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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 13 marzo 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 13 marzo 2025.
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TOP
MAURIZIO LANDINI
Sono state ore concitate, le ultime 24, ore in cui lo scontro politico ed a tema di diritti tra governo ed un certo tipo di sindacalismo si è fatto al calor bianco. Tutto “merito” (o “colpa”?) del lessico forse un po’ troppo facilone della premier Giorgia Meloni. Premier che di fronte al dato indubbio dell’aumento della pressione fiscale ha opposto un teorema decisamente smart. Quello per cui, essendoci più occupati, è aumentato il numero di chi paga le tasse.
E il “checiazzecca?” di dipietriana memoria stavolta è arrivato dritto dritto dal segretario generale della Cgil Maurizio Landini. Premessa: in Italia ci sono due scuole di pensiero. La prima è quella, destrorsa, che attribuirebbe a Landini velleità politiche e “fuori recinto”.
La applicherebbe, il leader Cgil, conscio del fatto che la segreteria Schlein è in perenne predicato di vacillare. Ergo, serve una surroga a sinistra ed è meglio farsi trovare pronti. La seconda è quella per cui Ladini fa semplicemente Landini, cioè il segretario di un sindacato tradizionalmente schierato con alcune fasce sociali che sono (o erano) appannaggio della sinistra.
Il summit e le proteste
Ergo, quando attacca il governo lo fa solo e soltanto perché quella è la sua mission, senza pruriti politici. Quale che sia la lettura più valida, il dato resta. Landini è capace di essere più spina nel fianco di tante spine autorizzate e questo, in un sistema democratico complesso, un po’ di conforto dialettico lo dà. Prendiamo i referendum abrogativi sul lavoro e sulla cittadinanza.
Dopo un recentissimo incontro tra Esecutivo, lo stesso Landini ed il segretario di + Europa Riccardo Magi c’è un dubbio. Dubbio che è un trappolone. Vale a dire la data utile per l’election day. IL governo sarebbe orientato a far coincidere la scadenza elettorale con esercizio di democrazia diretta con il secondo turno delle elezioni amministrative.
Cioè con i ballottaggi ed a giugno, quando secondo il leader Cgil “le scuole saranno finite e la famiglia saranno più spinte a disertare il voto, con i figli a casa e le prime incombenze estiva ormai a regime”. Giorgia Meloni in particolare starebbe premendo quindi per l’8 e il 9 giugno.
“Furbo di tre cotte”
Landini però, che è un “furbo” di tre cotte, non ci è stato. Lui propone il il 25 e 26 maggio. Cioè al primo turno, quando l’affluenza su un tema cardinale ed in concomitanza con il primo vero “sfilacciamento” del carisma della premier sarà più incisivo. “Riteniamo che il voto debba avvenire nel primo turno delle Amministrative, il 25 e 26 maggio. Andare oltre significherebbe superare la chiusura dell’anno scolastico, entrando in un periodo di maggiore mobilità per famiglie e cittadini”.
E ancora: “Abbiamo ribadito che il mese di maggio non è solo il mese delle rose, può essere anche il mese della democrazia. Ed è il mese che permette la maggior partecipazione possibile. Da questo punto di vista mi auguro che, siccome hanno voluto ascoltarci prima di decidere, prendano una decisione che risponda anche alle richieste del Comitato promotore”.
Come essere cioè soft ed inflessibili al contempo.
Uno che serve. Comunque.
I PENDOLARI DELLA ROMA – CASSINO
Meriterebbero un Top al giorno: per la loro capacità di resistere. E sopravvivere ad un sistema ferroviario che tranne i passeggeri assiepati con le valigie sui tetti ricorda i convogli dei vecchi film ambientati in India. Ma è proprio questo ad avere sviluppato in loro un realismo che va al di là di ogni retorica. Come hanno dimostrato l’altro giorno durante l’incontro con l’assessore ai Trasporti e alla Mobilità della Regione Lazio, Fabrizio Ghera.
Un tavolo istituzionale sollecitato dal sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli, al quale hanno partecipato i vertici della Direzione regionale trasporti, i rappresentanti di Trenitalia e Rfi. Scopo del tavolo: raccogliere le istanze dei pendolari e dell’amministrazione locale e coordinare con Trenitalia e Rfi le iniziative da intraprendere per gestire al meglio le richieste dei cittadini.
A quell’incontro, la concretezza l’hanno portata proprio i pendolari. Cioè quelli che vivono sulla propria pelle gli errori di pianificazione fatti da coloro che in treno non ci viaggiano mai ma si spostano in macchina ed a buon bisogno anche con l’autista.
Eccovi la soluzione
Alta Velocità? Freccia Rossa e Italo alleate per i pendolari? Siamo seri. A declinare la proposta è stato il sindaco Mastrangeli che ha rispolverato la soluzione applicata da Giulio Andreotti allorquando era Presidente del Consiglio e diede una delle sue frecciatine all’allora Sottosegretario ai Trasporti Cesare Augusto Fanelli. Il quale si presentava con puntuale ritardo alle riunioni di Governo. “Ed ecco finalmente anche il senatore Fanelli arrivare dalla lontanissima Ciociaria”. Con il papà del futuro sindaco di Frosinone che gli rispose a bruciapelo: “Preside’ è sufficiente che metti i treni in modo che arrivino in orario”. Tanto poco? Leggenda vuole che Andreotti abbia sollevato il telefono e si sia fatto passare il presidente di Ferrovie dello Stato: “Presidente, potrebbe mettermi un espresso da Frosinone a Roma in modo che il senatore Fanelli possa arrivare in orario alle riunioni di Governo?”.
Buona parte è romanzo ma la sostanza è che da allora c’è un espresso che popolarmente a Frosinone viene chiamato Espresso Fanelli. Ed i pendolari hanno chiesto di valutare la possibilità di incrementare il numero dei collegamenti diretti, senza fermate intermedie, tra Frosinone e Roma. Più treni per raggiungere Roma in poco meno di un’ora.
Un espresso please
FLOP
DANIELE MAURA
A Cassino lo aspettavano per la riunione chiave: quella che avrebbe dovuto decidere tra guerra e pace politica. Tra accordo unitario o scontro all’ultimo voto, tra pacificazione e ricostruzione del Circolo dei Fratelli d’Italia oppure eterno conflitto. Daniele Maura di quella riunione convocata l’altra sera sapeva solo che si doveva tenere. E nulla di più. Ad organizzarsi erano stati gli uomini con gli anfibi sul terreno politico di Cassino: Gabriele Picano, Antonio Cardillo, Fabio De Angelis. Al Consigliere regionale destinato a presiedere il Congresso l’hanno informato con una telefonata.
Nonostante (o soprattutto per) l’assenza l’intesa è stata trovata. Costruita attorno ad uno schema che tiene tutti insieme e consente di sintonizzarsi sulla linea politica tracciata da Giorgia Meloni: conte si ma niente lacerazioni. Uno schema che soprattutto mette fine alle divisioni politiche in un’area geografica che per decenni ha governato le dinamiche politiche provinciali e da un quarto di secolo sta ai margini. Fondamentalmente per colpa della proprie divisioni: a destra come a sinistra.
La paura e lo scivovlone
Quell’accordo spaventa. Perché un Cassinate unito è capace di aggregare e spostare masse di voti decisive. Lo ha capito il sindaco Pd Enzo Salera che sta prendendo le misure alla Regione Lazio e lo ha capito Fratelli d’Italia raggiungendo l’intesa unitaria.
Deve esserci questo dietro alle dichiarazioni fatte da Daniele Maura per commentare un risultato politico nel quale più nessuno scommetteva. Nessuna congratulazione al presidente designato Alberto Borrea, al suo vice Cosma Marino, al Segretario del Circolo Vincenzo De Nisi. A malapena ad Antonio Cardillo che ha compiuto le due mosse decisive: benedire l’intesa dall’alto delle sue circa 350 tessere e proporre un Ufficio di Presidenza che imponga ai tre dirigenti di consultarsi su ogni decisione.
Nessun complimento ed anzi calci negli stinchi. Come a voler sabotare l’accordo.
Lo stupore di Gabriele
Non ci ha pensato su due volte l’avvocato Gabriele Picano. Uno degli architetti della ricostruzione di FdI a Cassino ha messo nero su bianco il suo stupore. Scrivendo che “La lettura delle dichiarazioni del consigliere regionale Daniele Maura devo ammettere che mi ha lasciato sbalordito. Nonostante la grande prova di responsabilità e di maturità dei dirigenti di Fratelli d’Italia di Cassino, ancora una volta si è cercata la polemica. All’indomani del grande risultato raggiunto in vista del congresso cittadino, mi sarei aspettato le congratulazioni ai dirigenti che hanno sottoscritto l’accordo. Al contrario, Maura, definendo i sottoscrittori dell’accordo autori di cattiverie e ostinati a combattere il ricambio generazionale, offende chi rappresenta, a questo punto, l’intero Partito di Cassino”.
Nasce il sospetto che tutto sia dovuto proprio al fatto che quell’accordo che mette da parte legittime rivendicazioni e ambizioni personali, ritrovando l’unità ed evitando una conta che avrebbe lasciato lacerazioni nella nostra comunità politica. Cosa che nel Collegio Nord suscita apprensione. Perché se il Sud ritrova l’unità torna ad essere competitivo.
Picano si dice sorpreso dal fatto “che sia proprio Maura, chiamato a presiedere il congresso, a tentare di destabilizzare gli equilibri raggiunti, dopo aver tempestato di messaggi i presenti per avere informazioni. Sorprende che i vertici del partito provinciale siano rimasti in silenzio come se la ritrovata unità del partito a Cassino desti preoccupazione in qualcuno, che più che impegnato a trovare l’accordo delle parti si è impegnato in fantasiose ricostruzioni”.
Come uno starnuto in cattedrale durante consacrazione.
ORAZIO SCHILLACI
Le Regioni hanno competenza pressoché tirannica in materia di Sanità, tuttavia ogni tanto andrebbe ricordato (ed applicato) che esiste anche un governo centrale con Delega Massima. Un Ministero della Sanità dunque che, nel caso di specie di questi tempi, sta in capo ad Orazio Schillaci. Che non è che sia proprio un ministro “scarso” (ci mancherebbe, il diritto di critica non dà diritto di offesa) ma che a volte però sembra un desaparecido.
In ordine alla famosa (o famigerata) questione dei medici cubani in Calabria ad esempio il titolare del dicastero in questione non ha battuto finora un colpo. Eppure di motivi per batterlo ce n’erano e come, a ben vedere. Ed oggi ve ne sono ancor di più. Partiamo dal presupposto storico.
Il Covid e l’aiuto caraibico
Con il Covid e le ataviche tare di organico della sanità calabrese la Regione aveva assoldato da Cuba alcune centinaia di sanitari. L’isola caraibica, si sa, ha una vocazione memorabile sul tema, e c’erano voragini di organico cruciale da coprire. Due anni e mezzo dopo e con l’emergenza virale finita era scoppiato un caso. Caso talmente eclatante che la Regione Calabria era stata denunciata per “schiavismo”.
Perché? Perché il regime cubano retto (malissimo) da Diaz Canel incamerava buona parte degli stipendi dei sanitari cubani, il più skillato dei quali prendeva su carte oltre 4.500 euro ma in realtà ne incassava a malapena 1.800, dato che lo Stato centrale de L’Avana, in perfetto mood post socialistese, si teneva il resto.
Il fascicolo internazionale
Si era posto quindi il problema non solo di rispondere ad un’azione penale di respiro internazionale, ma anche di risolvere il problema inside. Cioè chiamando a lavorare in Calabria medici Ue o italiani. Non è andata così e pare che i 326 camici bianchi mandati dal governo cubano per aiutare gli ospedali della Calabria ad affrontare l’emergenza covid resteranno almeno fino al 2027. E qui scatta il problema che no, non è regionale, ma nazionale, cioè perfettamente attinente il ministero retto dal già docente di Tor Vergata ed oggi ministro Schillaci.
Come si fa a non intervenire in una vicenda che non solo ha i crismi del fascicolo giudiziario (surreale) per sfruttamento ma che denota e denuncia una carenza di personale così massiva? Come si fa a non capire che quello che serve all’Italia (ed in particolare a certe sue zone) è una sanità efficientissima?
Intervenire, agire, subito
E come si fa a non agire in tal senso avvalendosi di prerogative che comunque, ove applicate, superano la mezza autonomia che le Regioni hanno sul tema? Il dato su quegli oltre 300 medici caraibici trapiantati in terra calabra che è senza di loro la sanità calabrese non saprebbe come andare avanti. La riprova? Già poco meno di due anni fa proprio dalla Calabria arrivò un richiamo a restare in Italia.
Un esempio, datato ma attuale: l’Asp (azienda sanitaria provinciale) di Catanzaro bandì un concorso per 263 posti: 53 anestesisti, 33 medici di medicina d’urgenza, 112 medici per ambulanze, 9 cardiologi, 39 ortopedici, 16 neurologi e un neuroradiologo.
Non è andato quasi nulla a buon fine ed oggi una regione italiana deve tenersi medici che sono potenziale parte lesa in un procedimento umanitario di rango mondiale per non finire al collasso. Serve aggiungere altro?
Serve uno scatto.
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