Il punto sui mercati e le prospettive in sintesi
Inflazione in calo, rallentano i servizi e aiuta il calo del prezzo del petrolio
Le politiche monetarie: per la BCE l’aspettativa è di 3 tagli, con un tasso sui depositi che scenderebbe in area 1,75%. Fed più prudente
Allocazione:
Bond governativi, atteggiamento costruttivo sui Bund tedeschi, sui Treasury USA posizionamento neutrale a questi livelli (attorno al 4,3%);
Credito, moderatamente costruttivi, privilegiando la qualità;
Azionario, riduciamo la previsione di crescita degli utili e le prospettive di ritorni positivi nel breve termine. Continuiamo a favorire alcuni temi strutturali, come la posizione sui gold miners (nuovi record dell’oro, sopra i 3100 dollari all’oncia) e la difesa europea (programmi pluriennali di investimenti pubblici).
I mercati finanziari: volatilità record, tutti gli attivi sotto pressione
L’indice VIX, che calcola la volatilità implicita del mercato azionario statunitense, ha superato ampiamente quota 50, un evento alquanto raro e avvenuto solo durante il Covid (picco in area 80) e durante la Grande Crisi Finanziaria del 2008/2009 (anche in quel caso, picco vicino quota 50). Per dare un altro riferimento, durante la correzione del 2022 e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, abbia raggiunto al massimo il livello di 36. È evidente che siamo di fronte ad un evento di portata eccezionale, sia per entità, sia per natura (derivante da una decisione squisitamente politica e non da problemi di natura finanziaria od economica).
Guardiamo ora i numeri dei mercati azionari. L’annuncio del 2 aprile è stato seguito da perdite cumulate del 10% nei due giorni successivi, con tutti i principali mercati colpiti. Le perdite da inizio anno per gli Stati Uniti (convertendo in euro e tenendo conto dell’impatto del cambio) hanno raggiunto il 20%, con perdite medie del 30% per le Magnifiche 7.
L’Europa ha visto sparire i precedenti guadagni del 10% accumulati fino a fine febbraio, e scendere in territorio negativo nell’ordine del 5-7% da inizio anno. Perdite del 13-15% rispettivamente per Paesi Emergenti e Giappone.
Anche il comparto obbligazionario ha subito un deciso aumento di volatilità. Partiamo dai tassi core: Il tasso Bund tedesco a 10 anni, fortemente salito in marzo sui piani di espansione fiscale in Germania, è sceso di 15-20 punti base sull’annuncio dei dazi, tornando temporaneamente sotto quota 2,50% (rispetto al picco del 2,9% di un mese fa), salvo poi stabilizzarsi in area 2,6%.
Ancora più caotica la dinamica per i Treasury americani, con il tasso decennale passato dal 4,4% della parte finale di marzo fino sotto il 3,9%, rimbalzando poi oltre il 4,5% mercoledì scorso e stabilizzandosi in area 4,3%.
Per quanto riguarda gli spread pubblici e privati, in genere abbiamo assistito ad un movimento di risk-off, con spread in allargamento, specie nei comparti più rischiosi. Lo spread tra BTP e Bund decennali è salito da 110 a 130 punti base, scendendo poi a 120. Non si tratta di un movimento particolarmente negativo, considerando la volatilità di mercato. Ciò probabilmente riflette il forte miglioramento dei conti pubblici degli ultimi due anni, con l’eliminazione del deficit primario accumulato sotto i governi Conte-Draghi. Movimenti simili anche per i bond francesi, con lo spread passato da 70 a 80 punti base, per poi scendere in area 75.
Più marcato l’allargamento degli spread nel comparto credito. Lo spread Investment Grade è salito di circa 40 punti base sia per le emissioni in euro (da 85 a 125 punti base) sia in quello in dollari (da 80 a 120). Più marcato l’aumento per il comparto High Yield, con +150 punti base in Eurozona (da 275 di inizio febbraio a 430) e 200 negli Stati Uniti (da 260 a 460).
In ultimo, va sottolineata la debolezza del dollaro: Nonostante la forte volatilità dei mercati e il calo degli attivi rischiosi, il dollaro non è riuscito ad esercitare il suo tradizionale ruolo di bene rifugio, continuando ad indebolirsi rispetto all’euro e passando quota 1,10, un chiaro indebolimento rispetto all’1,04 di inizio marzo (ci vogliono più dollari per comprare un euro). Questa debolezza, unita all’elevata volatilità del mercato Treasury, è sintomo di una crescente preoccupazione sul sistema USA e la sua capacità di gestire l’elevato e crescente debito pubblico, in un contesto di crescita che verrebbe colpito dai dazi.
L’annuncio della pausa di tre mesi nell’applicazione dei dazi è stato ovviamente accolto con favore, con l’indice S&P 500 in rialzo di oltre 9 punti percentuali (+9,51% per la precisione) nella giornata di mercoledì. Si tratta del terzo maggior progresso su base giornaliera negli ultimi 60 anni, un’altra conferma della volatilità eccezionale che stiamo sperimentando in questi giorni.
Timori per un rallentamento dell’economia
Il caos sui dazi si inserisce in un contesto di crescita che da inizio anno ha visto gli Stati Uniti mostrare dei segnali di rallentamento, mentre finora l’Eurozona si stava riprendendo, seppur da livelli molto bassi. I dazi, seppur applicati in misura ridotta per i prossimi tre mesi, rischiano di impattare negativamente le aspettative di famiglie e imprese, con le prime che potrebbero aumentare i risparmi precauzionali e ridurre i consumi in vista di una perdita del potere di acquisto (inflazione più alta a causa delle tariffe), mentre le seconde potrebbero ritardare le decisioni di investimento. Inoltre, le recenti perdite sui mercati finanziari potrebbero risultare un effetto ricchezza negativo. D’altro canto, il deciso calo dei prezzi del petrolio (sceso fino a 60 dollari al barile, il livello più basso da aprile 2021) può costituire un forte elemento di supporto per il reddito reale delle famiglie, e ridurre i rischi al ribasso sui consumi.
Al momento le stime degli analisti non sono ancora aggiornate per l’impatto dei dazi. La crescita media reale americana dovrebbe assestarsi al +1,9% sia per il 2025 (-3 decimi rispetto l’ultimo aggiornamento) sia per il 2026 (-1 decimo). Poco mosse le stime in Eurozona, con una crescita dello 0,9% nel 2025 e dell’1,2% nel 2026.
Guardando agli Stati Uniti più nel dettaglio, gli ultimi dati mostrano un peggioramento della fiducia delle imprese, con l’indice ISM Manufacturing in calo da 50,3 a 49,0 e quello per i Servizi da 53,5 a 50,8. Si tratta di numeri compatibili con uno stallo della crescita, mentre non è sicuramente ancora prezzata un’eventuale recessione. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, per contro, gli ultimi dati sono stati generalmente positivi, con 228mila nuovi posti creati a marzo (ben sopra le attese di 140mila). Tuttavia, va detto che la disoccupazione è risalita dal 4,1% al 4,2% e le posizioni lavorative aperte sono in calo.
Guardando all’Europa, l’indice PMI Manufacturing è migliorato, passando da 47,6 a 48,6, mentre quello dei Servizi è salito da 50,6 a 51,0. La disoccupazione ha toccato un nuovo minimo storico al 6,1% e le vendite al dettaglio crescono sopra al 2% annuo. Il quadro generale pre-dazi non è, quindi, particolarmente negativo. Così come per gli Stati Uniti, però, sarà importante monitorare i nuovi dati per avere maggiore chiarezza sull’andamento dell’economia.
Inflazione in calo, rallentano i servizi e aiuta il calo del prezzo del petrolio
Passiamo ora ai numeri di inflazione. Su questo fronte, per ora le notizie rimangono positive, con numeri in rallentamento, sia per la parte complessiva sia per la parte core e dei servizi in particolare. Aiuta anche il calo del prezzo del petrolio, che dovrebbe continuare ad essere un elemento disinflazionistico anche per il prossimo mese, grazie ai cali post dazi.
Negli Stati Uniti, i dati pubblicati nella giornata di ieri mostrano un ulteriore calo dell’inflazione complessiva, scesa dal +2,8% all’attuale +2,4%. In deciso calo anche l’inflazione core, ora al +2,8% dal precedente +3,1%. Si tratta del numero più basso da marzo 2021. L’inflazione dei servizi non volatili risulta poco mossa, scendendo a +3,9%, un numero comunque storicamente elevato.
Nell’Eurozona, le stime preliminari per il mese di marzo mostrano un calo dell’inflazione complessiva dal 2,4% di febbraio all’attuale +2,2%, mentre l’inflazione core scende al +2,4% (dal precedente +2,6%). In calo in particolare l’inflazione dei servizi, scesa al +3,4% dal precedente +3,7%. Questo numero potrebbe però essere influenzato dalla stagionalità della Pasqua: il ritardo di quest’anno (Pasqua in aprile vs Pasqua a fine marzo nel 2024) potrebbe aver posticipato il classico rialzo dei prezzi attorno a questa festività.
Nonostante i recenti cali dell’inflazione, gli analisti hanno effettuato ulteriori rialzi nelle stime per gli Stati Uniti a causa dei timori sui dazi e il loro impatto inflazionistico. L’inflazione media annua dovrebbe ora assestarsi al +3,0% nel 2025 (dal precedente +2,9%) e +2,7% nel 2026 (dal precedente +2,6%). Invariate, invece, le stime per l’Eurozona, rispettivamente al +2,2% nel 2025 e +1,9% nel 2026.
Guardando in avanti, le dinamiche sottostanti per l’inflazione dei servizi non sembrano essersi modificate in maniera rilevante. L’inflazione dei servizi rimane storicamente elevata e rimane necessario un ben più marcato deterioramento del mercato del lavoro per vedere numeri in discesa verso le medie storiche. Si accentuano poi i timori dell’impatto dei dazi, che in un orizzonte di 6-12 mesi sarebbero probabilmente inflazionistici per la parte di beni. Aiuta però il calo del petrolio, che già adesso ha giocato un ruolo chiave nel recente calo dei numeri di inflazione complessiva, sia negli Stati Uniti, sia nell’Eurozona.
Le politiche monetarie: i mercati vedono nuovi tagli, Fed più prudente
Veniamo ora alle politiche monetarie. Le recenti turbolenze di mercato si sono tradotte in aspettative di tagli più aggressivi sia per la Fed sia per la BCE nel corso del 2025. Prevale, infatti, la preoccupazione sulla crescita, pur consapevoli dei rischi ancora presenti e potenzialmente aggiuntivi (dazi) sul lato inflazione.
Guardando alle aspettative di mercato, la Fed dovrebbe tagliare i tassi 3,5 volte da qui a fine anno, un taglio scontato in più rispetto ad un mese fa. Per quanto riguarda la BCE, l’aspettativa attualmente è di 3 tagli, con un tasso sui depositi che scenderebbe in area 1,75% dall’attuale 2,50%. Anche in questo caso si parla di (almeno) un taglio scontato in più rispetto alle aspettative di un mese fa.
Sebbene queste aspettative siano piuttosto aggressive, è bene anche capire quella che è la comunicazione delle banche centrali stesse sulle prossime mosse. E qui appare evidente la prudenza della Fed, che resiste alle pressioni del Presidente Trump per avere tagli immediati. La Fed, nel meeting di marzo, ha infatti rivisto al rialzo le stime di inflazione e peggiorato le prospettive di crescita, indicando la non urgenza nel modificare l’attuale livello di tassi per il momento. Una decisione importante che però è stata presa è quella sul Quantitative Tightening, con un ulteriore taglio (tapering) nel ritmo di riduzione dei Treasury (da 25 a 5 miliardi al mese). Continua invece la riduzione di 35 miliardi al mese per le Mortgage Backed Securities.
La BCE appare più aperta rispetto alla Fed nel proseguire il ciclo di tagli e le recenti turbolenze sui dazi hanno fatto aumentare la probabilità un ulteriore taglio di 25 punti base già ad aprile. La BCE sembra più fiduciosa nella traiettoria di discesa dell’inflazione, anche se va detto che l’annuncio di politiche fiscali espansive in Germania potrebbe avere un impatto sul tasso termine di questo ciclo di accomodamento della politica monetaria.
I mercati finanziari e le prospettive
La rapidità e l’impatto degli annunci da parte del Presidente Trump rendono sconsigliabile l’avere posizioni attive troppo importanti sui portafogli.
Sul mondo dei tassi, il Bund rappresenta probabilmente il bene rifugio più solido, grazie all’ottima posizione delle finanze pubbliche tedesche. Inoltre, offrendo un tasso reale positivo di circa lo 0,8%, sostanzialmente in linea con la crescita potenziale reale tedesca, possiamo dire che remunera in maniera appropriata il capitale. I Bund rappresentano quindi un buon investimento, sia come remunerazione (dato il rischio ridotto) sia come strumento di diversificazione e protezione del portafoglio.
Discorso più complicato per i titoli del Tesoro USA. Le preoccupazioni sulla tenuta dei conti pubblici, con un rapporto debito/PIL su una traiettoria non sostenibile, e sull’imprevedibilità delle politiche dell’Amministrazione Trump stanno riducendo l’appeal dei titoli governativi statunitensi. Se da un punto di vista prettamente numerico, gli attuali tassi nominale (4,3%) ed in particolare quello reale (attorno al 2%, allineato alla crescita potenziale) sembrano coerenti con una remunerazione compatibile con ritorni complessivi positivi nell’arco di 12 mesi, non possiamo trascurare la volatilità accresciuta di questa classe di attivi. Un atteggiamento neutrale appare quindi appropriato.
Guardando al mondo degli spread pubblici e privati, i BTP rimangono supportati da una politica fiscale prudente, ed episodi di volatilità possono rappresentare occasioni di investimento. Per quanto concerne il credito, abbiamo ora livelli di spread sicuramente più attraenti rispetto a quelli che avevamo appena un mese fa (che erano prossimi ai minimi storici). Ciò permette di avere un atteggiamento costruttivo ma tenendo sotto controllo la qualità degli emittenti e il rischio duration, privilegiando quindi emissioni con scadenze medio-brevi.
Per quanto riguarda il mondo azionario, riteniamo molto importante tenere conto delle divergenze di politiche fiscali e potenziali differenti cicli tra aree diverse ; ossia la diversificazione regionale è necessaria a causa della maggiore divergenza dei cicli.
Quindi se da un lato abbiamo valutazioni più favorevoli e gli attuali livelli elevati di volatilità solitamente sono coerenti con ritorni positivi nei successivi 12 mesi, sappiamo ancora poco sull’impatto negativo sulle stime degli utili derivanti dall’incertezza causata dai dazi.
Riassumendo, il nostro posizionamento per le varie classi di attivi è il seguente:
Manteniamo un atteggiamento costruttivo sui Bund tedeschi, con il range 2,7%-2,8% come area di accumulo/aumento dell’esposizione. Come abbiamo visto nei giorni scorsi, tensioni sui mercati possono spingere i Bund decennali verso area 2,4%-2,5%. Rimaniamo moderatamente costruttivi anche sui BTP, pur consapevoli della maggiore volatilità in questo ambiente di mercato.
Sui Treasury USA il nostro posizionamento è neutrale a questi livelli (attorno al 4,3%). Movimenti sotto il 4% sono tendenzialmente da utilizzare per ridurre tatticamente l’esposizione, mentre eventuali aumenti dei tassi vanno valutati con attenzione per stabilire l’effettiva attrattività di un acquisto.
Nel comparto del credito, rimaniamo moderatamente costruttivi, considerando anche gli spread decisamente più elevati dopo la correzione degli ultimi giorni. Privilegiamo però la qualità, con un’attenta azione di selezione, anche per evitare i titoli maggiormente esposti ai rischi dazi, e preferiamo titoli con una duration medio-bassa, preferendo i titoli governativi europei (Bund o BTP) per esposizioni duration più lunghe. Il mercato High Yield è ovviamente più esposto ad ulteriori ribassi in caso di peggioramento delle prospettive di crescita e/o notizie negative sul lato dazi, ma può rappresentare un’opportunità per gli investitori che volessero puntare ad una stabilizzazione, considerando i suoi rendimenti molto elevati e la duration contenuta.
Sul comparto azionario, riduciamo il livello di confidenza sulla crescita degli utili e sulle prospettive di ritorni positivi nel breve termine, dato questo ambiente di estrema incertezza. Al tempo stesso, consideriamo poco appropriato ridurre adesso in maniera significativa l’allocazione, considerata la possibilità di movimenti rialzisti molto rapidi (come avvenuto tra mercoledì sera in USA e giovedì in Europa e Asia) in concomitanza di annunci distensivi sul lato dazi.
Di conseguenza, adottiamo un atteggiamento neutrale , con le incertezze sull’outlook di crescita e le decisioni future sui dazi che compensano le valutazioni più attraenti , ma focalizzati sulla più ampia diversificazione geografica: esempio i mercati Emergenti dove si possono trovare delle ottime opportunità grazie ad un dollaro più debole e dove l’asset class emergente non ha più sottoperformato gli altri mercati azionari .
Continuiamo a favorire alcuni temi strutturali, come la posizione sui gold miners (nuovi record dell’oro, sopra i 3100 dollari all’oncia) e la difesa europea (programmi pluriennali di investimenti pubblici).
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