Il conto per le imprese venete da tasse ambientali e polizze catastrofali è presto fatto: 2 miliardi e mezzo l’anno. Già, perché «anche se il governo è riuscito a mettere una “toppa” all’ultimo momento, dall’inizio del prossimo anno anche tutte le imprese venete dovranno aver stipulato la polizza catastrofale contro i danni provocati da alluvioni, inondazioni, esondazioni, terremoti, frane, etc.», stima l’Ufficio studi della Cgia, sottolineando che queste realtà pagano allo Stato centrale e alle sue articolazioni periferiche 2,5 miliardi di euro di imposte ambientali. Ogni anno.
La destinazione dei fondi raccolti
«Ancorchè la destinazione d’uso di queste risorse non sia vincolata, una parte di questi soldi potrebbe essere utilizzata per la pulizia dell’alveo dei fiumi, per la manutenzione degli argini e delle rive, per la realizzazione dei bacini di laminazione e/o le casse di espansione – sostiene la Cgia -. Interventi che dovrebbero prevenire/mitigare molti eventi calamitosi che non siamo in grado evitare. Va comunque detto che in Veneto la situazione è molto diversa rispetto al resto d’Italia. Dopo la grande alluvione del 2010, la Regione, i consorzi di bonifica e gli enti locali hanno investito tantissimo nella messa in sicurezza del nostro territorio, riducendo di molto i rischi di nuovi disastri ambientali. Cosa che, invece, non è avvenuta, ad esempio, in Toscana e in Emilia Romagna».
«Tuttavia – al netto della confusione e dell’incertezze introdotte dal regolamento attuativo pubblicato in Gazzetta Ufficiale verso la fine di febbraio – tra qualche mese le imprese si troveranno a pagare due volte la protezione ambientale – dice la Cgia -: una con le imposte allo Stato centrale e agli enti locali, e un’altra sottoscrivendo una polizza con le compagnie assicurative private».
«Una delle motivazioni che sta a monte dell’introduzione di questa misura è legata ai ritardi biblici dei rimborsi statali – dice ancora la Cgia -. È vero: spesso questi ultimi vengono erogati quando le attività colpite hanno già chiuso definitivamente perché piegate dai danni subiti. Con l’intervento delle assicurazioni, invece, gli aiuti dovrebbero arrivare nel giro di poche settimane, permettendo così alle aziende danneggiate di riprendere rapidamente le loro operazioni. Questa tesi è sicuramente condivisibile ma dovrebbe essere accompagnata da una corrispondente riduzione delle tasse ambientali; altrimenti le aziende saranno costrette a sostenere un doppio onere. Temiamo, invece, che le imposte ambientali siano destinate ad aumentare, specialmente quelle degli enti locali che negli ultimi 2/3 anni hanno sono tornate a crescere per mantenere i bilanci in equilibrio».
«Infine, è necessario riflettere su un altro aspetto – punta l’accento la Cgia -. Negli ultimi 25 anni abbiamo assistito a un progressivo ripiegamento dello Stato dal settore sociale (previdenza, sicurezza, sanità, etc.) e ora anche da quello della protezione ambientale, lasciando così sempre più spazio ai privati. Se, a nostro avviso, questa scelta politica appare molto discutibile, è comunque legittima. Tuttavia, se la direzione intrapresa è questa, non possiamo far gravare sulle famiglie e sulle imprese il costo due volte. Se i privati stanno acquisendo sempre più quote di “mercato”, le tasse che paghiamo per garantire questi servizi devono essere ridotte; cosa che, purtroppo, fino ad ora non si è verificata».
Cgia: «Siamo tra i più tartassati nella Ue»
«Se al carico fiscale in capo alle aziende aggiungiamo anche quello delle famiglie, in Italia il gettito complessivo nel 2023 è stato pari a 54,2 miliardi di euro – snocciola i dati la Cgia -. Tra i 27 Paesi dell’Ue solo la Germania ha registrato un importo complessivo maggiore del nostro e pari a 71,4 miliardi di euro. Se invece, rapportiamo il gettito delle imposte ambientali sul Pil, la nostra situazione migliora. Scivoliamo all’ottavo posto con il 2,6 per cento, anche se il dato risulta essere nettamente superiore a quello dei principali paesi europei. La Francia, infatti, registra l’1,8 per cento, la Germania l’1,7 e la Spagna l’1,6. La media UE, invece, era del 2 per cento».
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