di sedute tra Camera e Senato, con l’audizione di numerosi magistrati, professori ed esperti.
È la fondata preoccupazione di Associazione Italiana Professori di Diritto Penale, Sul “pacchetto sicurezza” varato con decreto-legge, 9 aprile 2025, consultabile su www.aipdp.it.
Sui numerosi profili di incostituzionalità del presente Decreto-legge si soffermano Unione delle Camere Penali, Peggio del “DDL sicurezza” c’è solo il Decreto sicurezza, cit. e Associazione Italiana Professori di Diritto Penale, Sul “pacchetto sicurezza” varato con decreto-legge, cit. Già prima, con riferimento alle norme del Disegno di legge, v. V. Manes, L’ossessione securitaria, cit., 4.
Almeno quattordici sono le nuove fattispecie incriminatrici e nove sono i reati per i quali risulta inasprita la pena.
Sul tema si veda anche: Sul Pacchetto sicurezza varato con decreto-legge, La “speciale” causa di giustificazione per gli agenti dei Servizi di informazione. Note critiche a partire dal D.d.l. “Sicurezza” di Antonio Fabio Vigneri, Il DDL Sicurezza e il carcere di Fabio Gianfilippi, Il diritto penale italiano verso una pericolosa svolta securitaria, È compito della Repubblica. Note sul DDL Sicurezza di Enrico Grosso.
Immagine: Paolo Uccello, La Battaglia di San Romano. Disarcionamento di Bernardino della Carda, tecnica mista su tavola, 1438, Galleria degli Uffizi, Firenze.
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