chiara poggi, il caso si riapre

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Il delitto di Garlasco torna alla ribalta delle cronache, riaprendo interrogativi che sembravano sepolti da sentenze definitive. A diciotto anni dall’omicidio di Chiara Poggi, la studentessa venticinquenne trovata senza vita nella villetta di famiglia il 13 agosto 2007, e con Alberto Stasi che sconta una condanna definitiva a 16 anni di reclusione, la Procura di Pavia ha iscritto un nuovo nome nel registro degli indagati

La svolta investigativa

Si tratta di Andrea Sempio, all’epoca diciannovenne amico del fratello della vittima, già oggetto di indagini difensive tra il 2016 e il 2017, quando i legali di Stasi avevano sollevato dubbi sul materiale genetico rinvenuto sotto le unghie della giovane. La novità sostanziale risiede in una perizia sviluppata con metodologie e tecniche di ultima generazione che ha indotto i magistrati a disporre un prelievo coatto per il test del DNA, al fine di confrontarlo con i profili genetici repertati nel lontano 2007.

La vicenda processuale del caso Garlasco ha attraversato un iter complesso e tormentato: Stasi, inizialmente assolto in primo grado e in appello, è stato successivamente condannato a seguito di un nuovo processo disposto dalla Cassazione. Il 17 dicembre 2014 è arrivata la condanna definitiva a 16 anni, confermata dalla Suprema Corte.

L’evoluzione tecnologica al servizio delle indagini

Ciò che rende particolarmente significativa questa riapertura è il ruolo dell’evoluzione tecnologica nell’analisi del DNA. Le moderne tecniche di sequenziamento e amplificazione del materiale genetico, potenziate anche dall’intelligenza artificiale per l’analisi dei dati, permettono oggi di ottenere risultati affidabili da campioni un tempo considerati insufficienti o degradati.

I progressi nella genomica forense consentono di isolare e identificare profili genetici in condizioni che solo pochi anni fa sarebbero state proibitive. L’intelligenza artificiale, in particolare, ha rivoluzionato i metodi di comparazione, permettendo di analizzare enormi quantità di dati e identificare correlazioni impercettibili con i metodi tradizionali.

Tuttavia, proprio questa svolta tecnologica solleva interrogativi di natura giuridica. Paolo Reale, ingegnere informatico forense che assiste Sempio, sostiene che non esisterebbe più materiale genetico da confrontare, essendo stato interamente utilizzato nelle prime indagini. Di avviso opposto Giada Bocellari, legale di Stasi, che accoglie favorevolmente gli accertamenti richiesti invano anni fa.

Il “ragionevole dubbio” come pilastro della giustizia

La riflessione di Massimo Gramellini sull’importanza del “ragionevole dubbio” nel processo investigativo e giudiziario riportata nella rubrica “Il caffè” in prima pagina del Corriere della Sera del 12 marzo, coglie nel segno un aspetto fondamentale del diritto penale contemporaneo. Come avrebbe osservato Franco Cordero, maestro del diritto processuale penale italiano, il dubbio non è un elemento di debolezza del processo, ma il suo fondamento epistemologico.

Il principio dell’”oltre ogni ragionevole dubbio“, importato dalla tradizione anglosassone e codificato nel nostro ordinamento con la riforma dell’art. 533 del codice di procedura penale, non rappresenta semplicemente uno standard probatorio, ma incarna una precisa visione della giustizia e del rapporto tra Stato e individuo.

Cordero avrebbe probabilmente evidenziato la natura garantista del principio, che impone al giudice di condannare solo quando la colpevolezza dell’imputato sia provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”, respingendo qualsiasi tentazione di semplificazione o automatismo nel giudizio. Il dubbio, in questo senso, non è un ostacolo alla verità processuale, ma il suo presupposto metodologico.

La vicenda di Garlasco evidenzia, come sottolinea Gramellini richiamando Bertrand Russell, il paradosso di un sistema in cui “gli stupidi sono sicurissimi e gli intelligenti pieni di dubbi”. La magistratura, in questo senso, ha il dovere di coltivare un dubbio metodico, soprattutto quando in gioco vi è la libertà personale.

Un equilibrio difficile

La complessità del caso Garlasco risiede proprio nel difficile bilanciamento tra l’esigenza di certezza giuridica, rappresentata dal giudicato, e la necessità di riaprire il caso di fronte a nuovi elementi potenzialmente decisivi. Come avrebbe osservato un filosofo del diritto, il processo penale si muove costantemente tra due poli: la ricerca della verità e la garanzia dei diritti dell’imputato.

La riapertura delle indagini sul DNA rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi solleva interrogativi non solo sulla colpevolezza o innocenza di Alberto Stasi, ma sulla natura stessa della giustizia in una società tecnologicamente avanzata. La tecnologia può far emergere verità rimaste nascoste, ma può anche destabilizzare certezze consolidate, mettendo in crisi il principio stesso della cosa giudicata.

In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale e le tecniche di analisi del DNA diventano sempre più sofisticate, il “ragionevole dubbio” assume una nuova dimensione: non più solo garanzia contro l’arbitrio del potere, ma anche riconoscimento dei limiti intrinseci della conoscenza umana di fronte alla complessità del reale.

La magistratura è chiamata a un compito arduo: contemperare l’apertura alle nuove possibilità offerte dalla scienza con la necessità di decisioni definitive, coltivare il dubbio senza farsi paralizzare dall’indecisione. Come ricorda Gramellini citando Russell, un magistrato deve “imparare a coltivare dubbi e al tempo stesso a non lasciarsene paralizzare”.

Il caso Garlasco, con le sue continue riaperture e colpi di scena, diventa così emblematico di una giustizia che, nella società dell’informazione e della tecnologia avanzata, è costantemente chiamata a ridefinire i propri confini e le proprie certezze, sempre in bilico tra la tentazione del “decisionismo sbrigativo” e il rischio dell’inerzia paralizzante.

Vincenzo Candido Renna  – Avvocato



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