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Spesso è facile dire che i vestiti sono più che semplici pezzi di stoffa, ma riuscire a raccontare una storia che sappia oltrepassare i confini della materia non è altrettanto semplice. Soprattutto se pensiamo al mondo attuale, in cui si ricerca sempre di più la teatralità e la spettacolarità, ridurre all’essenziale ma continuare a stupire non è sicuramente la strada più semplice, ma forse è quella più autentica. E questo Federico Cina lo sa bene. Il designer è ormai uno dei fiori all’occhiello tra gli indipendenti della moda di Milano, e stagione dopo stagione, con le sue collezioni, ha saputo raccontare una storia: la sua.
Tra sartorialità al coltello e morbidezza stilistica, Federico Cina ha saputo tradurre la sua storia personale in una narrazione visiva che parla di emozioni e forti legami con la sua terra natale, l’Emilia-Romagna, e la sua visione non è mai urlata ma sussurrata, perché quando c’è un buon savoir-faire, non c’è bisogno di gridare per farsi notare. Per lui comunicare con il pubblico e raccontare la propria storia non è un monologo, ma un dialogo continuo, che permette di intrecciare suggestioni anche apparentemente lontane dalla nostra realtà, ma che inevitabilmente si connettono. Come lui stesso ci ha raccontato, alla fine dei conti, sentire è molto più soddisfacente che apparire.
Una sincerità senza fronzoli che sfocia in ispirazione, ma anche in riconoscenza per tutte quelle suggestioni che gli permettono di creare. Ed è da queste radici che sono nati pezzi iconici. Dal logo grape, che parla del suo legame con la viticoltura e la produzione di vino della sua terra, Sarsina, in Emilia-Romagna, e che ha contribuito a creare esperienze e a scrivere un racconto solido e coerente. Ma anche la virale Tortellino Bag, il cui aspetto è intuibile dal nome, diventata immediatamente un gustoso “tormentone della moda”, grazie a quel mix tra territorialità – tutta italiana – e design inconfondibile.
La sua ultima collezione Fall/Winter 2025, intitolata “Assunta e Giacomo” e presentata lo scorso gennaio 2025 nella cornice della Milano Fashion Week, è stata indubbiamente caratterizzata dall’impatto di una storia e di un sentimento così personale eppure così universale: la nostalgia. La collezione è un viaggio emotivo che si fa strada attraverso il ricordo di due persone a Federico molto care, i suoi nonni, e proprio per questo si ispira a quelli che sono stati i capi di uso quotidiano di Assunta e Giacomo: abiti e intimo da casa, abiti da lavoro e capi per le occasioni importanti. La narrazione si è concretizzata in una performance, ospitata da Fondazione Sozzani, che ha tradotto la memoria in movimento, rendendo tangibile l’impronta che i nonni hanno lasciato attraverso una serie di “quadri” in cui modelli e modelle interpretano routine di movimento ispirate ai ricordi più indelebili. Ogni movimento è un’eco dei momenti vissuti insieme, elle abitudini quotidiane che hanno segnato l’infanzia e che ancora oggi ne influenzano il presente. Ogni gesto, seppur semplice, diventa un atto carico di emozione, una rappresentazione di ciò che il designer porta con sé, giorno dopo giorno. La performance si è fatta così portavoce di un legame che non si interrompe mai, di una sensazione di continuità, di affetto che sfida la distanza e il tempo. Un atto estetico e una celebrazione della memoria.
Abbiamo intervistato Federico Cina, che ci ha parlato delle sue ispirazioni, fortemente legate ai suoi ricordi e alle sue origini, e come si sono evolute – e continuano a evolversi – attraverso sfide e traguardi sempre più importanti.
Le tue collezioni sembrano essere un riflesso profondo della tua vita, traendo ispirazione dalla tua famiglia e dalla tua terra d’origine. Come riesci a mantenere un equilibrio tra la tua vita privata e il processo creativo, creando qualcosa che sia tanto personale quanto una risposta alle esigenze di mercato?
Tutte le mie collezioni sono un insieme di esperienze, emozioni e sentimenti che ho provato realmente. Sono storie che ho vissuto in prima persona di cui parlo attraverso i miei abiti. È così che unisco la mia vita privata e il processo creativo, raccontando qualcosa che mi appartiene, che ho visto, sentito, percepito in un preciso momento esprimendolo in capi di abbigliamento: gli stessi autori di significato che mi permettono di mantenere quella linea sottile che delimita il processo di condivisione tra me e il pubblico. Ciò che voglio trasmettere viene comunicato in modo sincero e trasparente, senza compromessi, finzioni, credo sia questa la risposta alle esigenze del mercato; essere identificabili rappresentando qualcosa che è esistita, che è reale e che per essere riconosciuta necessita di una certa autenticità, non scontata e al passo con i tempi.
La mia famiglia è fondamentale, mi sostiene e mi appoggia in ogni scelta, è sempre presente e mi aiuta a portare a termine i miei progetti. Prendo esempio da lei quando si tratta di impegno, determinazione e sacrificio, è la stessa che mi ha trasmesso le tradizioni, quelle a cui sono legato particolarmente e in cui credo fortemente quando si tratta di unirle alla modernità. Il forte legame con la mia terra, l’Emilia-Romagna, influisce sulle mie collezioni, influenza le mie creazioni e le rende uniche. È il luogo a me tanto caro da cui sono fuggito per un periodo e dove mi sono sentito soffocato, imprigionato. Lo stesso che poi mi ha accolto nuovamente e mi ha richiamato a sé il posto che è sempre stato casa e da cui in fondo, non sono riuscito a scappare mai.
La tua ultima collezione Fall/Winter 2025 è un omaggio ai tuoi nonni e all’importanza della famiglia nelle tue radici. Come sei riuscito a tradurre questo legame personale in un design che parla di tradizione e modernità, mantenendo viva l’eredità familiare nella moda contemporanea?
La mia ultima collezione rende omaggio a due figure fondamentali per me, i miei due nonni venuti a mancare l’anno scorso. Li ho voluti portare a Milano con me, erano due contadini che non hanno mai viaggiato e farli conoscere a chi non ha avuto occasione di incontrali, è stata una grande soddisfazione nonostante i momenti di malinconia e nostalgia che hanno attraversato il periodo mentre progettavo insieme al mio team la presentazione. Ho voluto ricostruire la casa e le stanze in cui trascorrevo intere giornate, quei pomeriggi che resteranno per sempre impressi e che ho avuto l’onore di condividere con loro. L’intera collezione fa riferimento agli abiti che indossavano per andare al lavoro, semplici indumenti che ho rivisitato in una chiave più moderna, adatti per tutti i giorni ma anche per le occasioni speciali. L’idea è stata quella di ricreare uno spazio che potesse far arrivare in modo chiaro e diretto cosa sono stati Assunta e Giacomo; una presenza costante che per rimanere tale ho ritenuto opportuno di condividere e raccontare.
La Tortellino Bag è stata un successo immediato, diventando un vero e proprio simbolo del tuo brand. In che modo questo accessorio iconico ha influito sull’evoluzione del tuo marchio e sulla sua popolarità?
La Tortellino Bag è stata la chiara dimostrazione del mio rapporto con l’Emilia Romagna. Il successo che abbiamo raggiunto è stato sicuramente un grande traguardo. L’iconicità della borsa credo sia legata al fatto che nessuno avesse mai ideato una cosa simile, un piatto tipico emiliano trasformato in una borsa attraverso processi di produzione simili alla preparazione della pasta; si parte da una pelle stesa (come la sfoglia), a cui viene aggiunta l’imbottitura (il ripieno). Vederla indossata dalle persone che sin dall’inizio hanno apprezzato e sostenuto il duro lavoro, è stato di grande aiuto per spingere il brand verso nuove prospettive. L’apparizione in passerella ha notevolmente aumentato la visibilità della borsa anche grazie a collaborazioni e diverse sponsorizzazioni sui social che hanno contribuito alla sua diffusione, soprattutto tra i giovani.
Dall’Emilia Romagna a Milano. Quali sono stati i passaggi più significativi del tuo percorso (fisici e figurati) che ti hanno fatto crescere?
Uscire da una realtà molto piccola come il mio paese, Sarsina e raggiungere una città immensa come Milano, ha contribuito notevolmente sulla mia crescita personale ma soprattutto del brand. La MFW è stata emozionante, ho dato modo a chi ancora non mi conosceva, di poter esplorare il mio mondo. È una città in grado di offrirti possibilità che sul mio territorio purtroppo è difficile avere a disposizione, ti apre nuovi sbocchi, ti mette al passo con i tempi in modo molto veloce e immediato, dinamico. È stato significativo poter mostrare i miei lavori che non sono stati altro che un’occasione per migliorare e maturare.
Porti sempre molta performance nelle tue presentazioni. Cosa ti spinge a scegliere questo tipo di approccio? Pensi che la performance possa rappresentare una nuova direzione per il futuro della moda, e in che modo pensi possa evolversi?
Credo che attraverso la performance, ci sia la possibilità di far interpretare e comunicare in modo più diretto e chiaro un concetto. Dal mio punto di vista è un modo innovativo e utile nel mondo della moda perché crea una dimensione comune in cui tutti condividiamo lo stesso momento ma con occhi e vissuti diversi che in qualche modo uniscono anche chi non ha lo stesso trascorso. Troppo spesso ci si sofferma sull’apparire, su ciò che materialmente è bello, mettendo da parte le suggestioni che ci vengono trasmesse. Sono proprio queste che ci permettono di avere una prospettiva verso un futuro meno impostato e formulato in modo più naturale.
Sei spesso definito un designer emergente, ma con l’evoluzione del tuo brand e il crescente riconoscimento, pensi di aver superato questa fase? Quanto è difficile, per un designer, scrollarsi di dosso l’etichetta di “emergente” e sentirsi realmente consolidato nel panorama della moda?
Essere collocato nella “categoria“ degli emergenti da un lato mi rende riconoscente per tutta la cura e attenzione con cui realizzo le mie creazioni, mi spinge a fare sempre di più a rivoluzionare l’idea che ho della moda: un mezzo attraverso cui raccontare e raccontarsi. Dall’altro canto, mi rende consapevole del fatto che non si smette mai di imparare, ogni mio traguardo è stato un arrivo, ma soprattutto un punto da cui ripartire. Tutte le mie vittorie sono state prima sconfitte e non sono mai abbastanza per gli obiettivi che mi impongo. È una continua visione di panorami che non smettono mai di arricchirmi e permettono a me stesso di puntare sempre più in alto e raggiungere lo stesso livello di chi ha gettato le fondamenta della moda ed è riuscito ad essere apprezzato dal mondo per i capolavori che ha realizzato. Innalzare il livello del mio brand e passare tra coloro che sono stati veri e propri maestri, è un lavoro a cui dedico tempo ed energie ogni giorno.
Cosa o chi ti ha fatto capire fin da giovane che la moda sarebbe stata la tua strada? C’è stato un momento, una persona o un designer che ha segnato l’inizio di questo percorso creativo per te?
Ho iniziato sin da bambino a disegnare vestiti; è stata una cosa che ho rivalutato dopo la fase adolescenziale poiché all’inizio non la vedevo troppo nelle mie corde, non l’ho considerata. Ho questo ricordo del mio primo incontro con la moda quando mia zia mi accompagnava nelle boutique del mio paese, mi portava a comprare i giornali di moda il martedì mattina quando a Sarsina, era giornata di mercato. Il primo approccio è stato questo, mi ha trascinato con sé e mi ha invitato a curiosare ciò che era in grado di offrirmi, mia ha intrappolato e non ne sono uscito più.
Tra i punti forti del tuo marchio c’è sicuramente anche l’estetica, che lo rende immediatamente riconoscibile e che permette alle persone di trovare una storia dietro un capo. Cos’è che ti spinge a raccontare questa storia carica d’estetica e da cosa trai ispirazione?
L’ispirazione da cui parto riguarda le conclusioni che traggo dalla mia vita. Una serie di eventi, luoghi, persone che hanno attirato la mia attenzione, che hanno catturato il mio sguardo. Li collego tra loro, li uniscono seguendo il mio istinto e li porto con me durante tutto il processo di realizzazione. Prendo spunto, aggiungo altri frammenti di storie vissute e nel momento in cui ho il contatto diretto con tutti gli elementi presi in considerazione, li traduco in abiti. Quando una mia creazione viene indossata, voglio che non venga vista solo come un pezzo di stoffa ma voglio che sia il simbolo, lo specchio su cui ci si riflette e si ritrova se stessi. Un’estetica minimalista, adatta per tutti, libera da ogni convenzione e in grado di trasmettere quelle doti nascoste di preziosa connessione tra il corpo e il rivestimento. Non c’è un particolare su cui mi soffermo, sono tutti necessari per costruire la base delle mie collezioni.
Pensi che il fashion system attualmente sia un posto accogliente per i giovani che vogliono farsi strada con il proprio brand?
Chi ha il coraggio, la forza e la giusta determinazione per raggiungere i propri obiettivi, trova sicuramente il sistema moda come lo spazio adatto a cui dedicarsi. È un mondo che ti schiaccia, sembra quasi inghiottire e buttare giù le tue aspirazioni quando ti rendi conto che tutti gli sforzi che hai fatto non sempre vengono apprezzati e riconosciuti come tali. Dimostrarsi sicuri, quasi invincibili di fronte alle avversità è un requisito fondamentale soprattutto in vista della concorrenza e della moltitudine di talenti presenti nel campo. Non arrendersi mai, scegliere sempre la propria strada, analizzando anche le scorciatoie, è un buon punto di partenza per imparare anche ad apprezzare contaminazioni e influenze che non ci appartengono. Può far paura, ma ci rende persone migliori e con il tempo e la giusta pazienza, porterà grandi risultati.
La sostenibilità è diventata un tema centrale nel mondo della moda. Quanto è importante per te incorporare pratiche sostenibili nel tuo processo creativo e produttivo, e come ti relazioni con questa sfida?
Cerchiamo il più possibile di diminuire l’impatto ambientale scegliendo piccoli laboratori di artigiani, attenti ad ogni singolo dettaglio e in grado di soddisfare ogni nostra richiesta in modo autentico. La produzione avviene a meno 100km di distanza in aziende dove è presente l’utilizzo di alcuni materiali riciclati di alta qualità come i tessuti prodotti da Manteco; una realtà tessile a cui noi ci affidiamo, specializzata per la produzione di lana riciclata di alta qualità che ci permette di avere a disposizione capi che durano nel tempo e che hanno un basso impatto ambientale. Lo stesso vale per il simbolo del vigneto, realizzato a mano da Stamperia Marchi, anch’essa non lontana dal nostro ufficio. Ci impegniamo inoltre, per il riutilizzo di tessuti e filati già utilizzati in precedenza e da lì ripartiamo con il lancio di nuovi pezzi d’abbigliamento.
In che misura ti senti parte di una nuova generazione di designer che vuole ridefinire la moda? Quali sono, secondo te, i temi e le innovazioni che stanno cambiando il settore in questo momento?
Credo che la moda sia in continua evoluzione e cambiamento. Farsi “notare” tra tanti che, come me, sono intraprendenti e hanno bisogno ogni giorno di nuovi stimoli è una lotta continua ma ognuno, nel proprio, riesce ad affermarsi come unico. Ridefinire la moda significa partire da una realtà dove non ci si ferma mai, è un continuo susseguirsi di successi ma anche sconfitte; sono quelle da cui riparto e mi permettono di raggiungere risultati migliori. Credo che sia proprio lì la differenza; riconoscermi tra quelli che alla fine ce l’hanno fatta e che, senza mollare mai, hanno dato spazio ad una nuova moda. Trattare temi personali e raccontare una storia vera, è una giocata vincente quando si tratta di parlare a un pubblico tanto influenzato da campi e tendenze differenti. Nel momento in cui si sentono rappresentate, le persone si legano in qualche modo al tuo mondo, vogliono farne parte e ultimamente noto che ci sia molta volontà di esplorare tutto quello che va oltre la sfilata. Con l’evento di gennaio, ho percepito questo quasi bisogno di avere un confronto, di esplorare una realtà e comprenderne il significato, anche se neanche lontanamente si avvicina al proprio. Più un tema, una scelta, coinvolge lo spettatore e chi osserva, più ha modo di essere definita come innovazione. È una novità perché ti appartiene; quell’attimo è stato vissuto da te, se sei stato tu il vero protagonista.
Dove ti vedi guardando al futuro?
In futuro, vedo il mio brand il posto dove non finirò mai di migliorare e dove continuerò a crescere. Cercherò di renderlo più solido e noto anche internazionalmente, nonostante la volontà sia quella di evitare il distacco con la mia Romagna e proseguire con la protezione della sua impronta. Non escludo che avrei il piacere di collaborare con altri brand non solo di moda ma anche di design; è un aspetto dell’estetica che mi ha sempre attratto e che per ora mantengo tra la lista delle cose che avrei il piacere di approfondire.
[📸 Courtesy Of Federico Cina]
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