L’ambiguità del 5 per cento

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La proposta di escludere le spese militari dal Patto di stabilità potrebbe permettere ai Paesi europei di aumentare la spesa militare senza violare le regole finanziarie. Tuttavia, tale soluzione rischierebbe di aggravare le disuguaglianze economiche e aumentare lo scetticismo verso le politiche di difesa

Athanassios Pantazis

Tutti cercano di prevedere le prossime mosse di Donald Trump e reagire di conseguenza. Una sua proposta ha generato particolare preoccupazione tra i membri della Nato e, soprattutto, dell’Unione europea: la spinta affinché tutti gli Stati membri della Nato destinino il 5 per cento del proprio Pil alla spesa per la difesa.

Questa inquietudine è stata rafforzata ulteriormente dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, che ha confermato tale dichiarazione.

Con il ritorno di Trump che ridisegna la geopolitica globale, la questione delle spese per la difesa resta centrale per l’armonia interna e la sostenibilità strategica dell’Ue.

Secondo gli ultimi dati del rapporto Defence Expenditure of Nato Countries (2014-2024), sono evidenti le sproporzioni nelle spese militari tra gli Stati membri.

La Polonia guida con il 4,12 per cento del Pil destinato alla difesa, seguita da Estonia (3,43 per cento), Stati Uniti (3,38 per cento) e Grecia (3,21 per cento).

Questi numeri possono essere interpretati in vari modi. Da un lato, un’alta spesa segnala un forte impegno verso la Nato; dall’altro, evidenzia priorità nazionali diverse che influenzano gli investimenti militari e solleva interrogativi sulle motivazioni più ampie dietro l’incremento di tali spese.

Grecia e Turchia (2,07 per cento) rappresentano esempi emblematici di come le dinamiche regionali condizionino gli investimenti militari.

Le loro storiche tensioni spingono decisioni strategiche che vanno oltre la sicurezza collettiva, spesso imponendo gravosi impegni di bilancio.

Spese militari elevate, pur rafforzando la Nato, esercitano una pressione significativa sui bilanci nazionali, sottraendo risorse ad altre priorità sociali ed economiche.

Questa dinamica solleva dubbi sul fatto che tali spese favoriscano davvero la sicurezza nazionale o servano principalmente gli interessi dell’industria della difesa, che beneficia direttamente di costi militari sempre più alti.

Gli Stati Uniti, pur incoraggiando la condivisione degli oneri, restano il principale fornitore di equipaggiamento militare, garantendo così che maggiori spese finiscano per beneficiare la propria industria della difesa.

La proposta di una soglia del 5 per cento, presentata come misura per aumentare la sicurezza, consolida dunque vantaggi economici e strategici per gli Stati Uniti all’interno della Nato, sottolineando il delicato equilibrio tra esigenze difensive e priorità economiche dell’Alleanza.

Una questione chiave della proposta del 5 per cento di Trump è il potenziale destabilizzante per l’Unione Europea.

Un forte aumento delle spese potrebbe accelerare l’emergere di un’Europa a due o più velocità, in cui alcuni paesi riescono a raggiungere l’obiettivo e altri rimangono indietro, aumentando divisioni interne e disuguaglianze economiche.

Tale frammentazione – inevitabilmente – inciderebbe negativamente anche sulla Nato, compromettendo l’unità necessaria alla sua efficacia strategica.

Imponendo una tale soglia si rischia di alienare ulteriormente i paesi con economie più fragili, esacerbare divisioni politiche interne e generare ostilità nelle popolazioni che potrebbero non percepire una minaccia militare immediata tale da giustificare spese così elevate.

Anche economie importanti come Germania e Francia, che stanno appena raggiungendo l’attuale soglia-obiettivo del 2 per cento, affronterebbero significative sfide politiche interne. Una simile richiesta potrebbe aggravare le divisioni sociali e favorire movimenti populisti e di estrema destra, alimentati da narrazioni di difficoltà economiche e imposizioni esterne.

Il recente vertice di Londra ha evidenziato il cambiamento degli equilibri interni alla Nato e la crescente responsabilità dell’Europa per la propria difesa. Il premier britannico Keir Starmer ha definito l’Europa “a un bivio storico”, sottolineando la necessità di azioni decise.

Regno Unito, Francia e altre potenze europee hanno concordato di elaborare un piano di pace con l’Ucraina, cercando il sostegno degli Stati Uniti.

Pur affidando all’Europa il ruolo centrale nella sicurezza, Starmer ha chiarito che il supporto americano rimane essenziale, negando che gli Stati Uniti siano un alleato “inaffidabile” e affermando che i colloqui con Trump hanno confermato l’impegno condiviso per “una pace duratura”.

Durante il vertice, il segretario generale della Nato Mark Rutte ha accolto con favore l’impegno di diversi Paesi europei ad aumentare le spese per la difesa, definendola “un’ottima notizia”, senza però precisare quali paesi avrebbero incrementato il proprio contributo e come ciò si allineerebbe alla soglia del 5 per cento proposta da Trump.

Rutte ha ribadito la storica richiesta della Nato per un “giusto equilibrio” nella spesa, evidenziando come le nazioni europee debbano assumersi maggiori responsabilità senza appoggiarsi esclusivamente agli Stati Uniti per garantire la propria sicurezza.

Le sue parole suggeriscono che, sebbene la proposta di Trump stia accelerando il dibattito, la Nato cerca un approccio più pragmatico, che privilegi la sicurezza collettiva senza aggravare le divisioni economiche.

La proposta di escludere le spese militari dal Patto di stabilità e crescita dell’Ue potrebbe permettere ai Paesi europei di aumentare la spesa militare senza violare le regole finanziarie.

Tuttavia, tale soluzione non risolverebbe necessariamente il problema di fondo, rischiando anzi di indebolire la disciplina fiscale, aggravare le disuguaglianze economiche e aumentare lo scetticismo pubblico verso le politiche di difesa.

L’ascesa dei movimenti populisti aggiunge ulteriore complessità. Molti di questi movimenti hanno simpatie filo-russe e potrebbero sfruttare l’incremento delle spese militari per alimentare opposizioni contro le élite politiche.

Senza una solida giustificazione pubblica, i governi rischiano di suscitare referendum interni o proteste che indebolirebbero sia la coesione nazionale sia gli obiettivi strategici della Nato.

Sebbene la proposta di Trump miri a rafforzare la sicurezza collettiva, rischia anche di acuire divisioni economiche in Europa, alimentare populismi e consolidare il predominio statunitense.

Il vertice di Londra ha dimostrato la volontà europea di assumere un ruolo più indipendente, ma rimangono dubbi sulla sua capacità di agire con decisione.

La Nato, attraverso Rutte, cerca una via equilibrata, privilegiando una pianificazione strategica rispetto a obiettivi arbitrari di spesa.

Athanassios Pantazis è un analista del centro di geopolitica Spykman coordinato da Manlio graziano

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