Formazione, FederTerziario. Per 8 PMI su 10 è una priorità, ma il Sud è ancora in ritardo


L’organismo datoriale evidenzia i punti critici del sistema formativo nazionale emersi da uno studio del Politecnico di Milano a cui ha contributo e dalle rilevazioni Istat

Per l’80% delle pmi la formazione è una priorità, anche se solo per il 51%
rientra nella strategia aziendale. Sono alcuni dei dati emersi dalla ricerca “Lo stato
dell’arte della formazione finanziata nelle PMI: analisi e proposte” realizzata
dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI, promosso dalla School of
Management del Politecnico di Milano, con il sostegno e la partecipazione, tra gli
altri, di Federterziario. Numeri che l’organismo datoriale ha approfondito, con dati
Istat pubblicati nel 2024, per evidenziare alcuni punti critici del sistema formativo
nazionale, a partire dalla disparità tra le aree geografiche del Paese: in termini di
partecipazione ad attività formative, formali e non formali, ci sono oltre 11 punti
percentuali che separano il Nord-est dal Sud (39,7% e 28,3% rispettivamente).
Sappiamo quanto la formazione continua – spiega Alessandro Franco, segretario
generale FederTerziario – sia determinante nell’accrescere la competitività delle
aziende in un mercato sempre più animato dalla globalità, dall’nnovazione e dalla
necessità di sapersi adeguare a cambiamenti continui e sempre più frenetici, come
quelli derivanti dall’introduzione di nuove tecnologie e dall’automazione, che
possono rendere rapidamente obsolete alcune competenze. Per questo siamo
soprattutto convinti che investire in formazione sia indispensabile per sviluppare le
competenze rispondenti alle reali esigenze presenti e future, sia dei settori
tradizionali che di quelli innovativi. È un fattore noto anche a molte imprese che
considerano la formazione effettivamente una priorità: secondo i dati emersi dalla
ricerca infatti il 51% ritiene la formazione una priorità e fa già parte della loro
strategia aziendale, cui si aggiunge il 31% che la ritiene una priorità pur non
facendola rientrare in un’attività programmatica vera e propria dell’impresa. Però i
dati regionali ci ricordano quanto sia indispensabile continuare a promuoverne la
diffusione, attraverso campagne informative, incentivi e opzioni di finanziamento che
contribuiscano a rendere più equilibrata la distribuzione sul territorio nazionale".
Un impegno che l’organismo datoriale si è intestato tramite un’intensa attività di
promozione e sensibilizzazione territoriale: i dati diffusi a febbraio da FondItalia – il Fondo Interprofessionale promosso FederTerziario e Ugl – hanno evidenziato numeri in controtendenza rispetto ai dati nazionali. Infatti, in relazione all’Avviso
Femi 2025.01, sono stati registrati 120 progetti per un valore complessivo di oltre 2
milioni di euro che, pur vedendo primeggiare la Lombardia, fanno emergere anche le
buone performance di Sardegna e Puglia. Un impegno da sviluppare ancora più
intensamente visto che il 54% delle pmi, secondo lo studio del Politecnico, finanzia
le attività di formazione con risorse interne ed esterne, il 32% con risorse interne, e
solo il 10% con risorse esterne come i fondi interprofessionali.
Un altro capitolo al centro dell’azione dell’organismo datoriale riguarda il rapporto
generale tra sistema dell’istruzione e della formazione e mercato del lavoro che
subisce, peraltro, anche il fenomeno della crisi demografica. Secondo lo studio del
Politecnico, il 56% delle pmi intervistate non ha attivato alcun programma di
reclutamento, solo il 24% l’ha fatto con la scuola secondaria di secondo grado, il 22%
con l’università, il 21% con gli istituti tecnologici superiori.

Per le micro, piccole e medie imprese italiane – realtà che contribuiscono all’85% del pil nazionale – è una ulteriore sfida che secondo FederTerziario si affronta con la  transizione delle competenze, un processo che deve includere l0istruzione, la formazione e il lavoro
puntando su processi continui che tengano conto dei percorsi innovativi.
Bisogna valorizzare il sistema dell’istruzione e della formazione nell’ottica del
mercato del lavoro – conclude Franco – perché l’Italia resta tra i primi posti a livello
europeo per numero di neet, soprattutto a causa della quota presente nelle regioni
meridionali, cui deve aggiungersi il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro
per mancanza delle competenze richieste che, solo nel 2023, è costato all’Italia 44
miliardi di euro, pari al 2,5% del PIL nazionale. Bisogna investire, pertanto, non solo
per la riqualificazione del personale ancora impiegato, ma anche per formare quelle
figure professionali in uscita dal sistema scolastico che possono poi trovare adeguata
corrispondenza nel mercato del lavoro, attraverso percorsi d’istruzione e formazione
più ibridi, flessibili e personalizzati, capaci di sfruttare anche tecnologie innovative
come il microlearning e le certificazioni agili”.

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