contributi e sgravi con scadenze ravvicinate


Doppia scadenza per le imprese coinvolte nell’azione di miglioramento legata alla parità di genere: il 18 aprile è il termine ultimo per le domande per la concessione dei contributi connessi alla certificazione 2025, mentre il 30 aprile è la scadenza per le domande di esonero contributivo per i datori di lavoro privati in possesso di una “Certificazione della parità di genere” conforme alla UNI PdR/125:2022 al 31 dicembre 2024.

Le domande andranno rivolte a soggetti diversi: l’INPS è titolato per lo sgravio contributivo, mentre Unioncamere gestirà i fondi per la certificazione vera e propria.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Nello specifico, lo sgravio sarà concesso nella misura massima dell’1 per cento del versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro indicati nella domanda, fermo restando il limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna impresa; essendo misure con una dotazione finanziaria, qualora le richieste superassero le disponibilità, saranno ridotte proporzionalmente e non vi sarà un ordine cronologico.

Diversa la “struttura” del contributo per la Certificazione, che è composto da due voci: il contributo per l’implementazione e la consulenza (massimo 2.500 euro) e il contributo per il costo della certificazione (il costo dell’ente certificatore) nella misura di 12.500 euro. In questo secondo caso il contributo segue l’ordine cronologico di presentazione della domanda fino ad esaurimento fondi.

La domanda relativa al contributo per la certificazione è, singolarmente, accompagnata da un “test d’ingresso” per verificare se l’impresa ha i requisiti minimi per partecipare: anche se risulta un po’ anomalo un test di autovalutazione quando lo scopo è quello di stimolare le imprese a implementare la parità di genere, non certo quello di sostenere i soggetti già virtuosi.

Ad ogni modo, si rileva come l’obiettivo dell’Esecutivo, sia attuale che quello precedente, sia quello di introdurre politiche per l’empowerment femminile attraverso incentivi concreti e benefici indiretti per le imprese che si impegnano nel portare avanti una policy relativa alla parità di genere.

Contabilità

Buste paga

 

In particolare, grazie alla Certificazione di parità di genere si possono ottenere: sgravio contributivo, di cui alla prossima scadenza del 30 aprile; punteggio premiale ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti; punteggio premiale negli appalti pubblici; diminuzione della garanzia del 20 per cento, sempre negli appalti pubblici.

Insomma, la parità conviene alle imprese, ma risultano ben poche quelle certificate: il “contatore” presente nella home page del sito del Ministero per le Pari opportunità non conta nemmeno 7.000 imprese certificate in due anni di applicazione. Come mai così poche, a fronte di significativi vantaggi? C’è qualche area critica nella griglia di valutazione della certificazione che frena le aziende?

I KPI indicati nel documento di prassi UNI/PdR 125:2022 sono legati a 6 aree di valutazione: cultura e strategia; governance; processi human resources; opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda; equità remunerativa per genere; tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

Ogni area ha un peso in termini percentuali e per ottenere la certificazione è necessaria la sufficienza, ovvero il 60 per cento. L’unica area con KPI quantitativi è relativa alla remunerazione e pesa per il 20 per cento: probabilmente questo è uno dei punti più difficili da rispettare.

Il gender pay gap è uno degli elementi più difficili da camuffare all’interno di una griglia di valutazione: a parità di ruolo e livello deve corrispondere parità di retribuzione; i numeri non sono narrativi. Ben diverse sono le altre aree, dove le variabili sono qualitative e sono sottoposte a valutazioni i cui parametri possono essere oggetto di interpretazione.

A ciò si aggiunga la necessità di manutenere la certificazione con cadenza annuale: gli stipendi sono quelli su cui è più facile controllare se i risultati sono stati effettivamente raggiunti.

In conclusione, nonostante la natura premiale della norma, la possibilità di ottenere contribuzioni sui costi di certificazione, gli sforzi interni alle aziende e la difficoltà a superare il gender pay gap, non stanno facendo decollare la misura, nemmeno tra le aziende femminili che oggi sono oltre 1,3 milioni, ovvero il 22 per cento circa del totale.

7.000 imprese certificate a fronte di poco meno di 6 milioni di imprese in Italia, di cui circa 2 milioni costituite in forma societaria, sono numeri che devono far riflettere su quanta strada debba fare ancora la cultura d’impresa nella direzione della parità di genere.

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