Così i Cintorino ed i Cappello si spartivano droga ed estorsioni nell’area jonica: 39 arresti

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I carabinieri del comando provinciale di Messina e i finanzieri di Catania e Messina, su delega delle rispettive Direzioni distrettuali antimafia, hanno eseguito due ordinanze emesse con le quali sono state disposte misure cautelari nei confronti di 39 persone. Gli indagati sono a vario titolo accusati dei reati di “associazione a delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori; associazione finalizzata al narcotraffico; numerosi episodi di spaccio di stupefacenti, estorsione, rapina, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti – reati aggravati poiché commessi con metodo mafioso o con il fine di agevolare il clan “Cappello-Cintorino”. All’operazione congiunta hanno preso parte oltre 260 militari dei rispettivi comandi provinciali, coinvolgendo i reparti dello squadrone “cacciatori Sicilia”, nuclei ed elicotteri dei carabinieri, baschi verdi ed unità cinofile della guardia di finanza e sezione area di manovra di Catania. Le indagini, iniziate nel 2020, hanno fornito un quadro aggiornato degli equilibri criminali e della loro evoluzione nella fascia di territorio a cavallo tra le province di Catania e Messina, documentando l’influenza su quell’area del clan Cappello e la persistenza della frangia locale dei Cintorino, storici alleati dei Cappello di Catania. Questo nucleo era ancora attivo tra Calatabiano, Giardini Naxos, Taormina e zone limitrofe. 

I nomi degli arrestati

I nuovi vertici del clan Cintorino

Gli inquirenti hanno ricostruito diverse vicende criminali che avrebbero confermato come gli indagati si adoperassero per il mantenimento in vita e il rafforzamento del clan mafioso, “avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”, specifica una nota congiunta della Procura. Lunga la lista dei reati contestati, tra quelli legati ad estorsioni e spaccio. I finanzieri dal Gico di Catania, sviluppate con intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione e acquisizione di dati tramite i sistemi di analisi in uso alla guardia di finanza, hanno permesso di accertare come le persone coinvolte nel blitz si adoperassero anche per il mantenimento in carcere dei vertici storici del clan. Viene loro contestato il coinvolgimento in attività estorsive, il controllo del territorio, la disponibilità di armi da fuoco, nascoste ricorrendo a persone apparentemente “pulite” e distanti tra loro, uno spregiudicato uso della capacità di intimidazione. In questo contesto, un esponente storico del clan avrebbe continuato a dettare legge dal carcere attraverso apparecchi telefonici che si era procurato clandestinamente tramite i familiari o persone a lui vicine. La guardia di finanza etnea, sempre su delega della direzione distrettuale antimafia di Catania, sarebbe riuscita ad individuare i soggetti di spicco dell’associazione mafiosa. Mariano Spinella viene indicato come il reggente del clan Cintorino, mentre Riccardo Pedicone sarebbe stato il braccio destro del boss Mario Pace del clan Cappello, ponendosi anche come elemento di collegamento con il clan mafioso etneo ed organizzatore di attività illecite sul versante ionico. Questa circostanza, specie per il territorio messinese, sarebbe emersa chiaramente anche nelle indagini condotte dai carabinieri. 

Spaccio ed estorsioni nella zona jonica

Per quanto riguarda le figure di Carmelo Spinella (fratello del boss Mariano Spinella, detto anche “U’ biondu”) e Giuseppe Raneri (Peppe “Castelmola”), attualmente detenuti, sarebbe emerso un collegamento con altre figure come Alessandro Galasso e Diego Mavilla, uomo di fiducia di Pedicone, Christopher Filippo Cintorino, legato a vincoli di sangue con Antonino Cintorino, fondatore del clan che porta il suo cognome. Quest’ultimo, forte dei propri legami familiari, si sarebbe imposto sul territorio, facendosi strada nel settore dello spaccio. I molti episodi osservati confermerebbero come il gruppo Cintorino avrebbe attuato un ramificato controllo della zona jonica, anche attraverso le estorsioni nel comprensorio di Calatabiano e nei comuni limitrofi della fascia ionica etnea e messinese. Le vittime sono state individuate in imprenditori del ramo edile, del settore dei trasporti e di attività turistico-ricettive. L’accusa contesta a Mariano Spinella di aver assunto anche un ruolo di mediazione in alcune controversie insorte tra membri del clan e persone esterne all’organizzazione mafiosa per questioni di varia natura, che spaziano da problemi economici a contrasti di natura sentimentale. Nel settore degli stupefacenti, Christopher F. Cintorino avrebbe rivestito un ruolo di primo piano “dirigendo e gestendo un gruppo – si legge sempre nella nota congiunta delle due Procure distrettuali – capace di assicurare in maniera stabile un mercato operativo a ‘ciclo continuo’ specializzato nella vendita di hashish, marijuana e cocaina. L’accusa gli contesta di aver assunto un ruolo direttivo. Mentre Alessandro Galasso, Carmelo Mobilia e Cinzia Muratore avrebbero avuto il ruolo di organizzatori delegati alla contrattazione, al trasporto, al confezionamento e all’occultamento della droga, potendo contare su una rete stabile di spacciatori. 

Le indagini della finanza avrebbero poi fatto luce sul business criminale del traffico di stupefacenti, nonostante le cautele adottate dagli indagati per sviare l’attenzione delle forze dell’ordine che utilizzavano parole in codice e telefoni non intercettabili. Le fiamme gialle hanno anche monitorato diversi episodi di approvvigionamento e di cessioni di droga, arrestando cinque persone durante le indagini ed eseguendo il sequestro di 13 chili di cocaina, 55 chili di hashish e 72 di marijuana. Tra gli episodi pi rilevanti, il sequestro di 71,5 chili di marijuana “skunk” e di quasi 1 kg di hashish e 3 etti di cocaina all’interno del cimitero di Giarre, luogo che avrebbe rappresentato una sorta di base operativa e di deposito. 

Le regionali del 2022 “inquinate” dal supporto della mafia ad un candidato

Ma emergono particolari che legano, ancora una volta, la mafia con la politica. Il “cappellotto” Riccardo Pedicone, attivo a Giardini Naxos, in occasione delle consultazioni regionali del settembre 2022 si sarebbe adoperato per supportare la campagna elettorale di un candidato catanese per l’Assemblea Regionale Siciliana. I carabinieri di Messina avrebbero anche accertato come Pedicone, a partire dal 2020 ed insieme ad altre persone ritenute appartenenti alla stessa organizzazione mafiosa, tra cui Carmelo Sicali, avrebbe spostato nel territorio di Giardini Naxos una parte degli interessi criminali del gruppo,specializzandosi nel settore del narcotraffico ed avvalendosi dei propri canali di rifornimento della città etnea, oltre ad occuparsi di estorsioni. Proprio dalle intercettazioni delegate captate dagli inquirenti dell’Arma sarebbe emerso come dai vertici del clan Cappello di Catania fosse stata imposta la presenza sul territorio di Giardini Naxos di Riccardo Pedicone. Secondo il linguaggio criptico utilizzato dagli indagati, avrebbe dovuto “giocare con i bambini del paese”, espressione riferita agli esponenti locali del clan, definiti anche “tutti una cosa”. Riccardo Pedicone, ritenuto capo dell’organizzazione, nel corso dell’indagine si sarebbe si fosse trasferito da Catania a Giardini Naxos per poter meglio gestire gli affari illeciti con alcune persone del posto, non lesinando anche comportamenti violenti nei confronti delle vittime di estorsione.

Il clan Cappello inondava di droga Giardini Naxos

Le indagini hanno inoltre documentato l’esistenza e l’operatività, a Giardini Naxos ed aree limitrofe, di due distinti gruppi criminali specializzati nello spaccio, con assetti che avrebbero visto sempre Riccardo Picone come delegato del clan Cappello, dotato di “piena autonomia decisionale”. Le attività specifiche attività antidroga sono state avviate nel febbraio 2020, dopo una rapina con l’utilizzo di armi ai danni di una sala giochi di Giardini Naxos. Monitorando i possibili indagati, sarebbero poi emersi indizi relativi ad un vasto traffico di sostanze stupefacenti. In particolare, i due gruppi criminali, con un vertice definito e ruoli suddivisi tra fornitori, corrieri, vedette, gestori delle basi operative e della cassa comune, avrebbero smerciato nel territorio jonico della provincia messinese cocaina, marijuana e hashish. Tra le basi logistiche ci sarebbe stata prima un’officina meccanica e poi un bar della località balneare messinese. Lo stupefacente sarebbe stato trasportato a Giardini Naxos dai componenti delle organizzazioni che venivano rifornite dalla cosca catanese dei Cappello. Al clan etneo

Pestaggi ad imprenditori e pusher poco puntuali

sarebbero stati destinati i proventi dello smercio, per mantenere i propri esponenti detenuti. Diversi i casi di intimidazioni e violenti pestaggi documentati, che sarebbero stati commessi su ordine di Riccardo Pedicone nei confronti di pusher che avevano trattenuto per loro la droga, o erano insolventi o ritardavano la consegna del denaro incassato. La struttura dei gruppi criminali sarebbe variata nel tempo, al punto che lo stesso capo promotore dei gruppi sarebbe stato temporaneamente sostituito al vertice dell’organizzazione da altro indagato, Matteo Fortunato Mario Crimi, dopo il ferimento del reggente, coinvolto in un conflitto a fuoco avvenuto a Catania. Anche i carabinieri hanno eseguito diversi arresti in flagranza di reato durante le indagini, 17 in tutto, sequestrando complessivamente più di 11 chili di droga, tra marijuana, hashish e cocaina. L’altro filone investigativo focalizzato sull’area di Taormina, delegato al Gico della guardia di finanza di Messina, ha consentito di fare luce su un giro di estorsioni poste in essere nei comuni della fascia ionica della provincia di Messina e nelle zone limitrofe da Riccardo Pedicone, per il clan Cappello e da referenti dei Cintorrino e del clan “Brunetto-Santapaola”, facendo seguito ad accordi stretti anni prima.

Il proseguo delle indagini del blitz “Isola Bella”

L’attività fa seguito all’operazione “Isola Bella” che ha già coinvolto i Cintorrino e i Cappello in relazione ad estorsione messe in atto sino al settembre del 2017 nel settore della gestione di escursioni turistiche nel tratto di mare antistante l’isola Bella di Taormina e sfociate nell’emissione di misure cautelari, con sentenze di condanna di primo e secondo grado. Le nuove indagini avrebbero fatto emergere il ruolo di primo piano di Riccardo Pedicone, cognato di un esponente arrestato nel blitz precedente e protagonista di diversi episodi di estorsione aggravata, compiuti con altri esponenti mafiosi. Anche in questo caso, la Procura contesta la commissione delle estorsioni allo scopo di “agevolare l’associazione mafiosa e finanziare l’assistenza di soggetti affiliati detenuti in carcere”. Per vincere eventuali resistenze sarebbero state avanzate minacce verbali in gergo e vere e propri intimidazioni, come la collocazione di una bottiglia con liquido infiammabile ed un accendino sulla porta di un esercizio commerciale. In una particolare circostanza, Giuseppe Raneri avrebbe persino tentato di sfondare la porta di ingresso dell’abitazione di una vittima, in orario notturno, lanciando poi alcuni oggetti contundenti contro la finestra della casa per indurre la vittima ad uscire. Nell’ottica di mettere in atto una vera e propria spartizione delle aree di influenza, gli indagati sarebbero riusciti a cacciare altri affermati imprenditori dalla zona più esclusiva per ottenere una sorta di monopolio nel settore delle escursioni turistiche e sbaragliare la concorrenza.



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