IG2025: Identità Future – Identità Milano e le erbe: presente, passato e futuro del vegetale

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito


Lavorare il vegetale sta diventando sempre più complesso. Nella stragrande maggioranza delle banalità e delle semplificazioni che vediamo diffondersi nei ristoranti, ci sono alcuni professionisti che hanno abbracciato questa visione a tutto tondo, facendone un mantra. Una sorta di feng shui applicato alla cucina che, nel caso di un indirizzo come Joia, trovano senso, centralità e coerenza. Raffaele Minghini e Sauro Ricci sono i due chef oggi alla guida del progetto iniziato ben trentasei anni fa da Pietro Leeman. Nato nel 1996 con l’idea di proporre una cucina «sana, a base vegetale e amica del pianeta e di tutti gli esseri viventi», oggi i principi fondatori sono rimasti pressoché gli stessi, con le dovute evoluzioni. «Ci sono due aspetti cruciali del nostro lavoro. Il primo è il ricorso a un ingrediente biologico, che non deve essere certificato e coscientemente non contaminato. 

Sauro Ricci del Joia di Milano e Dario Tortorella de L'Antiquario di Napoli sono stati tra i protagonisti della prima giornata di appuntamenti della lounge Velier (foto credits: Brambilla – Serrani)

Sauro Ricci del Joia di Milano e Dario Tortorella de L’Antiquario di Napoli sono stati tra i protagonisti della prima giornata di appuntamenti della lounge Velier (foto credits: Brambilla – Serrani)

È fuori da ogni parametro consumare prodotti nocivi – nell’accezione chiaramente amplificata del termine. Il secondo parametro prevede l’utilizzo di ingredienti che definiamo non violenti verso l’ambiente, quindi non inquinanti verso la nostra coscienza» sostengono gli chef. «La cucina ci deve aiutare a crescere ed evolvere intellettualmente». Il dialogo tra chi sta dietro il banco – a stretto contatto con la clientela – e chi invece svolge un lavoro creativo e riflessione negli spazi della cucina, non può sempre svolgersi sullo stesso piano. In occasione del ventesima edizione di Identità Milano, nella prima giornata di appuntamenti del progetto Extraperimetral di Velier, a confrontarsi con gli chef lato miscelazione è stato Dario Tortorella, de L’Antiquario di Napoli.

“Il vero bartender è quello che si occupa del bar a 360 gradi. Svolgiamo un lavoro che ci porta a partire dall’ospitalità, dall’accoglienza, la musica, l’atmosfera, il servizio e poi solo in un secondo momento al cocktail. Scegliere accuratamente produttori e fornitori costituisce per noi un mezzo per garantire qualità al cliente e da un certo punto di vista anche una piacevolezza lavorativa da parte nostra, rapportandoci con veri professionisti”, racconta Dario.

Stefano Minghini e Sauro Ricci del Joia hanno raccontato come vedono il futuro del vegetale in ristorazione (foto credits: Brambilla – Serrani).

Stefano Minghini e Sauro Ricci del Joia hanno raccontato come vedono il futuro del vegetale in ristorazione (foto credits: Brambilla – Serrani).

Il minimo comun denominatore tra questi due approcci è senza ombra di dubbio il gusto. «Non siamo certi i primi a rapportarci con il mondo delle erbe spontanee, dei fiori, dei germogli in cucina. Se andiamo a ritroso nella storia vediamo che in principio la cucina romana si ispirava a principi gaelici, dove l’amaro era spesso abbinato al dolce. Il nostro approccio tenta di inserire tutti e cinque i gusti nel piatto, lavorando su di un’estetica verticale e sul concetto di complessità dato anche in parte dai giochi di consistenze» ci spiega Minghini. Alla ganache di cioccolato bianco e fiori di achillea, servita con un uno sciroppo di fiori di pisello e crumble di cocco e cardamomo, Tortorella è andato ad abbinare un prodotto come Gin Selvatiq nella sua nuovissima release Himalaya. Un progetto di Marco Magnocavallo e Giacomo Sandri che ha visto per questo nuovo imbottigliamento un vero e proprio viaggio nella natura. Il ginepro, infatti, è stato raccolto a mano sul Himalaya, a oltre 3.500 metri e unito alla botanica predominante del pepe di Timut. Non mancano cardamomo nero, fiori d’ibisco e rododendro ma la nota agrumata e piccante del pepe spicca decisamente sopra le altre.

Al di là del classico gin tonic, che in questo caso piacerà con più facilità agli amanti delle note amaricanti e dry, il cocktail in abbinamento ragiona sul filone dell’Adonis, ricetta di fine Ottocento del Waldorf Astoria Hotel di New York. «Ho usato un Manzanilla sherry fruttato e leggermente sapido, Gin Selvatiq, vermouth dry, una punta di bitter e un cordiale di labdano – una resina particolarmente profumata. Un drink poco alcolico ma estremamente aromatico, con un’intensità floreale marcata ma che spero lasci la bocca pulita dopo il dolce proposto da Joia». Un equilibrio sottile, che incontra un piatto fatto di elementi apparentemente fragili ma in realtà particolarmente impattanti. «Per guarnire il piatto abbiamo scelto del nasturzio fresco – che ancora molti clienti tendono a spostare senza mangiarlo ma che gioca un suo ruolo quando inserito nel piatto – che gioca sul note sulfuree e balsamiche insieme» spiega Ricci.

Così come ci si diverte in cucina, si prova a incuriosire e far divertire l’ospite, tanto al bar quanto a tavola. E sulla stessa linea, non si può dire che il team alle spalle dei Selvatiq non cerchi nuove e diverse opportunità per stupire gli amanti del gin. Il nuovo percorso abbracciato insieme a Luca Gargano e Velier rende questo progetto una sorta di sfida: creare distillati che siano vere e proprie spedizioni in bottiglia. «Non ci limitiamo a un unico territorio o a botaniche facilmente accessibili. Viaggiamo nei luoghi più remoti e suggestivi del pianeta – dalle vette dell’Himalaya appunto alle coste selvagge della Sardegna, alle pianure desertiche dello Utah – per trovare le botaniche più pure e autentiche. La nostra è una missione che va oltre la creazione di liquori eccezionali perché vuole essere allo stesso tempo un impegno nei confronti dell’ecosistema. Nel nostro piccolo volevamo un progetto che potesse contribuire a preservare l’ecosistema, raccontare il mondo, regalare un sapore unico, capace di far viaggiare il consumatore verso mondi lontani. Sarete voi a dirci se ci siamo riusciti!».



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link