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L’area Emergenza urgenza di un ospedale – Ansa
Il dato che forse rende di più la drammaticità della situazione è quello contenuto nel terzo rapporto Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici) e Censis: oltre 18mila operatori sanitari aggrediti in un anno. Periodo in cui, ha rivelato la Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) in occasione della Giornata contro la violenza sugli operatori sanitari, ogni azienda sanitaria italiana ha subito, in media, 116 episodi di violenza, con un incremento del 5,5% rispetto ai 12 mesi precedenti. Per otto Asl su dieci, alla base della violenza verbale e fisica ci sono soprattutto l’eccesso di pressione su Pronto soccorso e ospedali, insieme alla perdita di fiducia nel Servizio sanitario nazionale (Ssn) e alle notizie su media e social network concentrate prevalentemente sulla malasanità. Un clima di sfiducia e tensione che, secondo Fiaso – che ha tenuto sull’argomento un evento a Pisa dedicato alla psichiatra Barbara Capovani, aggredita e uccisa all’uscita dal lavoro nell’aprile di due anni fa – rende ancora più urgente incrementare le politiche di prevenzione e protezione a tutela degli operatori.
Veneto e Lombardia sperimentano dispositivi di protezione
Eppure, nonostante il preoccupante scenario, le aziende sanitarie hanno reagito. Tutte le Asl hanno infatti attivato programmi di sensibilizzazione e formazione per il personale. Tra le iniziative più efficaci, si mettono in campo progetti di comunicazione con l’utenza e il rafforzamento del coordinamento con le forze dell’ordine, che hanno dimostrato un impatto positivo nella gestione delle situazioni critiche. Potenziati anche i sistemi di tutela a partire dall’assistenza legale – fornita da sei aziende su dieci – e dagli interventi di tipo organizzativo quali il cambio di reparto, l’installazione dei pulsanti di sicurezza e blocco delle porte, ma anche i percorsi di riabilitazione psicologica. In Veneto la Regione ha annunciato la sperimentazione di dispositivi indossabili, simili in tutto e per tutto a dei moderni smartwatch e body cam. Il “braccialetto”, in particolare, permetterà di fornire informazioni che riguardano lo stato vitale di chi lo indossa, un’eventuale caduta a terra, la geolocalizzazione, oltre a garantire un sistema di allarme. Mentre in Lombardia le ultime iniziative riguardano i pulsanti Sos collegati con le forze dell’ordine negli ospedali e il test, avviato all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e all’Asst di Pavia, di un orologio con pulsante Sos.
Il ministero della Salute lancia una nuova campagna
«Siamo impegnati a rafforzare le attività di prevenzione e formazione per gli operatori sanitari e sociosanitari – ha detto il ministro della Salute, Orazio Schillaci che ha preso parte ad un appuntamento a Foggia -: con Fiaso e Federsanità abbiamo firmato un protocollo d’intesa per garantire percorsi formativi omogenei su tutto il territorio nazionale». La violenza contro il personale della sanità, ha aggiunto Schillaci, «è un fenomeno inaccettabile, che mina le basi del nostro sistema sanitario e colpisce donne e uomini che con professionalità e dedizione si prendono cura di tutti noi. Nessun medico, infermiere o operatore sociosanitario, dovrebbe temere per la propria incolumità. Per garantire più sicurezza abbiamo adottato misure severe e concrete, tra cui, in ultimo, l’arresto in flagranza di reato anche differita, provvedimento che ha già trovato puntuale applicazione in diversi casi di recenti aggressioni». Per Schillaci serve «promuovere un profondo cambiamento culturale, a radicare la cultura della fiducia e del rispetto che è un pilastro del Ssn». Il ministero della Salute ha appena lanciato la campagna “Ti ha salvato la vita. Ti salverà ancora. Rispetta chi si prende cura di te e dei tuoi cari. La violenza non è mai la soluzione”.

L’area Emergenza urgenza di un ospedale – Ansa
Gli obiettivi “preferiti” dai violenti sono medici e infermieri dei servizi di emergenza: il 98% di loro ha subito una qualche forma di aggressione durante il lavoro, ha fatto sapere la Società italiana di medicina d’emergenza urgenza (Simeu). Che ha condotto un sondaggio sugli operatori di Pronto soccorso ed Emergenza pre-ospedaliera. Hanno risposto circa 500 professionisti: il 70% medici, il 28% infermieri e il 2% operatori socio-sanitari. Ne risulta che la violenza produce un peggioramento della qualità delle cure, e la fuga dei professionisti della salute. «La survey evidenzia una situazione grave perché il 98% degli operatori italiani dell’emergenza-urgenza ha ricevuto un qualche tipo di aggressione durante la sua carriera, che è stata una violenza fisica nel 54% degli intervistati – ha spiegato Alessandro Riccardi, presidente Simeu -. Emergono inoltre alcuni scenari allarmanti perché, se il 10% degli intervistati abbandonerebbe immediatamente il sistema dell’emergenza-urgenza se ne avesse la possibilità, nel 90% delle risposte la causa degli abbandoni risiede in un ambiente lavorativo gravato da questioni non proprie dell’emergenza-urgenza, come gli accessi non urgenti».
Il presidente nazionale del sindacato nazionale infermieri Nursing Up, Antonio De Palma, ha denunciato che un professionista della salute su 2 è oggi vittima di violenze e l’Italia si colloca tra i Paesi europei con il maggior numero di aggressioni, «un livello di allarme mai così alto rispetto agli ultimi 20 anni», come emerso da un report condotta con l’Università La Sapienza. In soli 2 anni, tra il 2023 e il 2024, viene descritto nel lavoro, si sono registrati circa 260mila episodi di violenza solo tra gli infermieri; ad essere colpite sono state in particolare le donne (nel 75% dei casi). Sul totale dei professionisti sanitari, gli infermieri risultano i più esposti, con un’incidenza del 76,6%. In questo caso, l’area più critica è la psichiatria (36,2%) che superata il Pronto soccorso (33,4%). «Un caso su 5 è perpetrato da pazienti con disturbi psichici o dipendenze».
La Croce Rossa: le violenze investono anche le ambulanze
Un report lo ha condotto anche l’Osservatorio sulle aggressioni della Croce Rossa Italiana: il 67% delle aggressioni a danno del personale sanitario e sociosanitario della Cri, è stato evidenziato, è avvenuto durante l’attività di trasporto in ambulanza. Vittima e aggressore, nella maggior parte dei casi, sono uomini (69,06 e 69,80%). In circa la metà degli episodi segnalati (47%) l’aggressore è un utente. Per quanto riguarda il tipo di violenza esercitata, nel 53% dei casi è stata di tipo verbale mentre nel 46% fisica. In occasione di queste ultime (aggressioni fisiche), nel 76% dei casi si sono verificati danni a persone.
Ma sarebbe un errore credere che le aggressioni avvengano solo negli ospedali o al personale delle ambulanze. «Non dimentichiamo – ha sottolineato il presidente della Federazione nazionale dell’ordine fisioterapisti (Fnofi), Piero Ferrante – tutti coloro che, lavorando a domicilio del paziente, spesso sono sottoposti a violenze verbali, a volte fisiche, e comunque a situazioni estremamente spiacevoli, purtroppo non ancora “mappate” e sanzionate come dovrebbero».
A tirare le somme, nel corso di un appuntamento sulla Giornata nazionale, è stato il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli: «All’indignazione e alla dissuasione deve affiancarsi la potenza della ragione, per individuare il senso e le cause dell’incredibile trasformazione dei luoghi della cura: da santuari inviolabili, quasi sacri per cittadini e medici a luoghi della frustrazione e della rabbia per troppi cittadini, a luoghi della paura per i medici». Medici che, insieme agli infermieri e agli oss, diventano capro espiatorio delle difficoltà evidenti del Servizio sanitario nazionale. «I medici – ha osservato Anelli – per pazienti e familiari frustrati e disillusi, sono visti come i terminali di tutto quel che non funziona nella sanità, solo perché presenti nelle strutture e fisicamente raggiungibili. Così, da vittime di una crisi sistemica esito di scelte fatte altrove da altri attori, agli occhi di pazienti e familiari ne diventano i principali responsabili. Altra causa originaria della frustrazione dei pazienti – ha continuato il presidente della Fnomceo – che, in alcuni casi, si trasforma in rabbia, consiste nelle aspettative eccessive che ormai sono riposte nella medicina e nella sanità. L’unico esito considerato accettabile è la guarigione, cioè risposte assistenziali risolutive e, nei casi in cui gli esiti sono diversi, scatta l’immediata colpevolizzazione del medico».
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