ecco come si muoveva la cosca ‘ndranghetista Arabia a Parma e in Emilia

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Armi, truffe, ricettazione, estorsioni e fatture false. Sei arresti, diciannove perquisizioni, sequestro preventivo di oltre 300 mila euro, controlli in sei società che avrebbero fatto parte di una truffa realizzata attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

La cosca emiliana ‘ndranghetista Arabia, colpita dai sei arresti per associazione di stampo mafioso effettuati nella mattinata di mercoledì 12 marzo, era attiva a Parma e nelle altre città emiliane, ad iniziare da Reggio Emilia, dove si trovava il cuore dell’organizzazione criminale.

Gli arrestati sono Giuseppe Arabia di 59 anni, detto “Pino u’ nigro’ e ritenuto a capo dell’organizzazione e già condannato con sentenza passata in giudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso – i nipoti Giuseppe Arabia di 36 anni e Nicola Arabia di 40 anni, figli di Salvatore Arabia, ucciso nel 2003 a Steccato di Cutro nel corso della guerra di mafia tra le famiglie Grande Aracri e Dragone. Oltre a loro le manette sono scattate anche per Salvatore Messina, Salvatore Spagnolo e Giuseppe Migale Ranieri di 46 anni (omonimo dell’avvocato del foro di Reggio Emilia) 

L’operazione Ten è stata eseguita dalla squadra mobile di Reggio Emilia, con l’ausilio del Servizio Centrale Operativo e della Squadra Mobile di Bologna e Crotone, insieme ai militari della Guardia di Finanza reggiana.

I provvedimenti restrittivi sono stati emessi dal Gip presso il Tribunale di Bologna dottor Alberto Ziroldi, su richiesta della Procura della Repubblica di Bologna – Direzione Distrettuale Antimafia, sulla base degli esiti di una lunga e complessa indagine, coordinata dal Sostituto Procuratore della Repubblica dottoressa Beatrice Ronchi.

“Gli approfondimenti investigativi – secondo quanto riportato dagli inquirenti – hanno consentito di attestare l’esistenza e l’operatività, nell’alveo della cosca ‘ndranghetistica emiliana, del gruppo mafioso Arabia, sodalizio caratterizzato dall’ampia disponibilità di armi

e dedito alle estorsioni, alle truffe, nonché alla ricettazione di beni provento di furti a ditte di autotrasporto, commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa.

“Il capo del sodalizio, già condannato con sentenza passata in giudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso e il cui fratello è stato ucciso nel 2003 a Steccato di Cutro nel corso della guerra di mafia, operando in sinergia con i suoi sodali, ha posto in essere condotte tipicamente mafiose, con l’adozione di modalità violente e comunque intimidatorie, sia a scopo ritorsivo e punitivo, sia per imporre, con la forza di intimidazione promanante dall’appartenenza al sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, la propria volontà”.

Sempre secondo le accuse il gruppo avrebbe dimostrato di disporre anche di armi, custodite in luoghi nascosti grazie alla complicità dei sodali.

In una circostanza, nel corso delle indagini, la polizia di Stato ha sequestrato un fucile, abilmente occultato all’interno di un gommone custodito all’interno di un camion, su cui era stato caricato del tutto all’insaputa del trasportatore.

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Ulteriori approfondimenti investigativi, svolti con l’ausilio della Guardia di Finanza di Reggio Emilia, hanno permesso di ricostruire numerose frodi fiscali, confermando, ancora una volta, come il sodalizio ‘ndranghetista operante in Emilia sia anche specializzato nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Il meccanismo fraudolento posto in essere dagli indagati mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un totale di un milione  e 800 mila euro nei confronti di dodici principali società utilizzatrici, ha

fruttato in pochi anni al sodalizio criminale un guadagno pari a 326 mila euro, somma oggetto di sequestro preventivo disposto dal Gip, con l’ordinanza ed eseguito congiuntamente dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato.

Contestualmente all’esecuzione del sequestro preventivo sono state perquisite anche le sedi di sei società, che, sulla base dei riscontri investigativi eseguiti, risultavano essere coinvolte nel sistema di frode.



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