i ministri “lumaca” del Pnrr


Per le politiche su famiglie e natalità, bandiera di Meloni, usati solo 350mila euro. Calderone al Lavoro è ferma sotto il 10 per cento delle risorse arrivate dal Piano

Il Pnrr va male. Lo dicono i numeri. Con buona pace dei mantra ottimistici di autoconvincimento di Giorgia Meloni. La fotografia perfetta è quella scattata sulle politiche per la famiglia e la natalità, bandiera della propaganda governativa. Finora è stato speso appena il 4 per cento delle risorse arrivate dal Pnrr.

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A svelare uno dei tanti bluff comunicativi è la relazione sullo stato di attuazione del Piano di ripresa e resilienza, diffusa proprio da palazzo Chigi. Il dipartimento di Eugenia Roccella ha usato 350mila euro su una dotazione già erogata di 7 milioni e mezzo (altri 2,5 milioni sono in arrivo per misure ancora da attivare). Già la cifra destinata al settore era risibile, ma l’impiego conferma il cortocircuito tra gli annunci e la realtà.

Roccella è in buona compagnia. A rilento vanno anche gli investimenti di vari nomi noti nel governo, da Francesco Lollobrigida a Daniela Santanchè.

Complessivamente la spesa delle risorse del Pnrr è al 35,6 per cento. Una soglia che per molti risulta una chimera. Il che svela tutte le criticità dell’impianto pensato dall’ex ministro Raffaele Fitto. «Se sposti le scadenze degli obiettivi più avanti non risolvi il problema, ma lo posticipi», dice a Domani il deputato del Pd, Ubaldo Pagano. «L’obiettivo di Fitto non era creare le condizioni reali per la realizzazione degli interventi del Pnrr, ma evitare che i problemi emergessero prima della sua nomina a commissario europeo. E oggi chi resta è costretto a raccogliere i cocci».

Pnrr da arare

Alla fine del 2024, a un anno e mezzo dalla chiusura del Piano, buona parte dei ministri fa fatica a raggiungere la soglia del 15 per cento delle risorse spese.

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Nella lista dei “bocciati del Pnrr”, c’è la ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, finita di recente sotto i riflettori per la sua laurea presa con modalità anomale, secondo quanto raccontato da un’inchiesta del Fatto quotidiano. Sul fronte Pnrr non va meglio. Il suo dicastero ha speso meno del 10 per cento, fermandosi al 9,2 per cento. In termini assoluti al ministero sono state attivate misure per un totale di 6,1 miliardi di euro e risultano impiegati appena 562 milioni di euro.

Il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, passa dal bagno di folla mediatico della manifestazione Agricoltura è, organizzata a piazza della Repubblica, a Roma, a un bagno di realtà. Tra un arrosticino e un pezzo di formaggio made in Italy, Lollobrigida deve arare il campo per l’attuazione del Pnrr. Dei 4,1 miliardi di euro a disposizione, l’impiego delle risorse si attesta a 627 milioni di euro. Poco più del 15 per cento. Ma l’ex cognato della premier può consolarsi: c’è chi fa peggio di lui.

Per informazioni citofonare al ministero del Turismo guidato da Daniela Santanchè. Sempre in bilico per i suoi guai giudiziari, mezza sfiduciata dal suo partito Fratelli d’Italia, ma comunque in sella e pronta a rivendicare i trionfi nel comparto turistico.

Eppure sul Pnrr il bilancio di fine 2024 è negativo. Il dicastero è uno dei pochi che ha già ricevuto tutta la somma spettante: 2,4 miliardi di euro. Sono però stati spesi 298 milioni di euro, il 12,4 per cento del totale.

Eredità culturale

Al Collegio romano, sede del ministero della Cultura, Alessandro Giuli ha ereditato, tra i tanti, un altro problema. Le responsabilità della spesa a rilento vanno attribuite principalmente a Gennaro Sangiuliano, ministro fino alla scorsa estate. A Giuli non si può addebitare alcunché. Ma intanto deve fare i conti con una situazione deficitaria. L’avanzamento della spesa è al 14,3 per cento, pari a 493 milioni di euro su 4,1 miliardi già erogati.

Ci sono poi i settori ritenuti più importanti per la realizzazione del Piano, come quello della sanità, che pure presentano lacune. Il ministero della Salute di Orazio Schillaci si attesta al 18 per cento di investimenti attivati. La cifra spesa è più alta rispetto ad altri, 2,8 miliardi di euro, su un totale che ammonta però a 15 miliardi e mezzo. Tra tutte le amministrazioni, quella di Schillaci ha registrato un’accelerazione nell’ultimo anno con un «incremento per circa 1,8 miliardi», si legge nella relazione.

Sono pochi i ministri che possono rivendicare di aver speso più del 50 per cento delle risorse del Pnrr. Adolfo Urso, a capo del ministero delle Imprese, è finora il più efficiente: vanta un 56,9 per cento di spesa, pari a 14,4 miliardi di euro su 25,4 miliardi di euro già messi a disposizione. Il ministro che ha speso di più in termini assoluti è invece Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente e sicurezza energetica) che conta investimenti per poco meno di 16 miliardi di euro, la metà di quello a disposizione.

Chi sta provando a recuperare il gap accumulato è il vicepremier Matteo Salvini. Nel 2024 «la quota più rilevante è imputabile al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti» con «un aumento di spesa per circa 5,7 miliardi di euro», spiega la relazione. La strada è lunga, ma l’accelerazione ha consentito di raggiungere il 30 per cento delle somme già stanziate (39 miliardi di euro). E in un Pnrr a passo di lumaca sembra quasi un trionfo.

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