Transizione militare. Meno auto, più tank, ma con calma (e pochi soldi)


L’azienda di sistemi di sicurezza Sabel, che fa cinture e sedili, ci ha già pensato da tempo. Puntare sull’aerospazio e non soltanto sulle quattro ruote. La loro esperienza è presa a modello. Già da qualche tempo l’industria italiana della componentistica (quasi 56 miliardi di fatturato e 170mila addetti diretti) adocchia l’aerospazio e la difesa quali strade alternative per garantire ricavi e andare avanti in un momento di difficoltà dell’automobile in giro per l’Europa, i cui volumi sono calo, frenati dai costi della transizione verso l’elettrico, dalla concorrenza cinese, ma anche, in Italia, da un diverso status attribuito alla macchina, oggetto del desiderio per le passate generazioni, meno per i giovani di oggi.

La parola che circola è riconversione, ma forse sarebbe meglio parlare di diversificazione. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, parla di “affinità” in corso da anni tra le due produzioni e prepara un piano di aiuti e incentivi alla transizione. “Per valorizzare le competenze dei lavoratori dell’automotive, il ministero sosterrà le aziende della filiera nella diversificazione e riconversione delle attività verso settori in crescita, come difesa, aerospazio, blue economy e cybersicurezza”, ha annunciato Urso ai sindacati in occasione dell’ultimo tavolo del settore, venerdì 14 marzo. 

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Prima di prendere decisioni servirà capire il punto di caduta delle varie iniziative dell’Unione europea per rilanciare la competitività del continente e favorire lo sviluppo dell’industria della difesa. I critici già la definiscono economia di guerra e puntano il dito contro iniziative come quella del colosso degli armamenti tedesco Rheinmetall pronta a farsi carico delle fabbriche che la Volkswagen ha annunciato di voler chiudere con una decisione senza precedenti in 87 anni di storia della casa automobilistica  “del popolo”. I fautori del cambiamento danno al termine difesa un’accezione più ampia così che non voglia per forza dire far passare in catena di montaggio missili anziché sportelli e scocche. Allo scopo sul piatto c’è per ora soltanto una parte dei 2,5 miliardi di euro destinati al sostegno della filiera tra il 2025 e il 2027, di cui 1,6 miliardi nel 2025 tra innovazione, contratti di sviluppo e credito d’imposta. In teoria la fetta dei contratti di sviluppo potrebbe favorire il processo di transizione, ma dipende dai progetti che le aziende presenteranno per accedere ai fondi. 

La filiera dell’auto si sta attrezzando. Nel 2023, per la prima volta, l’Anfia, l’associazione che riunisce le imprese della filiera, ha deciso di partecipare, all’Aerospace and Defense Meetings, l’unica convention internazionale per l’industria aerospaziale e della difesa organizzata in Italia. L’appuntamento era ospitato al Lingotto di Torino. Forse non un caso. 

Secondo gli ultimi dati dell’associazione, se si guarda ai settori ai settori di destinazione di parti e  componenti o servizi, diversi dall’automotive, emerge che l’aerospazio coinvolge circa il 14% delle aziende (macchine agricole ed elettrodomestici dominano la classifica). Nel 2021 erano poco sopra il 12%, ma la percentuale oggi sale al 15,3% se si prendono in considerazione soltanto le realtà piemontesi. 

Uno studio di Cassa Depositi e Prestiti dello scorso autunno sosteneva la necessità di “accompagnare la diversificazione dei fornitori lungo due direttrici”, quella geografica e quella settoriale perché “le imprese che già operano in misura ampia in altri settori (con un fatturato realizzato nell’automotive fino al 25% del totale) mostra migliori andamenti nei ricavi”. 

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Il passaggio non è tuttavia così lineare. Ci sono le affinità di cui parla il ministro Urso, soprattutto nelle aziende coinvolte nel campo della meccatronica, ma anche la diversificazione avrà bisogno di tempo. Le opportunità di entrare nella catena di forniture della difesa c’è, con diversi ma. I cicli di sviluppo dei progetti e dei programmi sono più dilatati e richiedono un numero maggiore di anni.  Produrre componenti per satelliti, navi e mezzi militari richiede inoltre certificazioni e tempi lunghi per ottenerle. 

“Trasformare le aziende che oggi producono auto in aziende che producono missili mi fa venire in mente soltanto Fantozzi”, commenta Pierpaolo Bombardieri, segretario generali della Uil, tirando in ballo il giudizio non proprio lusinghiero dato dal protagonista dei film di Paolo Villaggio sulla pellicola di epoca sovietica la Corazzata Potemkin, “È infattibile da un punto di vista industriale, ci sono alcuni pezzi che possono essere riconvertiti ma io spero che la politica si preoccupi di rilanciare il settore dell’automotive, non di trasformare gli stabilimenti”. Anche Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, spiega: “In alcuni settori il comparto metalmeccanico potrebbe essere utilizzato per strumenti leggeri”. 

Il messaggio di Urso va comunque nella direzione indicata da altri colleghi. Parla di riconversione il titolare dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Nei giorni della manovra in risposta alle polemiche sul taglio del fondo automotive e ai maggiori finanziamenti alla Difesa spiegava: “Non tagliamo risorse a chi fa riconversione”. E anche in questi giorni in cui si lancia in critiche al piano di riarmo presentato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e all’ipotesi che sia finanziato con più debito dagli Stati membri, lascia capire dove vuole andare a parare. All’ipotesi di eurobond e più indebitamento ha opposto l’idea di garanzia capaci di attivare investimenti per 200 miliardi in manifattura avanzata, intelligenza artificiale e tecnologie dual-use, impiegabili quindi in chiave sia militare sia civile. Fonti di governo non escludo che del ruolo dell’industria dell’auto si possa discutere già in settimana al Consiglio europeo. Per adesso, dicono, è prematuro. Ma al vertice interverranno in 27, quindi mai dire mai.



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