La task force di Meloni a caccia di soldi per le imprese


La task force della premier, formata da lei, dai suoi due vice e dai quattro ministri direttamente interessati dalla crisi, si riunisce nel pomeriggio a palazzo Chigi ma con pochissimo spazio di manovra. La gestione spetta alla commissione europea, la principale urgenza del governo è quindi trovare una strada per sostenere i settori più colpiti, argomento che sarà al centro oggi anche dell’incontro della medesima task force con le categorie produttive. Solo che anche qui i margini sono stretti, il governo è costretto a uno slalom tra le condizioni poste dal Patto di stabilità e dalla procedura di infrazione da un lato e il divieto europeo per gli aiuti di Stato dall’altro. La sola via sembra essere il ricorso ai 6,3 miliardi del Piano industriale 5.0, parte del Pnrr.

Muovendosi con cautela per evitare gli aiuti di Stato se ne potrebbero stornare circa 5 miliardi. La premier insiste sulla necessità di impuntarsi in Europa per ottenere una revisione drastica delle regole «ideologiche e poco condivisibili» del Green Deal.

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Dopo il vertice Meloni e i due vice si appartano e l’orizzonte si allarga di molto. Si tratta di mettere a punto una strategia complessiva e la giornata ha dimostrato che le possibilità di manovra sono meno che esigue. Tajani ci prova. Chiede un rinvio di 15 giorni per l’inizio della controffensiva, i primi dazi europei che scatteranno il 15 aprile in risposta a quelli su acciaio e alluminio. Sofcovic, il commissario slovacco al Commercio che gestisce le trattative, respinge ma con garbo, accampando norme e regole ferree più che una scelta politica quale invece è. Il ministro degli Esteri si accontenta, anche perché lo slovacco apre uno spiraglio largo alla principale richiesta italiana (e francese): «Cancellate dalla lista dei prodotti sui quali infierire il bourbon o quelli ci massacrano col vino». Il ministro italiano la prende bene: «Avevo chiesto il rinvio per dare più tempo per il dialogo ma il messaggio politico è stato comunque recepito: tutti sono favorevoli al dialogo per evitare una guerra commerciale».

Sulle prime due tranche di dazi l’Italia dunque non pone problemi. La faccenda potrebbe essere diversa quando si arriverà a dover decidere sulla risposta al grosso dei dazi, quelli annunciati il 2 aprile. Francia e Germania insistono per la linea più dura, non solo colpendo Big Tech con tasse e normative ma anche attivando lo «strumento anticoercizione economica», una specie di arma-fine-di-mondo mai usata. Il governo italiano almeno per ora è molto più prudente.

L’Italia, sempre per bocca di Tajani chiarisce ancora una volta, e con formula inappellabile, che comunque la gestione della trattativa sarà tutta e solo in capo alla Commissione, cioè a Sefcovic.

I governi però potranno prodigarsi, ciascuno per suo conto, al fine di agevolare il compito: «Ho detto che l’Italia, a partire dalla premier farà di tutto, anche facendo valere le buone relazioni con l’amministrazione Usa, perché la Commissione sia messa nella miglior condizione per trattare». Non sono dichiarazioni astratte. Tutti, in fondo, sperano davvero che la premier italiana qualche risultato riesca a portarlo a casa. Certo, la sua missione a Washington che rimpie le pagine dei giornali con tanto di data cerchiata in rosso, 16 o 17 aprile, ufficialmente non la conferma nessuno e il solito Tajani è anzi anche più vago del solito: «Probabilmente l’incontro ci sarà. Nelle prossime settimane». In realtà è probabile che il viaggio ci sia davvero ma al momento le chances di successo sembrano davvero poche. L’obiettivo sarebbe impostare un rovesciamento totale del quadro: dai dazi all’azzeramento dei dazi, proposta già avanzata invano dall’Europa ma Sefcovic assicura di non averla affatto abbandonata.

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Nonostante le assicurazioni sulla piena delega alla Commissione, un documento degli Esteri parla dell’acquisto di armi e gas liquido americano, di fatto in cambio del ritiro dei dazi. Alla Farnesina minimizzano: una contropartita agli Usa dovrà esserci comunque, l’acquisto di armi americane è effettivamente nell’ordine delle cose, sul gas liquido invece sarebbero gli americani a insistere ma all’Italia non conviene. Ma questa è storia di domani. Al momento anche solo avviare una trattativa sarebbe un successo.



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