Paesaggio può far rima con guadagno

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Mauro Agnoletti, Cattedra Unesco “Paesaggi del patrimonio agricolo”, Università di Firenze

Mauro Agnoletti, titolare della cattedra Unesco “Paesaggi del patrimonio agricolo” all’Università di Firenze propone alcune soluzioni per tutelare i contesti rurali facendo business: ad esempio aumentare e promuovere il legame tra prodotti alimentari, territorio e turismo

Sono iniziate da tempo le grandi manovre in vista della nuova Pac post 2027 e si susseguono le dichiarazioni di politici, sindacati di categoria e tecnici in vista del nuovo Piano strategico. In questa prospettiva pensiamo opportuno proporre il ruolo di una grande risorsa dell’agricoltura italiana, cioè la qualità del paesaggio. Si tratta di una risorsa in generale poco considerata e quasi per niente promossa, anche quando si parla di agroturismo e turismo gastronomico, confuso spesso con la tutela dei sistemi naturali e dei sistemi insediativi.

Anche per questo il tema del paesaggio è spesso visto con sospetto da alcuni agricoltori, venendo sovente collegato a un sistema di vincoli e limitazioni. In realtà si tratta di un fondamentale valore aggiunto non riproducibile dalla concorrenza del nostro sistema Paese, legato a modelli agricoli resilienti in gran parte ereditatati dalla nostra storia, forse meno produttivi, ma in grado di esprimere prodotti di altissima qualità e di fornire servizi ambientali fondamentali per i caratteri dell’Italia.

Paesaggio, il registro del Masaf

Il paesaggio ha fatto la sua comparsa nelle nostre politiche agricole nel Psn 2007-2013, quando fu creato un gruppo di lavoro per proporre strategie e azioni specifiche. Nel 2012 fu anche istituito l’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale e il Registro Nazionale del Paesaggi Rurali Storici delle Pratiche Agricole e delle Conoscenze Tradizionali, presso il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, che oggi conta ben 32 siti iscritti dalla Sicilia alle Alpi.

L’iniziativa nasceva certamente anche dalla necessità di ridare dignità all’attività che più di ogni altra ha modellato l’ambiente e la cultura della Penisola, se non altro in considerazione della sua persistenza millenaria. La proposta voleva però anche inserirsi in un contesto economico a cui è utile accennare, anche per allontanare l’dea che occuparsi di paesaggio sia un semplice esercizio estetico. Il quadro internazionale delineatosi negli ultimi decenni vede pochi grandi Paesi che determinano il mercato delle principali risorse alimentari (ad esempio i cereali) e altrettante poche multinazionali che controllano i principali mezzi di produzione (macchine agricole, sementi, concimi, diserbanti ecc.) e la distribuzione.

In questo contesto, la spinta rivolta a innovare e industrializzare l’agricoltura, puntando su più alte rese unitarie e bassi costi di produzione per essere più competitivi e autosufficienti, ha dovuto fare i conti con l’impossibilità strutturale di gran parte del nostro territorio ad adeguarsi a modelli intensivi e a contrastare una competizione internazionale con un approccio quantitativo. La situazione attuale mostra che solo il 23% del territorio rurale si è potuto adeguare a quel modello, principalmente le pianure, mentre nel resto, sostanzialmente collina e montagna, quell’approccio non ha funzionato causando forti problemi di sviluppo.

Pantelleria, cappereti terrazzati con pietra a secco

Italia “condannata” alla qualità

All’Italia è quindi rimasto solo un ambito per essere “competitiva”: la qualità, ma questa non può limitarsi alla sola qualità organolettica. Dopo più di 60 anni, pare infatti poco probabile che ulteriori spinte verso l’intensivizzazione possano modificare la situazione. Per limitarci al grano, ma potremmo parlare anche di olio o altro, moltissimi terreni, specie in collina, non sono in grado di dare più di 25-30 quintali a ettaro di grano, rispetto ad aree dove se ne raccolgono 60. Se a questo si aggiungono le limitazioni a un esteso uso dell’irrigazione, gli effetti negativi dal punto di vista ambientale dei diserbanti e dei concimi, nonché la preferenza per varietà più interessanti per la produzione industriale rispetto ai grani tradizionali italiani, il quadro appare poco favorevole a questo approccio.

I territori che non hanno potuto adeguarsi a questo modello sono stati abbandonati e negli altri si è assistito a una omogeneizzazione del paesaggio. Si spiega anche così perché abbiamo abbandonato circa nove milioni di ettari di aree agricole dal secondo dopoguerra, con un tasso annuo di abbandono superiore a quello del consumo di suolo, compromettendo anche la nostra sovranità alimentare. Per i territori collinari e montani c’è quindi bisogno di un altro modello di sviluppo rurale, più adeguato alle loro caratteristiche.

In queste aree si osserva infatti una forte dotazione di risorse paesaggistiche, ambientali, culturali, storiche, di produzioni tipiche e gastronomia, che sono state, o sono suscettibili, di valorizzazione, creando un sistema economico locale integrato e caratterizzato da un equilibrato sviluppo di attività terziarie legate al turismo, agriturismo al commercio, ai servizi. È in questo contesto che il tema del paesaggio, più di quello ambientale, si presenta come un paradigma in grado di integrare i processi economici, ambientali e sociali, assicurando anche il mantenimento dell’unicità che caratterizza tantissimi nostri straordinari paesaggi rurali.

Si tratta di proporre un concetto di qualità integrale che crei un forte binomio fra paesaggio e prodotti alimentari, sfruttando anche le potenzialità turistiche, contribuendo a sviluppare la nostra “identità competitiva”.

Paesaggio rurale della Toscana

Un patrimonio da tutelare

Purtroppo, come dice il rapporto di Ismea sul turismo, il paesaggio è la “scoperta” che il turista fa visitando il nostro Paese, in mancanza di una promozione che sembra concentrarsi sulla gastronomia o sulla qualità organolettica delle produzioni alimentari. Fa riflettere che si tratti della stessa “scoperta” che dal XVI secolo migliaia di viaggiatori del “Gran Tour”, borghesi, intellettuali e scrittori provenienti dal nord Europa, hanno fatto attraversando l’Italia e che gli suscitava meraviglia.

È preoccupante che, da allora a oggi, la promozione del “bel paese” sia concentrata solo su opere d’arte e cucina, scordandosi che, ad esempio, nel primato italiano dei siti culturali patrimonio dell’Umanità Unesco ci sono anche i nostri paesaggi rurali. Sebbene si tratti di valori indiscutibili, è bene chiarire che solo una minima parte dei turisti, italiani o stranieri, distingue un vitigno dall’altro, un olio dall’altro, o un pecorino dall’altro, mentre tutti ricordano la bellezza di un paesaggio che hanno visitato, fotografato e in cui hanno “scoperto” quelle produzioni locali che mai potranno andare nei supermercati di tutto il mondo. Inoltre, l’agroalimentare e la gastronomia sono sicuramente asset strategici, ma produrre e cucinare con materie prime italiane aiuta la nostra agricoltura, importarle dall’estero aiuta altri Paesi e genera abbandono da noi. Un approccio paesaggistico aiuta anche a mantenere la qualità dell’ambiente, tema spesso frainteso con il “ritorno alla natura”.

La nostra biodiversità non è quella di un territorio naturale, bensì quella tipica di un paesaggio culturale, che offre habitat diversificati per molte specie grazie alle attività agricole, forestali e pastorali.

Pochi sanno che anche le nostre foreste non sono “naturali”, sono tutte state influenzate dall’opera dell’uomo che le ha coltivate. Un grandissimo numero di pratiche agricole tradizionali caratterizzate da bassi input energetici esterni oltre a fare paesaggio offrono altri vantaggi. Ad esempio, i terrazzamenti svolgono un ruolo fondamentale per la riduzione del rischio idrogeologico, la conservazione della fertilità e per la qualità della produzione. Sono anche sistemi che consentano di mitigare e adattarsi meglio alle conseguenze del riscaldamento climatico e alla morfologia del nostro territorio. Conservare il paesaggio e l’ambiente non può essere fatto senza un agricoltore, ma così come non tutti i tipi di agricoltura producono cibi di qualità, non tutti mantengono la qualità del paesaggio e dell’ambiente.





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