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In “Malesangue” l’operaio Raffaele Cataldi racconta dalla finestra della sua abitazione da dove si scorgono le ciminiere del siderurgico, la solitudine della classe operaia, ma anche la vita dei quartieri popolari come quello da cui proviene, gli amori, le amicizie, e la lotta per cambiare le cose
È il 2 agosto del 2012, gli occhi della grande industria nazionale sono puntati su Taranto. Qualche giorno prima, il 26 luglio, la giudice Patrizia Todisco aveva firmato il sequestro dell’area a caldo dell’ex Ilva, perché «provocava malattie e morte, anche nei bambini», si leggeva nel provvedimento.
Il presidente del Consiglio è Mario Monti, il quale governa con l’appoggio esterno di quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale, dal Pdl di Silvio Berlusconi al Partito democratico di Pierluigi Bersani. Mentre a Roma i ministri Corrado Clini (Ambiente) e Corrado Passera (Sviluppo economico) studiano l’emanazione di un decreto che da lì a qualche giorno, riconoscendo tale area industriale come gravata da situazione di crisi industriale complessa, garantirà la produzione della fabbrica anche in costanza di sequestro con l’eventuale bonifica a carico dello Stato, a Taranto i leader delle tre organizzazioni confederali, Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Savino Pezzotta e Luigi Angeletti hanno convocato una manifestazione per «difendere il lavoro per tutelare salute, sicurezza ed ambiente».
Un messaggio, quello lanciato dalla “triplice” che però appariva debole alle orecchie di un nutrito gruppo di operai già sindacalizzati e di una serie di attivisti, studenti e cittadini della città che avevano scelto di posizionarsi in coda al corteo dietro uno striscione che così recitava: «Si ai Diritti, no ai Ricatti. Reddito, Salute, Ambiente, Occupazione». E, come il “soggetto imprevisto” femminista di Carla Lonzi mutuato dalle “Tesi di Filosofia della Storia” di Walter Benjamin, irrompe sulla scena nei primi anni ’70, così, allo stesso modo, il soggetto operaio rivoluzionario che pretende diritti per sé stesso e per i cittadini della città in cui vive, al di fuori dal perimetro delle organizzazioni sindacali tradizionali, a Taranto entra in quella piazza, con irruenza, il 2 agosto del 2012.
Accade che mentre sta parlando Maurizio Landini, una moltitudine fatta di studenti, cassintegrati, donne lavoratrici dei call center che erano in piazza, sceglie di farsi rappresentare da “quelli dell’Apecar” un gruppo di operai nel frattempo arrivato sotto il palco a bordo di un tre ruote, e che si era preso la scena presentando un nuovo ordine del discorso, diverso da quello che fino a quel momento era stato imposto all’opinione pubblica locale dal governo, da Confindustria, e anche dai sindacati confederali.
Il libro
Da questo episodio, particolarmente significativo nella storia recente della città, l’operaio dell’ex Ilva, Raffaele Cataldi, ha tratto lo spunto per “Malesangue”, un memoir pubblicato da Alegre Edizioni, «una storia vera di rabbia e sangue amaro, in cui c’è chi si è ammalato, chi si è licenziato, chi ha avuto crisi famigliari e chi ha perso la vita».
Dice l’autore: «Questa è anche una storia di passione politica e calcistica, di amore ed amicizia, di solitudine, come quella di una classe operaia lasciata da sola a combattere le ingiustizie, ma anche di un sogno collettivo, quello di un gruppo di uomini e donne che da quando sono saliti su di un Apecar in una bollente giornata di agosto del 2012, da allora, non si sono lasciati più».
Oggi, infatti, il comitato Liberi e Pensanti esiste e pesa ancora in città, è stato presente anche in consiglio comunale fino a qualche mese fa con un suo portavoce: l’operaio Massimo Battista, a cui “Malesangue” è dedicato, morto il 7 ottobre del 2024 per un cancro ai polmoni dopo diversi anni di lavoro in Ilva e cinque anni pesantissimi di mobbing subito a causa delle sue denunce.
E anche Cataldi, come altri operai ribelli, è stato punito, prima con i provvedimenti disciplinari, poi, quando l’Ilva è passata di mano dai Riva ad Arcelor Mittal, con la cassa integrazione che dura ormai da sette anni.
È lo stesso destino accaduto a tanti altri suoi compagni del Comitato, di fatto estromessi dalla fabbrica, dove non entreranno mai più, come prevede, peraltro, un accordo tuttora rimasto segreto siglato dal governo Conte con Arcelor Mittal.
«Questo è un libro in cui tutte le famiglie di Taranto dovrebbero riconoscersi, il suo io narrante sono gli operai, ma i protagonisti sono tutti quelli che nel corso della loro vita, figli, mogli, nipoti, hanno avuto i pranzi e le cene scanditi dagli orari dei turni in fabbrica. Il siderurgico ha plasmato anche le esistenze di chi in Ilva non ci è mai entrato», dice l’attore Michele Riondino, direttore artistico del Primo Maggio organizzato ogni anno dal Comitato Liberi e Pensanti, e regista del film pluripremiato Palazzina Laf, che racconta la vicenda accaduta nel 1997 nel reparto confino Laf, un capannone spoglio e diroccato dentro cui finirono a non far nulla tutto il giorno 79 dipendenti, la maggior parte dei quali impiegati specializzati che avevano rifiutato la novazione del rapporto di lavoro, cioè il declassamento ad operai.
«Ed è proprio dalla prospettiva operaia da cui dobbiamo partire, se vogliamo orientarci nell’analizzare, studiare, proporre una giusta transizione per Taranto e gli altri siti contaminati di questo Paese», scrive nella postfazione al volume la professoressa Stefania Barca.
Mentre, invece, quella che si sta giocando in questi giorni sul destino dell’ex Ilva, è l’ennesima partita che non terrà conto dell’esistenza degli operai di Taranto e delle donne e degli uomini che lì ci abitano.
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