«Io non avevo deleghe operative»

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Crac Popolare Vicenza: dopo anni di indagini e processi arriva la condanna in appello a Venezia anche per l’ex direttore generale Samuele Sorato. Decisamente ridotta: 3 anni e 8 mesi di reclusione contro i 7 del primo grado e i 5 anni e 5 mesi chiesti dal Procuratore generale Nicola Proto. Effetto delle prescrizioni maturate, delle attenuanti generiche e della parziale assoluzione sull’ostacolo alla Vigilanza di Bce e Banca Italia del 2014 (un duplicato). Sono state revocate anche la confisca da 963 milioni bocciata dalla Corte Costituzionale un mese fa e, novità, il risarcimento da 450mila euro, rinviata in sede civile la valutazione di eventuali danni alla Vigilanza. Ridotta a 3 anni anche la pena accessoria dell’interdizione agli uffici direttivi. All’ex consigliere delegato e direttore generale di BpVi è andata meglio che al suo presidente Gianni Zonin condannato in appello in un processo gemello a 3 anni e 11 mesi di reclusione insieme a quattro ex manager di vertice della banca in liquidazione coatta amministrativa da fine giugno del 2017.


La condanna

Una magra consolazione per Sorato, che sostiene: «Se non mi fossi dimesso nel maggio del 2015 le ispezioni sarebbero andate diversamente. La Bce in quella primavera mi aveva chiesto di rimanere intimando invece una decisa discontinuità nella presidenza, nel cda e nei vicedirettori generali», lo scarno commento dopo la sentenza dell’ex direttore generale di BpVi sempre convinto di essere diventato poi il capro espiatorio per un crac che ha azzerato miliardi di risparmi e gli investimenti in azioni di 120mila soci: «Io non avevo deleghe operative» il suo mantra di difesa. Una storia quella del crac di Popolare Vicenza ancora in parte da scrivere con Sorato ancora convinto che Popolare Vicenza si sarebbe salvata se fosse andata in fusione con Veneto Banca, Etruria e anche Cassa Ferrara, tutte operazioni gestite in prima persona da lui su mandato – a suo dire – della Banca d’Italia e bloccate «da Zonin che non voleva aprire il cda ad altri soggetti. A inizio del 2014 ha anche bocciato la fusione alla pari con Veneto Banca: voleva la stragrande maggioranza del consiglio malgrado avessi prospettato la creazione di una holding di controllo per le due banche che avrebbe permesso di mantenere salda la presenza sul territorio». E anche moltiplicato le poltrone per i consiglieri. Certo, era sempre un po’ come «mettere insieme due zoppi», spiega ai margini dell’udienza di ieri l’ex Dg e consigliere delegato, «ma almeno si guadagnava tempo» per gestire le partite delicate in pancia ai due istituti dove lui probabilmente avrebbe ricoperto il ruolo di Ad e Zonin forse avrebbe dovuto lasciare la presidenza. Resta poi «l’amarezza» di essere stato mollato poi «dalla sera alla mattina da Consob e Banca d’Italia».

 

La fusione mancata

Il dispositivo della sentenza della Corte d’Appello di Venezia presieduta da Michele Medici è stato letto dopo due ore di camera di consiglio arrivate dopo le repliche di accusa e difesa. Alla fine un solo commento dell’avvocato difensore di Sorato, Alberto Berardi: «Registro che la condanna al risarcimento alla Banca d’Italia è stata revocata». Sul comportamento degli uomini della Vigilanza nell’ispezione del 2012 dove sarebbero spuntate le prime documentazioni delle baciate – argomento emerso anche ieri, con il ping pong di cifre: erano 65 milioni per l’avvocato di Banca d’Italia, 270 milioni per Berardi – si era molto dibattuto sia nel processo di primo grado che nel secondo. Per la difesa di Sorato quella lista dei primi 30 soci e delle loro esposizioni con la Popolare presentata all’ispettore Sansone evidenziava già bene la situazione delle azioni finanziate che poi lievitarono alla stratosferica cifra di 963 milioni. E non scattò nessun campanello d’allarme ai piani alti della Vigilanza. Un «teorema» quello che gli ispettori avrebbero compreso in quel momento il fenomeno delle baciate secondo l’avvocato della Banca d’Italia, che comunque sembra aver fatto un po’ breccia nella Corte d’Appello di Venezia. Sulla condanna di Sorato però avrebbero pesato le 6-7 operazioni di finanziamento correlato all’acquisto di azioni (le baciate) antecedenti al 2012 con alcuni soci importanti come Ravazzolo, Loison, Morato che avrebbero visto in prima persona l’intervento dell’ex Dg e anche gli storni a favore di alcuni soci importanti. Ricorrerete anche in Cassazione? «Dobbiamo leggere il dispositivo della sentenza», la risposta dell’avvocato Berardi. Ma l’impressione è che si andrà anche ad esplorare l’ultimo grado di giudizio in Cassazione, dove si sta già celebrando il processo a Zonin e agli altri manager. 





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