luci e ombre della professione


  • La creator economy in Italia è particolarmente in espansione, dato che sempre più spesso influencer, ma anche micro-influencer, costruiscono una vera e propria carriera professionale utilizzando i social media.
  • Intorno alla gestione fiscale dei guadagni derivati da questo tipo di business ci sono ancora molte zone grigie, come la mancata dichiarazione dei ricavi da parte dei professionisti, ma recentemente i controlli da parte del fisco sono aumentati.
  • In Italia ci sono 82 creator ogni 100.000 abitanti, un dato che posiziona il paese al terzo posto in Europa.

L’Italia è caratterizzata da una forte presenza di influencer e content creator, che utilizzano i social network per sviluppare una vera e propria professione, guadagnando da pubblicità, sponsorizzazioni con aziende e non solo. Si parla in questo senso di creator economy, in riferimento all’intero settore.

Molto spesso questa tipologia di lavoro, diffusa negli ultimi anni, presenta zone grigie fiscali, per cui non è raro che le autorità intervengano a contrasto di frodi, atti illeciti o evasione fiscale in questo contesto.

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Trattandosi di veri e propri professionisti, anche i content creator, per lavorare in autonomia, sono tenuti ad aprire una partita IVA, versare tasse allo Stato e pagare i contributi ad un ente previdenziale, ma non sempre ciò accade. Inoltre, anche la gestione trasparente della pubblicità è sempre più importante. Nel 2024 sono state introdotte diverse norme per regolamentare maggiormente questo ambito, ecco cosa stabilisce la legge.

Creator economy: Italia sul podio

Nella creator economy rientrano tutti coloro che creano contenuti per il web, a partire da video, foto, testi, caroselli, coinvolgendo gli utenti e allargando sempre di più la propria community. I professionisti che si muovono in questo ambito hanno una profonda conoscenza delle principali piattaforme social, come Instagram, YouTube, TikTok e così via.

Come aveva indicato il Rapporto I-Com 2024 per per AICDC, l’Italia è al terzo posto in Europa per numero di content creator sul territorio (circa 82 per ogni 100.000 abitanti). Questo dato mostra come nel paese questo tipo di business sia sempre più attrattivo, con ricavi complessivi stimati di 4,06 miliardi di euro nel 2024.

Oggi le piattaforme più remunerative sono Instagram (con ricavi totali per 3,3 miliardi di euro) TikTok (447 milioni di euro) e YouTube (con 280 milioni di euro). La creator economy è quindi fonte di occupazione, con 33.272 lavoratori occupati indirettamente in questo ambito.

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Per quanto riguarda invece il mercato globale della creator economy, il giro d’affari nel 2023 era di 498,60 miliardi di euro. Un trend dell’ultimo periodo è quello dell’aumento esponenziale di micro-influencer, ovvero persone che non raggiungono i numeri degli influencer più noti, ma comunque ottengono una qualche forma di ricavo dall’utilizzo dei social per coinvolgere il pubblico.

I settori sono i più disparati: dai video relativi al make up a quelli scientifici, dall’intrattenimento puro all’informazione, senza contare che molte aziende private e professionisti sfruttano le potenzialità del social media marketing per farsi conoscere e raggiungere una grossa fetta di potenziali clienti.

Content creator e fisco: le zone d’ombra

Trattandosi di un settore relativamente recente, non mancano le aree grigie dal punto di vista normativo o fiscale, ovvero situazioni più o meno gravi di evasione delle tasse, mancata apertura di partita IVA, omessa comunicazione agli utenti su prodotti sponsorizzati e così via.

Il caso Chiara Ferragni è il più emblematico in questo senso, per cui si parla attualmente di truffa aggravata per via delle comunicazioni ingannevoli sulle donazioni dei ricavi generati dalla vendita del pandoro a suo marchio. Ma ci sono stati anche moltissimi casi più piccoli (e a minore risonanza mediatica) con intervento della Guardia di Finanza di fronte a situazioni di evasione del fisco più o meno gravi.

La prima criticità riguarda proprio la dichiarazione del ricavato. Spesso il guadagno di chi crea contenuti online deriva dalle pubblicità inserite tra un contenuto e l’altro oppure all’interno di un video. Non solo per legge tali ricavi vanno dichiarati al fisco, ma bisogna anche poi versare le tasse in base al regime fiscale adottato dal creator.

Data la volatilità di alcune operazioni (tutto avviene via web) non è sempre semplice per il fisco individuare situazioni di evasione. Un altro problema riguarda la comunicazione trasparente con gli utenti circa i prodotti o servizi sponsorizzati.

A questo proposito, nel 2024 è arrivato un nuovo regolamento intorno all’influencer marketing, ovvero il Digital Chart che va ad integrare le norme contenute nel Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale1.

Uno dei principi fondamentali riguarda la riconoscibilità immediata da parte dell’utente di un messaggio pubblicitario, ovvero non devono essere necessarie azioni specifiche per sapere se un contenuto ha fini commerciali oppure no, che deve essere chiaro da subito.

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Dall’introduzione di queste norme, molti noti influencer hanno iniziato a pubblicare disclamer specifici all’interno di video o contenuti digitali in riferimento ai prodotti pubblicizzati. Non bastano più quindi oggi, i noti hashtag come #ad #adv o similari.

Content creator e partita IVA: le regole

Sempre nel 2024 è stato annunciato l’arrivo di un nuovo codice Ateco rivolto a tutti coloro che di professione svolgono attività da influencer, attivo da aprile 2025, il codice 73.11.03. Questo nuovo strumento permette di inquadrare nello specifico tutti i liberi professionisti che percepiscono ricavi dalla creazione di contenuti online.

Va ricordato che, come per qualsiasi altra forma di lavoro autonomo continuativo nel tempo, aprire la partita IVA è un obbligo di legge, da cui deriva la scelta di uno o più Codici Ateco, il versamento delle tasse e dei contributi.

Per ciò che riguarda le imposte, molto dipende dal regime fiscale scelto: il regime forfettario è molto vantaggioso perché permette di accedere ad un’aliquota sostitutiva all’Irpef del 5% per i primi 5 anni di attività e al 15% per il periodo successivo. Ci sono però vari requisiti da rispettare, tra cui un guadagno annuo complessivo inferiore a 85.000 euro.

per guadagni superiori è necessario scegliere il regime ordinario, con applicazione delle normali aliquote Irpef stabilite per l’anno in corso. E per ciò che riguarda i contributi previdenziali? Anche questi lavoratori avranno diritto alla pensione, per cui è obbligatorio scegliere la cassa previdenziale a cui versare una quota periodica.

Anche su questo punto ci sono delle interessanti novità per i content creator: l’Inps nel 2024 ha stabilito norme specifiche per influencer sul versamento dei contributi. Possono verificarsi infatti tre scenari:

  • gestione commercianti Inps: per i content creator che lavorano come veri e propri imprenditori e gestiscono la propria attività come un’azienda strutturata;
  • gestione separata Inps: per influencer autonomi che non hanno una struttura aziendale;
  • gestione spettacolo: per coloro che sono impegnati nel marketing digitale e nell’intrattenimento.

Va infine ricordato che per tutti i content creator che creano contenuti per adulti è obbligatorio anche provvedere periodicamente al pagamento della Tassa Etica.

Contabilità

Buste paga

 

I controlli sui content creator

Con l’arrivo delle nuove regolamentazioni per il settore, si sono anche moltiplicati i controlli sui singoli professionisti della creator economy. Gli accertamenti fiscali infatti sono all’ordine del giorno, ad opera dell’Agenzia delle entrate ma anche della Guardia di Finanza.

I controlli sono aumentati anche a seguito del caso di Chiara Ferragni, portando alla luce atti ingannevoli e di evasione fiscale compiuti nel tempo da diversi content creator. Come per qualsiasi altro controllo fiscale, l’Agenzia delle entrate può disporre di database appositi per incrociare i dati su quanto dichiarato al fisco, in questo caso in relazione al numero di follower e alle visualizzazioni effettive del canale soscial del professionista.

Per dare delle linee guida specifiche e per tutelare i lavoratori di questo settore è anche nato Assoinfluencer2, il primo sindacato italiano per influencer, autorizzato dal ministero dello Sviluppo Economico.



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