paralisi UE e Meloni minimizza


Di Daniele Trabucco Belluno, 8 aprile 2025 -L’entrata in vigore dei dazi imposti dal Presidente degli Stati Uniti d’America,  Donald Trump, ha colto l’Italia e l’Unione Europea in un imbarazzante stato di paralisi.

Di fronte a una misura annunciata che colpisce direttamente l’economia europea, e in particolare alcuni settori strategici del Made in Italy, come l’agroalimentare, il tessile e la meccanica, la risposta del Governo italiano guidato da Giorgia Meloni è apparsa timida, tardiva e priva di visione. Allo stesso modo, le istituzioni europee sembrano intrappolate in una routine burocratica che impedisce qualsiasi azione incisiva, confermando una volta di più la fragilità politica del progetto europeo quando si tratta di difendere gli interessi dei suoi cittadini. In un momento in cui la fermezza e la capacità di risposta dovrebbero guidare le decisioni politiche, la linea seguita da Palazzo Chigi è quella della passività diplomatica.

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Non si rilevano né iniziative significative sul piano bilaterale con Washington né proposte concrete in sede europea per fronteggiare il colpo. L’impressione diffusa è che si sia preferito attendere che le tensioni si smorzino da sole, senza disturbare gli equilibri atlantici. Ma questa attesa, mascherata da prudenza strategica, si traduce in un danno reale e immediato per le imprese italiane che esportano negli Stati Uniti, costrette ora a pagare il prezzo di una guerra commerciale che non hanno causato.

A peggiorare il quadro, sono arrivate anche le dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, secondo cui “i dazi non sono una catastrofe”, come se si trattasse di una questione marginale o transitoria. Un’affermazione sorprendente per leggerezza e per mancanza di consapevolezza del tessuto economico italiano, composto in larga parte da piccole e medie imprese fortemente esposte all’export. Minimizzare il problema equivale a voltare le spalle a centinaia di migliaia di lavoratori e imprenditori che da queste esportazioni dipendono ogni giorno.

Non meno contraddittoria è la posizione del Governo Meloni sul Patto di stabilità europeo. Dopo aver dato il via libera, lo scorso dicembre 2023, alla revisione del Patto che introduce vincoli più rigidi in materia di spesa e deficit, il Presidente del Consiglio dei Ministri oggi invoca una nuova revisione, sostenendo che serva più flessibilità per affrontare le nuove emergenze. Ma se davvero il Patto così com’è ostacola la crescita e la risposta alle crisi, perché approvarlo? Questa ambiguità dimostra ancora una volta l’assenza di una linea coerente e solida nella politica economica del Governo italiano, sempre in bilico tra adesione ai meccanismi europei e retorica sovranista da campagna elettorale.

Le contromisure che l’Italia e l’Unione Europea potrebbero adottare, senza scivolare nella logica del dazio contro dazio, esistono. Una prima strada è quella della diplomazia economica attiva: avviare immediatamente un confronto diretto ad alto livello con l’amministrazione statunitense, coinvolgendo anche i grandi gruppi industriali americani che operano in Europa e hanno tutto l’interesse a evitare un’escalation. Parallelamente, è necessario rafforzare i legami commerciali con altre aree del mondo, puntando sull’Africa, sull’Asia e sull’America Latina, per ridurre la dipendenza dal mercato statunitense e aumentare la capacità contrattuale dell’UE. Infine, servirebbe un grande piano europeo di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, capace di accompagnarle nell’apertura a nuovi mercati con investimenti mirati, agevolazioni fiscali e strumenti finanziari innovativi. Ma tutto questo richiede una volontà politica che, per ora, non si vede. E questo, più dei dazi, è il vero problema.

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(*) Autore

Daniele Trabucco

Professore strutturato in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario “san Domenico” di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.

Sito web personale www.danieletrabucco.it

 





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