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A tutta questa attenzione in Groenlandia non sono abituati. Votare con gli occhi addosso – soprattutto quelli di Donald Trump – ha prodotto uno scossone politico alle urne, ma non dovrebbe mutare il percorso dell’isola verde verso l’indipendenza. Anzi, l’effetto complessivo dei risultati elettorali potrebbe perfino rallentare l’iter del referendum per il distacco dalla Danimarca. La premessa è che sono risultati parziali, anche se organizzare elezioni per 56mila abitanti potrebbe non sembrare un compito così difficile. L’esito non verrà certificato per settimane visto che le schede elettorali dovranno arrivare nella capitale Nuuk da insediamenti remoti via nave, aereo ed elicottero. Difficilmente però, con i voti ancora da scrutinare, cambieranno gli equilibri finali.
Primo partito è il centrodestra liberale Demokraatik, con oltre il 30% dei voti: triplicati rispetto alla precedente consultazione, i consensi sono triplicati. Indipendentisti sì, ma moderati: intendono staccarsi gradualmente dalla Danimarca, studiando un piano sul lungo periodo.
Secondo partito è Naleraq, nazionalista, sovranista, con il 24,5%: è la formazione politica più propensa al dialogo con l’amministrazione Trump. Vorrebbe tentare lo strappo il prima possibile nella convinzione che le minacce degli americani rafforzeranno la Groenlandia in una futura trattativa con il governo di Copenaghen. Oggi il leader dice che un referendum è possibile “entro la legislatura” e quindi entro il 2028.
Pesante la sconfitta incassata dalle due forze che governavano l’isola: l’emorragia di voti degli ambientalisti di sinistra Inuit Ataqatigiit e dei socialdemocratici di Siumut è tale che nel 2021 valevano il 66%, stavolta appena il 36%, perdendo rispettivamente il 15% e il 14%.
Il prossimo esecutivo dovrà nascere dall’intesa politica di una coalizione. “Siamo aperti ai colloqui con tutti i partiti e cerchiamo l’unità, soprattutto con quello sta succedendo nel mondo”, ha dichiarato il leader dei Demokraatik, Jens-Frederik Nielsenm, che non si aspettava un trionfo simile. Tutti i partiti professano l’indipendenza dalla Danimarca, sebbene con tempi e modi differenti. L’unico partito che è legato al rapporto con la Danimarca, Atassut, ha preso appena il 7%.
Negli ultimi mesi si è spesso parlato di una accelerazione del referendum sull’indipendenza. Tanta era la voglia di lanciare un segnale che per qualcuno era possibile indirlo nel futuro più prossimo, per altri si poteva votare persino insieme al rinnovamento del Parlamento. In realtà, lo scenario più verosimile è di farlo entro la fine della legislatura, nel 2028, magari quando alla Casa Bianca ci sarà Trump indebolito, a fine mandato. Né danesi né americani, ha detto il primo ministro Múte Egede, ed è una posizione che quasi tutti sottoscrivono. Ma c’è la consapevolezza che l’economia groenlandese è legata a doppia mandata ai finanziamenti che arrivano da Copenaghen e servono comunque investimenti dall’estero in grado di sopperire al miliardo di euro in sussidi che la Danimarca versa ogni anno nelle casse di Nuuk.
L’elezione è lo specchio del sentimento popolare. O meglio, del sentimento Inuit, che è tornato a crescere da quando Trump ha manifestato l’interesse di trasformare la Groenlandia in uno Stato d’America. La necessità di rendersi autonomi rimane la priorità per la maggioranza dei 56mila abitanti, anche loro però divisi su come e in che tempi riuscirci. Il rapporto con la Danimarca è a dir poco burrascoso, caratterizzato da una storia coloniale che – nonostante l’accordo del 2009 con cui la Groenlandia è diventata autonoma – si porta dietro ancora strascichi. Dopo l’uscita di un podcast di tre anni fa, che aveva riportato alla luce la campagna di contraccezione forzata sulla popolazione Inuit, settanta donne hanno chiesto un risarcimento da 40mila euro a Copenaghen. Così come un grande impatto ha avuto il documentario “L’oro bianco della Groenlandia”, che parlava dell’estrazione della criolite e di altre risorse che si trovano sul terreno dell’isola ma i cui ricavi finivano nelle tasche del governo della Danimarca. Per il 36% dei cittadini, questa storia avrebbe influenzato il voto di ieri. Nonostante i dissidi storici, però, la Danimarca provvede con ingenti investimenti, rimanendo fondamentale per l’economia isolana. Per l’85% dei suoi abitanti, inoltre, le grandi questioni di questa tornata elettorale riguardavano temi sociali, come il benessere, la salute e l’istruzione. Non tutti sono soddisfatti, motivo per cui dalle urne è uscita una severa punizione per chi ha governato negli ultimi quattro anni. Che sull’indipendentismo non ha idee tanto differenti da chi invece ha vinto. Trump ha solo mostrato al mondo quel che pensa la Groenlandia.
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