Senigallia, concerto Bamert/Form, 09/08/2025

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#finsubito


di Roberta Pedrotti


Mathias Bamert sul podio della Form dirige un concerto di grande qualità dedicato al tema di Romeo e Giulietta secondo Čajkovskij e Prokof’ev, passando per l’Invito alla danza di Weber orchestrato da Berlioz.

SENIGALLIA, 9 marzo 2025 – Nella fittissima stagione della Form (davvero assurdo che la ICO regionale abbia un contratto di soli otto mesi all’anno: speriamo che le istituzioni si muovano per un sostegno più significativo) questo primo programma di marzo spicca come uno dei più interessanti, quello che finora ha messo in maggiore e migliore evidenza l’orchestra dopo appuntamenti che vertevano sulla presenza di solisti, pur eccellenti come Lonquich [il 18 gennaio e il 24 febbraio] e Turriziani. Qui abbiamo solo l’orchestra e il direttore, non un divo pubblicizzato, ma una bacchetta di vecchia e gloriosa scuola, già allievo di Szell, assistente di Stokowski, collaboratore di Maazel, nonché formato come compositore con Boulez e Stockhausen. Sulla soglia degli ottantatré anni Matthias Bamert dimostra cosa voglia dire essere musicsta di razza, anche senza l’energia vibrante della gioventù. Il gesto è minimale, quasi dimesso, il podio raggiunto a piccoli passi e gli applausi accolti con una sorta di tenerezza discreta: però, la qualità e la compattezza di suono si sentono, si sente l’intelligenza dell’analisi da Čajkovskij a Prokof’ev passando per Weber.

L’invito alla danza del tedesco fa da cesura fra le due letture della tragedia di Romeo e Giulietta da parte dei due russi e l’orchestrazione di Berlioz enfatizza, rispetto all’originale pianistico, una particolare suggestione ciclica, con il tema esposto dal violoncello solo, raccolto dai fiati e ampliato nello sviluppo centrale con tutte le sezioni prima di rapprendersi nuovamente là dov’era nato e sfumare in pianissimo. La leggiadria del quadro di danza in coppia si espande quasi come un sogno irrealizzato fra l’Ouverture fantasia di Čajkovskij e la suite, curata dallo stesso Bamert, dal balletto di Prokof’ev, la prima lirica espressione dei temi fondamentali del dramma (amore, odio, destino), la seconda dettagliata narrazione dei fatti.

Gran pregio del direttore svizzero è quello di non indulgere nel facile e svenevole effetto del tema amoroso di Čajkovskij, che già di per sé fa mormorare il pubblico in sala al primo apparire. Viceversa, la dialettica tematica incalza decisa nei rapporti timbrici, nello spettro dinamico dal soffuso, tenero e misterioso al perentorio, feroce o ardente. Così anche l’espansione sentimentale sembra illuminarsi da sé, fra le ombre sensuali o bellicose.

Ed è parimenti particolarmente incisiva la lettura di Prokof’ev, il cui linguaggio novecentesco trova nel retroterra compositivo di Bamert una chiave di lettura assai efficace. Basti pensare al controllo con cui imprime alla danza dei cavalieri la debita sferzante energia, al nitore neoclassico con cui emergono i passi di carattere, alla suggestione e alla tensione drammatica miste a un pizzico di straniato distacco nella Aubade e nei momenti più teneri o narrativi, dalla Giovane Giulietta alla Morte di Tebaldo. Le singole voci sono ben valorizzate nel fluire dinamico, così come l’intensità del pieno orchestrale è dosata con lucida maestria e buon gusto. Si avverte il potenziale dell’orchestra e come una bacchetta possa liberarlo.

Attenta, partecipe e festosa è l’accoglienza del pubblico di Senigallia, che si conferma preparato e consapevole. Se si pensa che il Teatro La Fenice conta novecento posti per una cittadina di quarantatremila abitanti e si fa il raffronto in proporzione con la capienza di capoluoghi nell’ordine delle centinaia di migliaia o dei milioni di abitanti con un potere attrattivo nazionale e internazionale, si capirà che anche vederlo occupato a metà, se non favorisce il colpo d’occhio, è un risultato numericamente non indifferente. A riprova che basta coltivare la buona musica e il pubblico non manca, anzi. L’importante è impegnarsi sempre per offrire la qualità, come in questo caso.

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